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“Conservatori noi di Fdi? Macché, vogliamo la rivoluzione (culturale)”: parla la destra “talebana” di Vincenzo Sofo

  • di Alessio Mannino Alessio Mannino

7 gennaio 2023

“Conservatori noi di Fdi? Macché, vogliamo la rivoluzione (culturale)”: parla la destra “talebana”
Silvio Berlusconi vorrebbe un partito unico conservatore, ma in FdI c’è chi non è d’accordo. Vincenzo Sofo, giovane europarlamentare (marito di Marion Marécharl, la nipote della Le Pen), lo bacchetta: “Ritorno al PdL? Mai”. E qui va oltre, presentando un programma di destra sociale e identitaria “contro il mercato sregolato, lo sradicamento globale, il transumanismo, lo scientismo”. Arrivando a proporre una nuova formula: “Non più conservatori, chiamiamoci ricostruttori”

di Alessio Mannino Alessio Mannino

Caro Silvio Berlusconi, il partitone unico di destra all’americana puoi scordartelo, anche perché c’è già: si chiama Fratelli d’Italia. E cara Giorgia Meloni, sarà meglio non definirsi “conservatori”, che sa un po’ di gioco in difesa: molto meglio “ricostruttori”, perché qua, più che conservare, c’è da ricostruire sulle rovine del progresso per il progresso. Quello che non ci vuole più nemmeno umani, ma transumani, virtuali, fluidi e isolati in un mondo dominato dalla scienza eretta a religione. Perciò non chiudiamoci nella ristretta visione di una destra ministeriale e di potere, ma coltiviamone una che vada al di là, più sociale e identitaria. Firmato: Vincenzo Sofo, europarlamentare FdI, leghista fino a due anni fa, milanese di origini calabre e 37enne fondatore in gioventù del sito “Il Talebano”, nonché marito di Marion Maréchal (nipote di Marine Le Pen).

Vincenzo Sofo
Vincenzo Sofo, europarlamentare di Fratelli d'Italia

Vincenzo Sofo, lei ha in sostanza bacchettato Berlusconi, che nel suo protagonismo da socio minore di maggioranza vorrebbe fare una specie di Partito Repubblicano all’italiana, la riedizione del PdL di dieci anni fa. Quante destre ci sono in Italia oggi? O meglio, cos’è la destra, oggi in Italia?

In realtà la destra, per me, è il termine per indicare la metà destra del parlamento, è una semplificazione elettorale. È complicato definire la differenza con la sinistra, che rispetto al passato comunista ha, per esempio, abbandonato il tema della famiglia o dei diritti sociali. C’è un rimescolamento che riflette le trasformazioni sociali, il campo di destra e sinistra diventa “fluido” quando si entra nel merito dei contenuti, anche all’interno della stessa destra: c’è quella liberale, quella identitaria, quella sociale, eccetera.

Quella di FdI come la definiamo?

Parlando per me, io mi definisco di destra nell’ambito della schematizzazione politica, ma personalmente forse oggi la parola più adeguata sia conservatore, nel senso di conservazione dell’identità, della trasmissione storica, delle tradizioni in contrapposizione del progressismo. Non, quindi, nel senso di conservatore anglossassone: non ha senso copiare e incollare modelli che non rispecchiano la nostra realtà.

Lei ha rapporti stretti con la Francia, anche per motivi familiari. Il Front National che più volte ha sfiorato il massimo vertice della Repubblica si definisce conservatore?

In Francia il Front National è legata a un’esperienza populista, che non può essere catalogato lungo i binari di destra o sinistra. Là, effettivamente, il termine conservatore si è affacciato da poco nel dibattito politico.

Come in Italia: “conservatori” si sono definiti sempre in pochissimi, una minoranza intellettuale. Non è mai esistita una “destra conservatrice” di massa, da noi. Da qui il parallelo con la Francia.

Sì, il parallelo è giusto. In Italia il conservatorismo ha trovato un interprete in Fratelli d’Italia, mentre in Francia al momento non c’è nessuno, forse solo Reconquete. La sfida a destra oggi è riempire di contenuti questo vocabolo, in un mondo in cui da conservare c’è sempre meno. Ecco, la definizione migliore è questa: ricostruttori.

Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini negli anni dell'idillio
Silvio Berlusconi con Gianfranco Fini ai tempi del PdL

Mi dica tre cose fondamentali da “ricostruire”.

