Dal celebrare con sobrietà, l’annuncio è di martedì, si è passati ora – pur garantendo che non si vuole vietare nulla – al non celebrare quasi per niente la Festa della Liberazione. A dirlo, in un’intervista, con altre parole, è il ministro della Protezione civile Nello Musumeci: “Ci auguriamo che, come a volte accade nelle manifestazioni di strada, non ci siano degenerazioni, scontri, toni violenti. Lo speriamo sempre, ma in questo caso c’è anche una forma di rispetto che si dovrebbe ai tantissimi pellegrini, fedeli, molti gli stranieri, che sono a Roma o che verranno per le varie manifestazioni del Giubileo — solo 120 mila ne sono previsti per quello dei giovani — e dei funerali del Pontefice. Balli e canti scatenati si potrebbero evitare, ecco, mentre la salma è ancora non tumulata”. Insomma, magari non siete credenti, magari credete di essere cittadini italiani (Stato laico) e non cittadini vaticani, ma vi sarà vietato comunque ballare. Solo a Roma? Mah, a questo punto diremmo ovunque. Bologna, ex Stato pontificio, dovrebbe passare un 25 aprile di silenzio, cosa più innaturale che altro. Giustamente la sinistra protesta.
Ci sarebbe molto da dire sul modo di intendere la laicità in Italia, dal momento che la stessa sinistra, per esempio, non protesta per le vacanze di Natale o di Pasqua (ma vorrebbe togliere i crocifissi dalle scuole). Forse il modo migliore di intendere la laicità sarebbe scordare i francesi, che son laici in un senso tanto radicale, ma soprattutto radicato, che non potremmo somigliargli neanche volendo. La nostra storia, la nostra identità, costruita sui due filamenti a spirale della storia delle invasioni e della storia dell’unico grande Stato autoctono della Penisola, il Vaticano, meriterebbe altre riflessioni, più profonde di quelle che, in questi giorni, sono state gestite dai critici del governo e dai giornali filogovernativi (un ping pong di banalità, né più né meno). Tuttavia, che si critichi o si dimostri amore per questo 25 aprile, va da sé, è un atteggiamento sano. Il 25 aprile dovrebbe portare a uno stato di attenzione, di eccitazione assoluta, di nervi a fior di pelle contro la repressione. Dunque, anche la minima controversia non va banalizzata e si fa bene a discuterne.

Il problema, però, è che questa attenzione non può essere selettiva. Perché non si dice nulla, per esempio, sui Giovani palestinesi, che da giorni fanno propaganda antisionista (si legga: antisemita) alimentando un possibile scontro contro la Brigata ebraica e pretendendo di guidare i cortei del 25 aprile, come segno presente della Resistenza partigiana? “Quella che con una bieca operazione di revisionismo storico viene celebrata come ‘Brigata ebraica’ era composta in realtà da assassini, dagli autori materiali della Nakba, che nel 1948 hanno portato avanti un’intensa operazione di pulizia etnica in Palestina commettendo stragi e distruggendo villaggi per fondare l’entità sionista coloniale” scrivono in un post. Si dica che quegli “assassini” hanno sfondato la Linea Gotica ad aprile del 1945, o che combatterono sul fronte adriatico contro i tedeschi. O che aiutarono, a fine guerra, i superstiti dell’Olocausto. I Giovani palestinesi aggiungono: “Riteniamo inaccettabile che nel corteo antifascista trovino spazio anche figure e gruppi che rappresentano il sionismo, il colonialismo e la guerra”. Poi: “Per noi la resistenza palestinese è l’erede e l’incarnazione più autentica dello spirito partigiano” (essendo giovani e palestinesi, o amici di giovani palestinesi, difficile ricordare, a favore dell’unità e dell’attualizzazione dello spirito della Resistenza, quella ucraina, che dura da tre anni, contro un regime che ha invaso arbitrariamente, iniziando una guerra – come la guerra, in Medio Oriente, l’ha iniziata Hamas – su territorio ucraino).
I Giovani palestinesi sono quelli che chiamano Israele “entità sionista”. Dove abbiamo già letto queste parole? Sicuramente nel Manifesto del 1985 di Hezbollah, dove si promette l’annientamento di Israele. E poi nel documento diffuso da Hamas a pochi mesi dall’attacco del 7 ottobre per spiegare l’operazione Diluvio Al Aqsa. E nei discorsi di Saddam Hussein, antisemita convinto della veridicità dei Protocolli dei savi di Sion. Dire “entità sionista” serve a non dover neanche pronunciare il nome di Israele, di cui si nega ogni diritto a esistere. L’idea è tornare ai fasti dell’Impero islamico. E per questo termini del genere fanno il paio con le parole pronunciate da Ahmadinejad il 27 ottobre del 2005, durante un convegno intitolato A World without Zionism: “Chi accetta l’esistenza di Israele firma la sconfitta del mondo islamico”. Pensiero fortemente condiviso, tra gli altri, da Osama bin Laden. Allora chiamiamo questa resistenza per quello che è: revanscismo ottomano. Davvero contro di esso la sinistra ormai non ha nulla da dire?
