In questo periodo fanno molto discutere i testi di alcuni cantanti (o artisti), soprattutto quelli appartenenti al genere trap, che sono stati presi di mira per le loro frasi “violente” e per il presunto mancato controllo da parte dei discografici. Un improvviso interesse lievitato dopo l’assassinio di Giulia Cecchettin, anche se quel tipo di frasi c’erano già da tempo (o per meglio dire da sempre, in quella categoria di brani). Angelo Calculli, su MOW, ha scritto vari articoli in merito, analizzando il panorama musicale e i suoi problemi. Ma ora fanno molto rumore le frasi dello psichiatra Paolo Crepet, che a “In altre parole” su La7 ha detto che “chi ascolta la trap diventa un drogato. Trap vuol dire droga, trapping vuol dire drogarsi”, suscitando la reazione del rapper Frankie Hi-Nrg: “È una sua deduzione. La trap music non c’entra niente con il drogarsi”, la sua replica. Al riguardo abbiamo chiesto il parere del neurologo Rosario Sorrentino.
Dottor Sorrentino, ha letto le dichiarazioni di Paolo Crepet sull'associazione tra la musica trap e la droga?
Sì, ma bisogna stare attenti quando chi, come noi, ha l'opportunità di commentare e analizzare dei comportamenti emergenti, perché si rischia poi di generalizzare e a volte demonizzare, come nel caso specifico, un genere musicale. Ci tengo a precisare che neanche io condivido i testi delle canzoni trap, ma non sono d'accordo con una demonizzazione tout court. La musica trap, infatti, non rientra certo tra le mie favorite ma, detto questo, è come se noi, nel tentativo di interpretare certi fenomeni, dicessimo che ogni volta che c'è una bottiglia di vino a tavola diventiamo tutti alcolisti. Bisogna saper distinguere da caso a caso.
Secondo lei perché piace la musica trap?
Piace per il suo ritmo, immediato, che coinvolge subito chi lo ascolta. I testi non sono assolutamente condivisibili, ma demonizzando un'intera generazione si rischia poi di cucire addosso un vestito a persone che non hanno nulla a che vedere né con la droga né con quei testi. Al di là del caso specifico, che a volte produce un nulla di fatto nel criticare un certo mondo, se si ha a cuore il futuro degli adolescenti, bisogna promuovere una capillare campagna istituzionale. Più che sulla critica, a volte esasperata, su questo o quel genere musicale, noi dovremmo mirare all'informazione e alla formazione, perché altrimenti si rischia di bollare delle persone che non hanno nulla a che vedere con queste abitudini, come quella di assumere droghe, e paradossalmente spingerli ad aderire a questi comportamenti che sono sempre da censurare. Bisogna puntare sempre di più all’informazioni nelle scuole, nelle famiglie, con incontri generazionali. Poi possiamo criticare qualunque genere musicale, ma non credo che tutti quelli che ascoltavano i Pink Floyd o il Led Zeppelin, ammaliati da quella musica, che tanto ha scandito i ricordi tra giovinezza si drogassero o fossero tutti eroinomani.
Il mondo discografico dovrebbe o non dovrebbe intervenire nella "revisione" di determinati testi?
Assolutamente sì, ma per fare questo, bisogna portarli dalla nostra parte, perché, con il loro contributo, vista la fascinazione che esercitano sui giovani, possono fare molto per sensibilizzare quella fascia di età. Quello che farei è portare gli influencer e i cantanti dalla nostra, cercando di coinvolgerli e cercando di sensibilizzare quel mondo, perché poi l'effetto imitativo può essere, in certi soggetti predisposti, molto impattante. Quando utilizzo il termine “predisposti” intendo che bisogna partire sempre dalla genetica, dalla biologia che interagiscono con quello che si chiama ambiente ed entrambi contribuisco a creare quella che si chiama personalità. Quindi sì alla prevenzione ma no alla demonizzazione, perché demonizzare a volte vuol dire semplificare e mi rendo conto che da un punto di vista mediatico questo possa fare un certo effetto, ma io non me la sentirei proprio di individuare in alcuni ambienti piuttosto che in altri, una causa o una responsabilità predominante.
Sta dicendo che le frasi di Crepet hanno più che altro lo scopo di far alzare lo share?
No, non dico questo, ma dico che Crepet lancia dal suo osservatorio un allarme, che comunque ci può far riflettere, ma puntare il dito così, contro tutto quel mondo non aiuta ad avvicinare le parti e a volte si corre il rischio di creare addirittura un'ulteriore contrapposizione e quindi contribuire a quello stereotipo e a quel paradigma che non è mai andato in soffitta del “bello e dannato”, di colui che trasgredisce. Noi sappiamo quanto questi paradigmi, soprattutto nei giovani, subiscano una certa fascinazione.
Quindi dovremmo "avvicinare" questi artisti e farli anche riflettere sui contenuti dei loro testi?
Assolutamente sì. Bisogna avvicinarli a noi per averli come aiuto, soprattutto per gli adolescenti, che hanno un cervello particolarmente vulnerabile e predisposto a quella voglia di trasgressione dettata dall'assetto emotivo del loro cervello non ancora maturo.
In conclusione, che cosa si sente di dire?
Vorrei dire che chi ha il privilegio, tutti, nessuno escluso, di rivolgersi agli altri tramite i media non dovrebbe mai cedere alla tentazione di ergersi a censore assoluto, ma andrebbero trovate delle forme di interpretazione e soluzione sui comportamenti emergenti un po’ meno banali.