Dov’è finita l’Europa del Green deal? È in volo su un jet privato, continuando a smentire sé stessa. Il caso ha creato talmente tante polemiche che è già noto ai più: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, strenua guardiana del grande piano per la transizione ecologica dell’Unione europea nel corso del suo primo mandato, insieme al presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa e a quella del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, sono stati pizzicati a utilizzare un jet privato per spostarsi da Bruxelles al Lussemburgo, appena 187 chilometri di distanza in tutto. Una distanza minima, che sarebbe stata percorribile con mezzi di trasporto meno impattanti sull’ambiente, in piena coerenza con la direzione ecologista che l’Unione europea ha imposto seppur con molte resistenze a suon di regolamenti. E, invece, i leader europei si sono messi ancora una volta nella posizione di essere facilmente criticabili dai detrattori della decarbonizzazione, decollando a bordo di un jet privato. Un volo privato di quel tipo emette due tonnellate di emissioni di carbonio, ovvero un quarto di quello prodotto da un europeo medio in un anno intero. Dunque un mezzo di trasporto non solo altamente inquinante, specie perché porta generalmente meno persone e quindi aumenta la percentuale CO2 prodotta per passeggero rispetto a un volo di linea, ma anche simbolo dell’élite, e perciò facile preda della retorica anti-establishment: “Siamo di fronte all’ennesima dimostrazione di una élite scollegata dalla realtà, che impone limiti ai motori termici e tasse ambientali, ma non rinuncia ai propri privilegi”, ha detto la deputata leghista Susanna Ceccardi, che mercoledì ha annunciato un’interrogazione a risposta scritta alla Commissione per chiedere quanti voli von der Leyen ha preso dal 2019 a oggi”. Insomma, un’altra volta l’Unione europea è caduta nella trappola che pare essersi approntata da sola.

Gli alti funzionari Ue hanno spiegato la scelta impopolare parlando di “scelta eccezionale” dettata “dall’agenda di giornata”. Sul finire della scorsa settimana è arrivato a Bruxelles il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, per incontrare le tre cariche europee. L'ultima visita, quella a Metsola, era fissata per le 12:30, ma alle14:00 i leader erano attesi a Lussemburgo per l'evento in occasione del 75esimo anniversario della dichiarazione di Robert Schuman. "L'unica opzione di viaggio per consentire a tutti loro di partecipare insieme e in orario alla commemorazione della Dichiarazione Schuman era prendere un volo charter. È così stata scelta questa opzione per arrivare a destinazione", hanno spiegato dalla Commissione. Ma a quel punto le critiche erano già iniziate a piovere a dirotto. Tanto più se si considera che von der Leyen era già stata colta in fallo negli anni passati: un anno fa, fu il settimanale tedesco Der Spiegel a parlare dei viaggi in jet della presidente, mentre uno scoop del quotidiano britannico Telegraph aveva documentato 18 “air taxi” presi da con der Leyen a partire a 2019 su un totale di 34 viaggi ufficiali. A destare maggior scalpore era stato quello utilizzato per percorrere gli appena 50 chilometri che separano Vienna e Bratislava. Di fronte a casi come questi, l’Unione europea ha sempre preferito non scendere nell’agone dello scontro politico con chi ne avversava i comportamenti ambigui rispetto alle politiche. Ma la retorica – spesso strumentale – da cui comprensibilmente fugge è spesso utilizzata per giustificare politiche ambientali che sembrano parlare ad un’Europa che non esiste, imponendo vincoli e obbligando numerosi settori produttivi a rivoluzioni a metà, che destano più ansia e preoccupazione anzihé fiducia rispetto alla direzione presa. Ed è soprattutto per questo che, oggi, i vertici europei sono totalmente sguarniti di fronte agli attacchi retorici della politica contraria alla transizione.
