Nelle ultime ore ha fatto il giro del web e dei social una notizia che ha acceso l’indignazione di molti: Mario Sechi avrebbe preso il posto di Alessandro Barbero a Rai Storia, “defenestrando” lo storico più amato d’Italia. Il titolo, rimbalzato in post e commenti o anche su whatsapp, sembrava perfetto per alimentare le critiche e i sospetti sulla Rai "meloniana". Peccato che fosse falso. Tutto nasce da un post su Facebook e da un articolo apparso su Gli Stati Generali, impostato in chiave provocatoria e poi rimosso. Quel testo suggeriva, senza conferme, che l’ex direttore dell’Agi, portavoce di Palazzo Chigi e ora direttore del quotidiano Libero, fosse entrato nel palinsesto di Rai Storia al posto di Barbero. In realtà Sechi aveva condotto un suo programma, "Che magnifica impresa", sei puntate prodotte da Rai Cultura e trasmesse a dicembre 2024: un progetto senza collegamento con le rubriche di Barbero.

Eppure, la miccia era accesa. Alcuni siti hanno rilanciato con toni allarmistici. Il portale Politicamente Corretto ha pubblicato un pezzo titolato “Mario Sechi al posto di Barbero a Rai Storia? Non scherziamo proprio, signori”, dove si chiariva che il professore non era stato toccato. Ma intanto la narrazione di un Barbero “epurato” prendeva piede. A ruota è arrivato anche Virgilio, che ha prima lanciato l'allarme, e poi ricostruito il caso sottolineando come la notizia fosse basata su un equivoco e amplificata dai social. Infine, siti specializzati nel debunking come Bufale.net hanno certificato l’inganno: nessuna sostituzione, nessun siluramento.

Noi di MOW ce ne siamo accorti subito, infatti abbiamo pubblicato già ieri l'articolo in cui la notizia veniva smentita. Ma questa vicenda è un manuale su come nasce una fake news: un accostamento ambiguo (Sechi su Rai Storia equivale a Sechi al posto di Barbero), uno o più post social emotivi, la diffusione incontrollata e la lentezza o l'assenza della verifica da parte dei giornalisti. È la dinamica del ragebait: contenuti progettati per scatenare indignazione immediata, click e condivisioni. Il risultato è che in poche ore una bugia si trasforma in tendenza, costringendo le testate più serie a inseguire la smentita. Ma il danno resta: molti continueranno a credere che Barbero sia stato “cacciato” e questo caso ci ricorda che nell’era digitale non basta indignarsi: occorre verificare, andare oltre il titolo, distinguere un fatto da un’interpretazione. Solo così si può spegnere l’incendio di una fake news.
