Fino a questo momento mi ero ripromesso che non avrei parlato di Open to Meraviglia. Fino a questo momento mi ero limitato a una storia su Instagram, riportando il giorno successivo al lancio dell'iniziativa una notizia che la smontava. Non avevo calcato la mano perché mi pareva irrispettoso nei confronti di tanti colleghi, questo non è un lavoro facile. In fondo ho fatto lavori ben peggiori ma nessuno è stato così fesso da pagare così tanti quattrini. Tutto bene fino a questa mattina, quando apro il mio solito Twitter e leggo il comunicato di vi riporto.
Sangue del demonio, ma come siamo messi in Italia? Con quale coraggio ci si presenta al pubblico con una campagna che sarà ricordata tra le più sciatte della storia e allo stesso tempo tra le più pagate? Dopo che abbiamo speso anni e anni di volumi e blog sulla comunicazione che ci hanno ammorbato con "l'ascolto" del pubblico nell'era del social media marketing, del conversational marketing e altre amenità rigurgitate da qualche pirlone in infradito che si gode il sole della California. Esisteva uno stile italiano, mitico. Era lo stile pubblicitario di Armando Testa, morto - pace all'anima sua- nel 1992. Già solo per questo non capisco come abbiano avuto il coraggio di riprodurre la sua firma sul comunicato. La Armando Testa è un po' il faro per chi fa comunicazione canonica, convenzionale. Questo tipo di comunicazione è classica, vecchia, datata. Converte poco, anzi per nulla. Si basa su baroni che segnalano, si passano il lavoro, sono di certi giri... Insomma, è un ambiente che è proprio lo specchio degli anni che furono. Per questo la Armando Testa si accaparra una "campagnona instore" - anche carina - per Esselunga: vi ricordate il tortellino che ricordava il cappello di Napoleone? Ecco, above the line. Immagino che anche in questo caso Esselunga ne abbia sganciati di sghelli (dato che è una azienda privata, benvenga e chi se ne fotte).
Torniamo al nostro drama topic powered by Santanchè storica imprenditrice delle spiagge più chic di quella Italia che conta, dove ci trovi appunto professionistoni e imprenditori che fanno gli splendidi a sbocciare dalla mattina alla sera, tutto questo cantando Tozzi a squarciagola con bengala che illuminano con la luce giusta le loro stories. Ora che ci siamo fatti un'idea del contesto di provenienza di queste menti eccelse che proprio non capiscono come noi fessi non avessimo capito ecco la prima puntellatura. Ecco qui, prendete subito una bustina di imodium: “Quando una campagna di promozione turistica rompe il muro dell'indifferenza e riesce a dar vita a un dibattito culturale così vivace come quello acceso in soli 5 giorni da Italia – Open to meraviglia, rappresenta sempre qualcosa di positivo”. Caro copy, sono cinque giorni che leggo critiche di ogni tipo arrivare da addetti del settore e anche da gente normale che fa altri lavori che è indignata dal fatto che 9 milioni di euro sono una cifra spropositata se paragonata al lavoro scadente che avete prodotto. Che si tratti di un budget ripartito non è un'attenuante, qualsiasi cifra sopra i 50 mila è un insulto alle agenzie di comunicazione. L'Italia che volete promuovere non è la vera Italia, è l'Italia del vostro immaginario fichetto e fake che proponete costantemente, a botte di cliché. Ci sono una montagna di motivi per i quali non c'è dibattito culturale. Il peggiore è questo: convincersi che se uno viene criticato da tutti diventa un genio, mentre invece è solo qualcuuno che ha avuto i suoi cinque secondi di popolarità. Open to prego.