È stato definito in molti modi, “il clone impazzito di Trump”, uno psicopatico, un criminale, un pagliaccio. È stato definito un fascista, nell’epoca in cui tutto viene definitivo in odore di dittatura tranne ciò che dittatura è. Javier Milei è il presidente dell’Argentina ma non è lo Stato (“vuoi offendermi”) e se gli dici comunisti chiudi i pugni e si preparare per una rissa. Milei è, nel vero senso della parola, un miracolo. Cinquantasei per cento di voti partendo dal nulla. È diventato il leader di un Paese sull’orlo del baratro per colpa delle politiche socialiste e della pressione fiscale e non ha promesso niente, non ha raccontato favole, non ha finto che le cose si sarebbero risolte da un momento all’altro. Sui giornali la sua riforma viene raccontata come un tentativo di golpe e di accentramento di poteri che mira a distruggere il tessuto democratico garantito dalla presenza di uno Stato forte. Cazzate. Chiamano golpe l’unico tentativo strutturale di eliminare qualsiasi possibilità che lo Stato continui la sua marcia verso il totalitarismo. “Un futuro esiste se quel futuro è liberale”. E per arrivarci bisogna tagliare la casta, come ha fatto lui (smetterla di alimentare un sistema parassitario, che si nutre di soldi che ruba ad altri settori privati, togliendo posti di lavoro con il gioco delle tre carte: prelevo i tuoi soldi con le tasse, costruisco un ponte, creo posti di lavoro fittizi, fin quando avrò ponti da costruire, mentre l’economia reale perde parte dei risparmi che i cittadini avrebbero potuto scegliere di spendere liberamente. Lo spiega da Nicola Porro a Quarta Repubblica, uno di quei rari momenti televisivi che vale la pena di registrare, di salvare, di appuntare, di mettere su carta. Una lezione di economia e morale che noi ci ostiniamo a non capire, nonostante i tanti esempi, nonostante il marchio di fabbrica del socialismo su due degli eventi peggiori della storia umana recente: lo stalinismo e il nazismo.
Da Porro il presidente Milei illustra l’obiettivo del suo governo: “Vincere lo status quo, che sono i politici corrotti in possesso dello Stato. C’erano diciannove ministeri, ora ne abbiamo otto. Abbiamo buttato fuori più di cinquantamila dipendenti pubblici, più di diecimila contratti non sono stati ritrovati, vi sono duecentomila programmi sociali che erano portati avanti in modo regolare e li abbiamo licenziati”. Questi numeri e queste parole feriscono le orecchie dell’italiano abituato ad ascoltare i tanti discorsi dei politici italiani, dove l’occupazione è una promessa della politica, l’apertura delle casse dello Stato così che tutti possano prendere qualche moneta è la speranza disegnata all’orizzonte da mani che Milei, come tutti gli anarcocapitalisti, definirebbe criminali. Inizia così la sua intervista: “Filosoficamente sono anarcocapitalista e quindi sento un profondo disprezzo per lo Stato. Io ritengo che lo Stato sia il nemico, penso che lo Stato sia un’associazione criminale. Di fatto lo Stato è un’associazione criminale in cui un insieme di politici si mettono d’accordo e decidono di utilizzare il monopolio per rubare le risorse del settore privato. Il metodo dello Stato è rubare. Ogni volta che vai a comprare qualcosa in un luogo, lo Stato ti deruba tramite le tasse; quindi, lo Stato ti ruba tutti i giorni. Lo Stato ha il potere di arrestare le persone mentre i politici non vedono conseguenze, non vedono i loro poteri in gioco”. Allora che fare? Entra nel sistema “per dinamitare il sistema”. Ed è quello che sta facendo, tanto che Corti, deputati, opposizioni stanno tentando di affossare la sua riforma. Ma come si riforma un sistema marcio come quello argentino? Prendendo la tovaglia con i piatti rotti e buttarla via. E come gridano allo scandalo i socialisti? Accusando Milei di aver rotto i piatti.