L’identità dei popoli europei, che è l’unico collante per ricostruire un senso di comunità. L’Europa è stata costruita solo sulla moneta. La seconda è il rapporto con il territorio, eroso da un’economia che si è sempre più staccata dal locale ed è diventata sempre più globale, e questo ha creato cortocircuiti che abbiamo visto, per esempio, nell’approvvigionamento energetico con la guerra in Ucraina, o con il Covid. L’altro giorno leggevo che soffriamo di una carenza di medicinali dovuta alla dipendenza per il 70% dall’Asia per i princìpi attivi per i medicinali, nonostante l’Europa e anche l’Italia possano essere leader mondiali in questo settore. Oppure, pensiamo alla transizione ecologica: la maggior parte dell’inquinamento mondiale deriva da tutti gli spostamenti della filiera produttiva e commerciale su scala planetaria.

Terzo?

Il terzo punto è la famiglia: siamo passati a una società totalmente individualista, quando il perno della società è invece la comunità, e la famiglia in questo senso ha un carattere non solo etico, ma proprio sociale. Purtroppo arriviamo tardi, perché il progressismo ha distrutto quasi tutto. Per questo più che conservatori dobbiamo dirci ricostruttori.

Lei parla di “progressismo”, ma si potrebbe chiamarlo liberalismo, o all’italiana liberismo, l’ideologia del libero mercato.

Hanno permesso che il mercato fosse sregolato, vedi la concorrenza sleale cinese. Noi lo denunciavamo, ma eravamo all’opposizione. Hanno dissolto le frontiere, aprendo le porte all’immigrazione incontrollata con l’idea che gli immigrati fanno il lavoro che noi non vogliamo più fare e ci servono per fare figli. Hanno distrutto ogni rivendicazione di ogni identità, trasformando il cittadino in un consumatore. Hanno cercato di smantellare il concetto di nazione, poi la famiglia, considerata una gabbia, ma sono andati oltre, arrivando fino al nucleo intimo del genere umano, attaccando l’identità sessuale, per cui ora neppure a quella ci si può ancorare. Fino alla radice di tutto, sostituendo Dio con lo scientismo. E c’è un’ulteriore tappa, quella finale: spogliarci del senso del reale, trasformandoci in avatar, vedi l’invasione del virtuale con il metaverso, ad esempio. È il transumanismo, che costituisce una vera minaccia per l’umanità.

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

Insisto: tutto questo è frutto di una dinamica trasversale, come è trasversale l’idea, sposata a destra e a sinistra, che il mercato e i suoi interessi forti (i “mercati”, la finanza, i colossi dell’high tech e dell’e-commerce) debbano restare i padroni del gioco.

È evidente che l’estremizzazione del mercato porta a queste conseguenze. Ma non è il mercato in sé, il diavolo. Il problema è quando costruisci la società in funzione del mercato, del consumo, del profitto, trasformando il mezzo in fine.

Allora ci vuole più Stato.

Il fatto che ci voglia più Stato sta già accadendo. Ma in realtà anche lo stesso modello americano riconosce che il mercato da solo non regge. Il self made man alla Steve Jobs cela sempre una spinta dello Stato, in termini di ricerca e investimenti.

Oddio, ci sono i fondi privati. Ma come fa a rivendicare più Stato se a destra, voi di FdI compresi, siete più per il Mercato?

Ma infatti la differenza è sul modo, sul ruolo dello Stato. Cioè se lo Stato debba essere banalmente assistenzialista o se debba fare da propulsore. Piaccia o no, viviamo in una società capitalista di libero mercato, eredità di chi ci ha preceduto. Tu devi avere, sì, un obbiettivo ideale, ma poi devi calarlo nel contesto in cui operi. Noi abbiamo una serie di vincoli esterni che derivano da decenni di storia, e la politica deve agire tenendone conto. È l’arte del tempo reale, la politica.

L’arte del compromesso. Ma bisogna vedere la soglia, il limite dei compromessi.  

Il nostro deve essere questo: abbiamo una visione ideale, ma abbiamo una situazione reale, che a me può non piacere, e infatti non piace, ma è questa. Come facciamo ad andare in direzione dell’ideale? Ecco la sfida del ricostruttore.

Gennaro Sangiuliano
Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura

Belle parole, ma nel frattempo togliete il reddito di cittadinanza a chi non ha da vivere o deve lavorare in nero perché, specie al Sud, solo quello è disponibile, e in condizioni di sfruttamento.

