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“E adesso parlo io”: Antonio Matarrese, il Papa del pallone, si racconta, tra calcio e politica. Ma le gaffe?

  • di Lorenzo Longhi Lorenzo Longhi

14 giugno 2022

“E adesso parlo io”: Antonio Matarrese, il Papa del pallone, si racconta, tra calcio e politica. Ma le gaffe?
Eterno democristiano, Antonio Matarrese si definisce “il Papa del calcio italiano”. Nella sua autobiografia “E adesso parlo io” ripercorre le vicende che negli anni l’hanno visto protagonista, evitando accuratamente di inserire tutte le mitologiche gaffe di cui la cronaca è piena. Sarà la verità, nient’altro che la verità, quella che ha scritto?

di Lorenzo Longhi Lorenzo Longhi

Una medaglia d’oro con la sua effigie da un lato e la scritta Italia ‘90 dall’altro: se riuscite a pensare a qualcosa di più pacchiano ed egoriferito, siete sulla buona strada per ragionare come Antonio Matarrese, pugliese di Andria, classe 1940 –nato il 4 luglio – e a lungo numero uno del pallone nostrano. Anzi, “il Papa del calcio italiano”, come sostiene di essersi presentato a Giovanni Paolo II (colui che peraltro aveva nominato vescovo suo fratello Giuseppe) con una battuta che, in cuor suo, battuta non era affatto, e rende bene il personaggio, o almeno l’immagine che Matarrese vuole perpetuare di sé stesso nel libro E adesso parlo io, scritto insieme ad Alberto Cerruti, storica firma della Gazzetta dello Sport e pubblicato recentemente da Rcs sotto il marchio Cairo.

Ora, per uno che, parlando solo di cariche sportive è presidente onorario della Figc, membro d’onore della Uefa e della Fifa ed è stato presidente del Bari (1977-1982), due volte presidente della Lega Calcio (1982-1987/ 2006-2009), presidente della Figc (1987-1996), vicepresidente vicario della Uefa (1992-2002), vicepresidente Fifa (1994-2002) e presidente dei Giochi del Mediterraneo del 1997, un titolo del genere lascia immaginare fuoco e fiamme: Matarrese, dacci del proibito, tu che sai, tu che puoi. E invece – spoiler alert – “Tonino” parla di tutto e di tutti, ma senza dire sostanzialmente niente. In purissimo stile democristiano, e del resto non per nulla era entrato in Parlamento con la Dc nel 1976, rimanendovi ininterrottamente per cinque legislature per poi chiudere l’esperienza nel 1994, sempre con la stessa maglia (anche se il logo, nei mesi finali, fu quello del Ppi), sempre in maggioranza per 18 governi consecutivi. Certo, c’è la politica nella sua autobiografia, in senso stretto (Aldo Moro “che mi considerava un figlioccio” e “chiese espressamente a mio padre, che apprezzava molto per la sua serietà, di inserire un Matarrese della lista dei rappresentanti di Bari da candidare” alle elezioni del 1976, poi Andreotti e Cossiga) e soprattutto quella in senso sportivo, Johansson e Havelange, Blatter e Platini (che gli chiese di difenderlo dalla squalifica), Boniperti e Dino Viola, Petrucci e Berlusconi, poi Nizzola e Carraro che sono forse gli unici due che ne escono maluccio, essendo stati in qualche modo suoi antagonisti avendone incrociato la parabola dirigenziale. Dirigenti dirigisti anche loro, figurarsi: Carraro era detto “Il poltronissimo” e, se c’è qualcosa in cui ha superato Matarrese, è proprio nel numero di incarichi, anche contemporanei, a prescindere dalla qualità del lavoro svolto. Intrighi di palazzo? Pochissimi – e rigorosamente ai suoi danni, nel caso – e zero di tutto ciò che si fa e non si dovrebbe dire ma che ci si aspetta da chi ha avuto a lungo in mano le leve del potere. Le verità di un uomo che è potente lo è stato si limitano alla aneddotica spiccia. Tutto qui?

"E adesso parlo io" è l'autobiografia di Matarrese
"E adesso parlo io" è l'autobiografia di Matarrese

Il resto è la tendenza all’agiografia, quella del dirigente senza macchia e senza paura, che qualche volta sbaglia ma più spesso no, e quando accade lo fa per troppo affetto. Umano, troppo umano nella sua evidente volontà di mostrarsi mettendo sul tavolo le carte per essere riconosciuto appunto come potente, sufficientemente pieno di sé per restare al timone e farlo da padre-padrone al cospetto di personalità debordanti di quel calcio, in un racconto che piacerà parecchio ai nipoti per l’orgogliosa costruzione dell’immagine sua e della famiglia – dire Matarrese, a Bari, non lascia indifferenti – e per la figura integerrima che l’ex presidente Figc disegna attorno a sé stesso. Qualità ne ha avute, occhio, simpatia pure, al punto che viene ricordato come capace di gaffe sontuose di cui sono piene le cronache ma di cui nel libro non c’è traccia. E ci mancherebbe, ognuno si descrive come vuole.

Poi, magari, ciò che si vuole non è ciò che è stato, ma tant’è. Italia ‘90, il Mondiale di quelle sue medaglie d’oro in stile l’État c’est moi “da regalare agli amici”, coniate “spendendo tredici milioni di tasca mia, come poi ho dimostrato alla Finanza” racconta il personaggio, ma Matarrese forse qualcosa e più di qualcosa di Italia ‘90 se l’è dimenticato. Chi se ne frega di Vicini, dell’Argentina, del San Paolo contro l’Italia (aspetto che a Napoli tuttora smentiscono, in realtà), della finalina organizzata non per caso a Bari (“Ragazzi, se venite a casa mia e fate brutta figura, vuol dire che non avete sentimenti”): qui si parla di un evento passato alla storia per il malaffare. E adesso parlo io: se un’autobiografia la intitoli così, spara la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Invece, puff. Ecco “l’ineccepibile organizzazione, sotto l’attenta e scrupolosa supervisione di Montezemolo”, perché “dal primo all’ultimo giorno tutto era filato liscio in Italia, al di là del calcio” (magari, solo per dire, chi ha avuto a che fare con gli hooligan inglesi e olandesi a Cagliari non la pensa così). E ancora “l’organizzazione negli stadi era stata perfetta”, in un mese nel quale “non c’erano stati né una manifestazione né uno sciopero”. Vero, quest’ultimo punto, perché c’erano stati appena prima, ma dopo tutto non c’è mai stata nemmeno una Commissione d’inchiesta parlamentare su Italia ’90, e forse non è mai stato interesse di nessuno ricordare il peggio: in quell’Italia gaudente, bastava che i parlamentari avessero a disposizione un numero congruo di posti in tribuna, cosa che a deputati e senatori venne garantita in una circolare dell’ottobre 1989. Questo nel libro non c’è, ma resta negli archivi della Camera con un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Luigi Cipriani di Democrazia Proletaria, nella quale si chiedeva sarcasticamente al ministro Carraro “quale misterioso nesso” ci fosse “tra l’attività parlamentare e le partite del Mondiale 1990”.

Restano quelle medaglie con la sua effigie – chi le ha, parli! – che ancora oggi, a 82 anni, Matarrese ricorda assieme a una massima da mondo antico, quella che Trapattoni definì come “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”, ma che lui preferisce nella versione casta e pura, ma discutibilissima, e cioè che “la morale, quindi, è sempre la stessa: mai andare a letto con la fidanzata prima di sposarsi”. Perché Matarrese – lunga vita a lui – comunque morirà democristiano.

Antonio Matarrese
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