Se Guia Soncini ha un difetto, e ci piace troppo per credere che non ne abbia neanche uno, è questo: dire prima degli altri, e meglio di altri, quello che poi non si può dire più. È il vate delle ultime occasioni, delle ultime polemiche, dei dissing persi sul nascere. È l’ultima, per esempio, a poter dire su un giornale sostanzialmente di sinistra che no, Michela Murgia non usava certo i social come Pasolini usava gli editoriali del Corriere della Sera: “A quel punto cambio discorso, perché è un’affermazione che m’imbarazza in mille modi diversi, dall’utilizzo di Pasolini come esempio virtuoso alla finzione di considerare Michela Murgia un’intellettuale rilevante per gli intellettuali”. Forse è stata l’ultima, o sarà l’ultima, a poter dire qualcosa di male anche su Cecilia Sala, ingiustamente incarcerata, troppo spesso ingiustamente criticata (che non vuol dire che sia sempre ingiustamente criticata), ora vittima della peggior forma di disprezzo intellettuale, il cordoglio fine a se stesso, il minuto di silenzio preventivo, l’intoccabilità concessale non per i meriti, che ha, ma per la condizione in cui non dovrebbe essere: un’intoccabilità negativa, vergognosa. Guia Soncini, che solitamente tocca il cartello su cui trova scritto “non toccare”, ha già scritto quel che doveva e voleva su Cecilia Sala, in tempi non sospetti, quando la giornalista che descrive come “più giovane, più figa, e che probabilmente guadagna più di me” ancora non era in carcere. Insomma, era toccabile, criticabile. Ora, che la critica pare impossibile, torna utile tornare a umanizzare Cecilia Sala, che sta probabilmente soffrendo maledettamente, come soffrono maledettamente i suoi cari.
E, appunto, forse è l’ultima critica fatta a Cecilia Sala degna di nota, forse neanche Soncini la ripubblicherebbe oggi, come ha fatto per Linkiesta l’8 novembre 2024; è l’ultima e va citata, perché dice molto non solo di Cecilia Sala, ma di chi oggi la difende e di chi la attacca, insomma della natura del dibattito e, peggio, della natura del ring: i social. Soncini ce l’aveva con Sala per una puntualizzazione per mezzo di X intorno alla vicenda della ragazza nuda in Iran. Mentre tutti la difendevano come simbolo della lotta contro la teocrazia iraniana (dannata ironia, che oggi ha reso Cecilia Sala un simbolo proprio di questa battaglia), Sala scrisse: “Non ho ancora avuto modo di verificare questa notizia ma ho provato a farlo: ho chiesto ad amiche giornaliste iraniane e anche loro non hanno ancora chiaro cosa sia successo di preciso. Ci sono testimonianze contrastanti. Ho usato il condizionale. Visto che queste immagini sono già diventate un simbolo in tutto il mondo, e visto che è già successo una volta che una storia famosa si sia rivelata falsa (mentre ce ne sono molte altrettanto gravi e vere), è meglio prendersi qualche ora in più prima di rendere un simbolo una storia non ancora chiara”. Al ché Soncini chiede: “Cecilia Sala, ma sei scema?” Cioè: “Ma ti sembra che in posti in cui la gente si conta i like e i follower e in base a quelli decide se è il caso di farsi venire il delirio di onnipotenza o sentirsi un fallito, cercare uno sponsor o tornare a casa e picchiare i figli, ti pare che in distributori di dopamina che solo Elon Musk (che è abbastanza ricco da potersi permettere d’essere spostato) può scambiare per fonti d’informazione, ti pare che in questi zoo di vetro si possa invitare a verificare le notizie, a non innamorarsi dei simboli, a rendersi conto che comunque, che sia matta o lucida, la ragazza vive una vita di merda nel posto peggiore in cui a una donna possa toccare di nascere, e se non fosse in mutande noi magari non ce ne ricorderemmo ma lei e tutte le altre vivrebbero comunque in una teocrazia, e se noi non prendiamo i like su di lei così come sulle invettive contro l’iva sugli assorbenti – che nel Grande Indifferenziato rappresenta lo stesso ordine di problemi – lei vive comunque una vita di merda, la vive finché non decidono di ammazzarla (il che è probabile accada più in fretta se il pasciuto occidente in smania da dopamina decide di farne un simbolo)?”
Specifichiamo, citando ancora l’articolo: “Cecilia Sala, perché parli a quella terza elementare in picco glicemico che è un social network come fosse un ritrovo di adulti razionali? Cecilia Sala, possibile che debba spiegarti io, io vegliarda, a te praticamente nativa digitale, la differenza tra l’informazione e i social, tra la cultura e i social, tra il più cieco amore e la più stupida pazienza?” Ora, anche i meno svegli tra di noi (che sono comunque più svegli dei “non lettori da social” di cui parla Soncini), avranno capito che, più che una critica a Sala, è una critica all’impostazione, all’astrazione determinata da Sala nel suo liquido amniotico, quello dei social. In altre parole: non è Sala il problema ma il fatto che si ponga un problema di natura giornalistica su un social, appunto il ring di cui si diceva. E infine, dunque, anche ora, non è tanto la possibilità di criticare Sala che dobbiamo recuperare, la possibilità di criticare il contesto, l’incapacità di distaccarsi dalla modalità social con cui parliamo di quel che sta avvenendo. Non avete capito? È stupidità algoritmica chiedersi, come si sta facendo, che tipo di shampoo usi Cecilia Sala, che brandina le abbiano dato, che giornalista fosse prima di questo arresto e che giornalista sarà poi. Chiedersi se avesse mai criticato i tentativi di salvare qualcuno nella sua stessa situazione per motivi pragmatici o di ordine economico (i leghisti e molti fratelli d’Italia – i fratelli scemi – non vedevano l’ora di tirar fuori il loro cavallo di battaglia: i Marò). Chiedersi, magari, se tornerà mai in quel Paese, se sfiderà ancora la sorte (come la speleologa, ricordate?). Porsi le domande dei non lettori da social, quelle che fanno fare i like, quelle che forse ti spingeranno a sopportare o meno il personaggio Cecilia Sala e, mai, il suo lavoro (quanti, in questi giorni, hanno letto gli articoli o ascoltato i podcast della giornalista?).