Io sono stato eletto nel Sud, sono di origini calabresi, anzi della Locride, una delle regioni più povere di una Regione fra le più povere d’Europa. È vero in parte che è un’utopia, perché così gli è sempre stato detto, ma è anche vero che quella è inevitabilmente la soluzione, perché il reddito di cittadinanza non ti fa uscire per nulla da quella situazione. Io ho tanti amici che lo prendono, conosco le difficoltà, i finti contratti, ma anche le difficoltà dei datori di lavoro, che devono combattere con condizioni spesso anche di illegalità. Ma il reddito, soprattutto per com’è stato realizzato, mantiene l’esistente. Con il reddito sopravvivi e basta.

Il che, permetta, non pare poco.

Però con 500-700 euro uno, per dire, da Bovalino non esci, perché se ti trasferisci a Milano non te ne fai niente. In Calabria servono strade, ospedali, infrastrutture per sviluppare attività economiche. Ti faccio un esempio: se parli con un produttore di bergamotto, che è un’eccellenza agroalimentare che esiste soltanto nella Locride, ti dirà che non possono andare in giro non dico nel mondo, ma neanche in Italia per sponsorizzare il proprio prodotto. La battaglia che sto facendo io è sulle infrastrutture. Serve lo Stato-propulsore, non assistenziale.

Pur attento a non discostarsi dalla linea, lei mi ha esposto un programma da destra sociale.

Io vedo in Fratelli d’Italia e in Giorgia Meloni il tentativo di una destra concreta, pragmatica. L’uomo di destra deve essere realista, perché forse il limite del populismo degli anni scorsi è stato di adottare l’approccio ideologico della sinistra.

Di chi parla? Della Lega di Matteo Salvini?

Non solo in realtà, l’esperienza populista ha accomunato tutti in tutta Europa.

Matteo Salvini
Matteo Salvini

Ok mi sta dicendo che una volta arrivati al governo bisogna diventare “pragmatici”.

No, dico di esserlo fin da subito. Ad esempio, chiunque sarebbe andato al governo non avrebbe avuto margini di manovra sulla finanziaria. Il realismo è questo, sono le regole del gioco, soprattutto nel breve-medio termine. Ammesso che uno abbia il tempo anche nel breve-medio periodo, perché in Italia abbiamo il grosso problema dell’instabilità dei governi, che saltano ogni stagione.

E di qui il presidenzialismo, fra l’altro alla francese, vostra bandiera.

Ma certo, sono anche queste regole del gioco. Eleggere un governo che governa per cinque anni secondo me è sacrosanto, specialmente se vuoi cambiare un indirizzo generale.

Non rischiate invece, più umanamente, di aderire al gioco, ovvero di morirci, di realismo?

Muori, se aderisci, come dice lei. Cioè se rinunci alla visione per adattarti al sistema, della serie: ditemi cosa devo fare e io lo faccio, pur di restare al potere. Altra cosa è di cercare di portare dei cambiamenti manovrando entro vincoli che sono esterni. Se devi vincere la partita di calcio, sai che devi segnare con i piedi, se fai gol prendendo la palla con le mani quel gol non vale, a meno di non cambiare le regole. Puoi anche tentare di arrivarci, ma finchè c’è…

Giovanbattista Fazzolari
Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario all'Attuazione del programma del governo Meloni

Non è che l’arbitro sia, come si dice, cornuto?

Tu puoi anche dire che è cornuto, ma non sei tu che lo scegli.

E allora la politica allora a che serve, in definitiva, se non decide né regole né arbitri?

Devi arrivare a cambiare chi seleziona gli arbitri. Ma richiede del tempo. Io non posso dire ora se Fratelli d’Italia fra dieci anni avrà cambiato il sistema o se si sarà adeguata. Siamo al governo da tre mesi.

Ma su, non spuntate dal nulla. Avete governato anche in passato, come An.

Ma un conto essere soci di minoranza, un altro è essere il partito che esprime il primo ministro. E poi non concordo sull’equazione An-FdI. Io entrai nel 2009 in Lega proprio in quanto orfano di una destra.

Troppo moderati, quelli del partito unico di An e Forza Italia, cioè il Pdl?

Entrai nella Lega perché offriva un’alternativa identitaria, anche se schiacciata sul Nord, motivo per cui creai Il Talebano per recuperare i temi del Sud. Due anni fa sono entrato in Fratelli d’Italia. Ma il moderatismo lo trovo vuoto, non è nemmeno una categoria politica. Meglio essere determinati, che moderati.

Silvio non sarebbe d’accordo.

Sarà per questo forse che non sono mai voluto entrare nel partito di Silvio. 

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