Ma cosa significa essere anarcocapitalisti? In termini pratici e imminenti questo: “La Cina non entra qui. Putin non entra qui. Lula non entra qui”. I nemici della libertà (che coincidono con i nemici dell’Occidente in questa particolare fase storica) non avranno mai un posto a tavola. Non vengono invitati. In termini teorici ci sono alcuni punti fondamentali, uno dei quali espresso proprio da Milei a Quarta Repubblica: “Lo Stato ruba tutti i giorni”. Qual è il principale strumento di un anarcocapitalista? La logica. Un esempio: “La corruzione si riferisce alla presenza dello Stato, perché esiste un funzionario che è disposto a vendere un favore. Gli imprenditori non posso comprare favori che i politici non possono vendere. Per questo l’opera pubblica è una grande fonte di corruzione”. Ecco perché meno Stato significa necessariamente meno corruzione. Per definizione la corruzione è un accordo illecito tra chi può pagare e chi può offrire qualcosa. Ma gli unici accordi illeciti che hanno questa forma sono quelli tra pubblico e privato o tra due funzionari pubblici. Qualsiasi accordo del genere, uno paga e l’altro offre, nel privato è solo uno scambio commerciale, al pari di quello che concludiamo ogni volta che andiamo a comprare un gelato e diamo dei soldi in cambio. È chiaro allora che il problema sia il pubblico. Cosa fa allora uno come Milei? Usa la motosega: “Sono orgogliosissimo di aver mostrato la motosega in campagna elettorale. Ho tagliato la dimensione dello Stato”.
Milei è al settantacinque per cento italiano, “perché i due genitori di mio padre erano italiani e da parte di mia madre la mamma era di origine italiane”. E questo crede abbia influito sulla sua passione per l’opera: “Rossinini, Bellini, Donizetti, Verdi, Puccini. Tutto è nato con il Nabucco. Io non mi arrabbio mai, io sono un appassionato. Sono come un personaggio di Puccini”. L’altro Paese che ammira è Israele. Lo ha visitato prima di venire in Italia e si è commosso sul muro del pianto. Milei è partito da solo: “Eravamo in due. Un giornalista piuttosto volgare ha detto che eravamo solo due persone in un ambito di centocinquantasette deputati, non riuscirete a far nulla perché non siete nulla. Io gli ho ricordato che nel primo libro dei Maccabei, 3:19, la vittoria della lotta non dipende dalla quantità dei soldati ma dalla forza che arriva dal cielo”. Ma com’è possibile vincere, chiede Porro, dicendo alla gente: “Votatemi, ma io non vi do nulla. Vi ammazziamo dal punto di vista sociale”? E Milei risponde citando l’economista spagnolo Jesús Huerta de Soto: “I piani contro la povertà aumentano la povertà, i piani contro la disoccupazione aumentano la disoccupazione. Evidentemente il cinquantasei per cento degli argentini lo ha capito molto bene. C’è sete di libertà”. Anche in Italia c’è? Forse di meno. Milei ha incontrato il Papa, con cui si è trovato per motivi di fatto (“è l’argentino più importante, il capo dei cattolici”) a costruire un rapporto positivo pur pensandola in modo diametralmente opposto, e la premier Giorgia Meloni: “Ammirevole per il suo coraggio. Mi ha ispirato molto, poi uno prende ispirazione e continua su quella strada”. Una strada di lotta costante verso la casta (“i politici non sono lo specchio della popolazione; sono il peggio della popolazione”) e verso i comunisti: “Non esistono più? Ci sono moltissimi socialisti che a lungo termine vorrebbero arrivare al comunismo. Sono dei comunisti vigliacchi. Il comunismo è stato sconfitto dalla teoria economica. Allora ho pensato che i comunisti si rifiutassero di apprendere. Quindi ho pensato fosse un problema mentale. Ma poi mi sono reso conto che era qualcosa di molto peggio, una malattia dell’anima. Quando il socialismo è stato applicato bene non dobbiamo dimenticare che hanno assassinato più di sei milioni di esseri umani”. Se non volete che l’anima marcisca, guardate l’orizzonte libertario. Guardate a Milei. Viva la libertad, carajo!