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“Ho visto dal vivo il sangue di Trump...”: cronaca dall'America Profonda del primo attentato a un presidente Usa nell'era social

  • di Gianni Miraglia Gianni Miraglia

15 luglio 2024

“Ho visto dal vivo il sangue di Trump...”: cronaca dall'America Profonda del primo attentato a un presidente Usa nell'era social
Il rumore degli spari. Il sangue sul volto di Donald Trump. Il pugno alzato da pugile che vince per ko. Le prime notizie mentre in Italia è notte fonda. Cronaca in presa diretta di chi ha vissuto l'intera vicenda dagli Usa. Così l'ex presidente ha sfruttato i social trasformando un attentato contro la sua vita nel possibile pass verso la vittoria alle prossime elezioni

di Gianni Miraglia Gianni Miraglia

Insonnia continua da quando sono tornato dall’Oklahoma. Jet lag tipo Long Covid che alimenta la mia dipendenza da notizie topic. Pollice infiammato per eccesso di scrolling. Ma l’algoritmo mi ha premiato con l’odore del sangue di marca: quello di Donald Trump in posa da Rocky. Sono stato uno dei primi a vederlo, visto che sui siti italiani ancora non c’era nulla. I cosiddetti "veri giornalisti" ronfavano mentre io assistevo in diretta alla nascita di un Pulitzer già in atto, emanato da un semplice account americano su Instagram.

Lui, il Tycoon avido di supremazia, è animale da consenso ben consapevole dello strapotere dei social. E infatti ha subito sfruttato l’attentato, inventandosi il pugno in aria, da pugile che vince per ko. Neanche il dubbio che quel pugno chiuso rappresenti l'orgoglio comunista di un vetero compagno: questo è un orpello consolatorio per noi italiani. Tutt’altro, quelle nocche furenti e così iconiche attingono dai film anni '80, in cui le stelle e le strisce ancora trionfavano nel mondo con effetti speciali e steroidi. E vanno a sancire nell’immaginario il primo attentato a un potenziale reggente della Casa Bianca nell’era dei social.

Chi più di Trump sognava di essere nuovamente una vittima del deep state, per quel minestrone complottista che già si sta superando in queste ore sul web e che in parte lo appoggia? Scordiamoci l’eleganza vintage di Jfk sulla Limousine e la testa che esplode sul volto di Jackie O, col mignolo alzato.

Donald Trump
Il pugno di Donald Trump è già diventato un simbolo
https://mowmag.com/?nl=1

Stanotte ho sentito l’odore del sangue misto sugo da una sagra elettorale in Pennsylvania e il sudore dei fan, insaccati umani coi capellini MAGA - Make America Great Again. Istanti grezzi che diventano storia, e che vengono amplificati da smartphone e gente sconosciuta, in una forma di socialismo storiografico che dona immagini e clip che restano per sempre in chiunque le veda. Già era accaduto con gli ultimi istanti di Gheddafi, linciato dal suo ex-popolo assetato di vendetta, immagini in bassa definizione da un device di prima generazione.

Le scene dell’attentato di Trump, da un touchscreen mi hanno riportato alle giornate sotto il sole e i tornado di quel Southwest da cui sono appena tornato e in cui ho cercato contatti per esibirmi e scrivere. La cosiddetta America profonda, che di profondo ha ben poco, per come concettualizziamo la politica noi europei snob e che ci sentiamo superiori.

Laggiù la gente è curiosa e aperta, ma indecifrabile nel loro credo politico. Difficile da cogliere, anche solo per il look, la musica ascoltata o certi atteggiamenti che qui da noi ti connotano ideologicamente. Laggiù non si tratta di destra o sinistra, come la vediamo noi, ma di libertà individuale, più o meno accentuata. E Trump ne è l’iperbole, ne idealizza i sentimenti dalla pancia della gente: un autotune fatto a slogan che pompa, uniformando e dividendo al contempo, in cui tutti sono invitati e vincenti.

Donald Trump
The Donald è il simbolo dell'America Profonda

Il sogno trumpiano include nel nome di quella parola che vuol dire tutto e niente: freedom, ovvero la libertà di farsi gli affari propri e anche di sparare a chiunque ti entri in casa o, se sei uno "sbiellato", direttamente al politico che più odi. Trump per quella America profonda è l’ologramma di un darwinismo con l’happy ending obbligatorio; e quindi se perdi è solo colpa tua. Tutti possono fanne parte, ricchi e poveri con le pezze al culo, costretti ad arruolarsi e saltare sulle mine per pagarsi il mutuo.

La trasposizione che dall’iper-narrazione personale trumpiana si espande a un intero popolo. Precursore ne fu il nostro faraone arcoriano, a cui dell’aeroporto titolato a suo nome dai boiardi senza talento di adesso non fregherebbe nulla: per lui contava di più essere vivi, fare soldi, avere consenso e vantarsi della figa.

In questo pomeriggio post primo attentato nell'era dei social, una postilla: per quanto certa America sia inconcepibile per noi europei, che ci crediamo migliori per via della nostra cultura millenaria, ricordiamoci che laggiù, nonostante la schiavitù, lo sterminio dei nativi e certe nefandezze del capitalismo liberista, nessun Duce o Fuhrer ha mai governato (e mai accadrà, perché Trump non è quella cosa).

Gongoliamoci , perché noi siamo così superiori da ricadere pian piano nelle nostalgie nazionaliste, ma non preoccupiamoci. Perché, tanto, lo zio Sam, tra un nuovo social e l’altro, sfornerà sempre carne da cannone da mandare a morire in giro per il mondo, per conquistare e imporre democrazia e globalizzazione. E anche per liberare quei fessi di europei che ciclicamente ricadono nei cosiddetti errori del passato. Make Europe Smart Again.

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