Brutta bestia, la propaganda di guerra. In qualche maniera fa in modo che non si possa parteggiare per la pace senza al contempo non “tifare” per una delle parti. E alla propaganda risponde sempre una contropropaganda. Così stanno le cose e l’umano, puntualmente, ci casca. A proposito del conflitto israelo-palestinese, la senatrice Liliana Segre, nel libro “Non posso e non voglio tacere”, a cura della giornalista del Corriere della Sera, Alessia Rastelli e pubblicata da Solferino, cerca di tirarci fuori dalla macchina propagandista con una riflessione importante: “Trovo mostruoso il fanatismo teocratico e sanguinario di Hamas e delle altre fazioni terroristiche che hanno provocato la nuova guerra. Ma, senza con questo confondere un esecutivo democraticamente eletto con un gruppo terroristico, sento anche una profonda repulsione verso il governo di Benjamin Netanyahu. E verso la destra estremista, iper-nazionalista e con componenti fascistoidi e razziste al potere oggi in Israele. È chiaro che, dopo un trauma come quello del 7 ottobre, qualunque governo israeliano avrebbe reagito con durezza. Ma la guerra a Gaza ha avuto connotati di ferocia inaccettabili e non è stata condotta secondo i principi umanitari e di rispetto del diritto internazionale che dovrebbero guidare Israele”.

Ma la senatrice si spinge oltre, evidenziando la confusione, “propagandistica” appunto, che sembra attraversare l’Occidente di fronte alla questione della linea di Gaza: così come Benjamin Netanyahu non rappresenta tutti gli israeliani e men che meno gli ebrei della diaspora che israeliani non sono, allo stesso modo Hamas non rappresenta i Palestinesi, “Hamas non è il popolo palestinese, non fa gli interessi del popolo palestinese e non si batte per dare ai palestinesi la possibilità di autodeterminarsi in uno Stato. Vuole la distruzione di Israele e lo stesso vale per il regime degli ayatollah iraniani, sciiti, al quale non interessa nulla dei palestinesi, sunniti, ma li strumentalizza al solo scopo di combattere quella che chiama “entità sionista”. E aggiunge: “Hamas non è il popolo palestinese, non fa gli interessi del popolo palestinese e non si batte per dare ai palestinesi la possibilità di autodeterminarsi in uno Stato. Vuole la distruzione di Israele e lo stesso vale per il regime degli ayatollah iraniani, sciiti, al quale non interessa nulla dei palestinesi, sunniti, ma li strumentalizza al solo scopo di combattere quella che chiama entità sionista”.

Non sono pochi gli amici ebrei ed israelieni che la pensano come la senatrice Segre, soprattutto perché l’antisemitismo strisciante e subdolo, che fino a poco tempo fa era tenuto in qualche maniera a bada, torna a prendere vigore e sfrontatezza a causa di Hamas e di Netanyahu che non rappresentano, è bene ribadirlo, le posizioni del popolo israeliano e di quello palestinese. In un’epoca di leadership personalista che rasenta (e spesso sopravanza) la malattia mentale (non sono uno psichiatra, ma per me vale il buon vecchio detto “se ne ammazzi uno sei un killer, se ne ammazzi migliaia sei uno statista”) c’è da pensare che sulla striscia di Gaza penda il futuro non dei Palestinesi e degli Israeliani, bensì quello di Hamas e di Netanyahu ed i suoi falchi, che dalla fine del conflitto, dal cessate le ostilità, dal “Due popoli due stati”, non avrebbero che da perderne: scomparirebbe la loro funzione che è quella di combattere un “nemico” che, bisogna ripeterlo all’infinito, non è né il popolo palestinese né il popolo israeliano. Come spiega la senatrice Liliana Segre – e sarebbe bene che tutti i “pro” qualcosa leggessero qualche volume storico non propagandistico - “Israele ha commesso molti e gravi errori nei confronti dei palestinesi, anche prima del 7 ottobre 2023, ma il ritiro completo di esercito e coloni israeliani da Gaza nel 2005 aveva aperto una possibilità che non andava sprecata. Come invece è accaduto con la cruenta presa del potere da parte di Hamas nel 2006 e la proclamazione della “guerra eterna” contro Israele”. Come si sa, da “Le categorie del politico” di Carl Schmitt al film “Codice d’Onore” con uno strepitoso Jack Nicholson, gli Stati non si fondano su Tradizione, Cultura e varie amenità: gli Stati, i confini, gli eserciti, si fondano sl concetto di ‘nemico’. Senza nemico niente ‘Stato’. Come alcuni umani, arrivati al Potere, continuino a mettere in pratica questa formula resta un mistero che ha una parziale spiegazione proprio nell’essere umano; proprio dentro ognuno di noi; incapaci di darci una identità cerchiamo di darcela attraverso un ‘nemico’. Mentre il nemico è unico e dovrebbe unirci: il nemico è la ‘Natura’ che, per sua costituzione, ci vuole morti, tutti, senza distinzione di credo, di cultura o di colore della pelle. Detto questo, a nulla valgono le diatribe fra I Patagarri che inneggiano a "Free Palestine" dal palco del Primo maggio e le critiche della Comunità ebraica, oppure i litigi social tra David Parenzo e Valerio Lundini. Infatti, meglio chiudere con una citazione di Bill Burr che, nel suo ultimo special, “Drop Dead Years”, si chiede: “Come è possibile che nel 2025 la guerra sia ancora legale?”. E aggiunge: “La cultura woke mi impedisce di dire ‘ciccione’ a quello che mi ha rubato l’ultimo pezzo di pizza. Però posso bombardarlo”.
