Siamo nel 2009, il giornalista Alessandro Ambrosini, fondatore del blog “Notte Criminale”, incontra Marcello Neroni sodale di Enrico “Renatino” De Pedis, boss della Banda della Magliana, e a sua insaputa registra la conversazione. Ne viene fuori un affresco della società degno della trama di Romanzo Criminale. Il malavitoso, che si lascia andare a delle vere e proprie confessioni, dipinge un quadro ben preciso degli affari intrattenuti da una delle più note organizzazioni criminali italiane. Nell’audio Neroni fa riferimento anche ad Emanuela Orlandi, cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno 1983, accusando colui che al tempo occupava l’alto vertice del Vaticano: Wojtyla. Rivelazioni la cui attendibilità è ancora tutta da verificare. Un’attendibilità che dovrà essere accertata in una sede competente, e non in un salotto televisivo. Eppure, durante una puntata della trasmissione “Chi l’ha visto” condotta da Federica Sciarelli, l’audio è stato uno dei temi centrali della discussione, insieme all’innegabile volontà di screditarlo. Non solo, la conduttrice ha fatto riferimento a parole che nella versione censurata, coperta da bip, non è possibile ascoltare. Ha aggiunto qualcosa di più all’inchiesta? Ovvio che no. Alessandro Ambrosini ha affrontato la questione sul suo blog, rivolgendosi direttamente alla conduttrice: “Quando pubblicai l’audio su Notte Criminale, decisi di “nascondere” alcuni termini offensivi nei confronti di Emanuela, del cardinale Casaroli e di Giovanni Paolo II. E li nascosi per evitare il pubblico ludibrio nei confronti dei protagonisti di questo racconto che ancora è congettura. Lei l’ha reso pubblico sapendo benissimo che non raccontava niente di più sul caso di Emanuela, in termini investigativi. L’ha citato ripetutamente – e non fatto sentire dalla registrazione – perché sapeva che per correttezza avrebbe dovuto chiedermi di poterlo mandare in onda”. Il termine “incriminato” è “zozzette”: “L’ha ripetuto giustamente indignandosi, creando però un pregiudizio sulle parole di Neroni. Come se una definizione “di strada” definisse il valore di ciò che stava dicendo in quel momento. Mi stupisce che lei, dopo anni d’inchieste, non abbia mai sentito delle intercettazioni telefoniche, o ambientali, corredate da offese, bestemmie e ogni genere di turpiloquio possibile”. Diciamolo, “zozzette” è stato tirato fuori solo per attirare l’attenzione, per evocare nello spettatore un sentimento di repulsione nei confronti di Neroni.
A dare manforte allo sdegno della conduttrice in studio era presente anche Antonio Mancini, che al tempo faceva parte della Banda della Magliana. Quasi dimenticandosi del suo pesante passato da criminale, è stato investito del ruolo di massimo conoscitore, nonché di detentore della verità assoluta, delle dinamiche interne alla Banda. A lui quindi il compito di stabilire la veridicità delle parole di Neroni. Ci sembra giusto, come no. Piccolo dettaglio non trascurabile, Mancini ha trascorso gli anni dal 1981 al 1994 in carcere. Viene quindi da chiedersi come possa essere così sicuro di ciò che non ha esitato ad affermare, dal momento che non si tratta di episodi vissuti da lui in prima persona, ma raccontati da altri: “Sicuramente Neroni, prima dell’arresto di Mancini era nel campo degli “ammorbidenti”, quelli che andavano a “sollecitare” crediti ed estorsioni. Ma il suo ruolo è certamente cambiato nel tempo. Lo dice lo stesso “Accattone” in studio con l’affermazione “Parlava più con le guardie che con i suoi compagni”. Neroni era un doppio e triplogiochista, un personaggio che teneva rapporti stretti con servizi segreti, uomini delle forze dell’ordine e politici. Non era uno spione, un traditore, “un infame”. Era funzionale sia alla Banda, sia a quella parte dello Stato che con lui parlava e faceva affari. Era uno snodo tra due mondi apparentemente diversi e contrari”. È logico pensare che, dati i presupposti, Neroni non potesse ricoprire un ruolo marginale all’interno dell’organizzazione. I rapporti con De Pedis, per forza di cose, dovevano essere fiduciari. C’è un tema che Mancini non affronta nel corso della sua invettiva, ovvero quello del business generato dalla gestione delle bische e delle slot machine. Un mercato che al tempo era particolarmente remunerativo, e soprattutto lontano dal controllo dello Stato. Il paradiso economico del malaffare. Se, come afferma Mancini, i rapporti tra i due erano di tutt’altro genere, De Pedis davvero avrebbe coinvolto Neroni in un simile giro d’affari? Difficile anche solo pensarlo, figuriamoci crederlo.
Ambrosini chiude così il suo messaggio a Federica Sciarelli: “Ci riprovi a smontare quell’audio. E lo faccia bene la prossima volta. Lo faccia e lo sotterri in modo definitivo. Ne sarei felice. Dimostri, oltre ogni ragionevole dubbio, che è una “chiacchiera da bar”. Come lei l’ha definito superficialmente. La verità non si costruisce per come vogliamo sentirla, la verità la si accetta per quello che è”. Cinquanta minuti della trasmissione dedicati esclusivamente a questo, a un audio che la conduttrice ritiene non possa contenere una parte di verità. Perché dargli così tanto spazio allora? Sarebbe bastato liquidarlo in quattro parole. Ma non sarebbero stati sufficienti a manovrare il giudizio degli spettatori del programma, di quella fetta di pubblico che crede a qualsiasi cosa solamente perché “l’hanno detto alla televisione”. Una scelta di dubbio gusto quella di ripetere all’infinito il termine “zozzette”, soprattutto in mancanza del supporto audio a spalleggiarla. Fortunatamente c’è ancora chi riesce a ragionare con la propria testa, per cui cara Sciarelli ritenti, potrebbe essere più fortunata la prossima volta. O magari no.