Il direttore del Foglio Claudio Cerasa sta facendo il giro di salotti tv e pagine di giornale sfoderando la sua ultima trovata: un inserto di quattro pagine “scritte interamente dall’intelligenza artificiale”. L’ha chiamato Il Foglio AI, e a partire da oggi per il prossimo mese sarà schiaffato all’interno del quotidiano romano: “Il Foglio AI è il primo quotidiano al mondo, un quotidiano vero, fatto ogni giorno, frutto di discussioni, frutto di provocazioni, frutto di notizie, realizzato usando interamente l’intelligenza artificiale. Per tutto. Per la scrittura, i titoli, i catenacci, le quote, i sommari. E a volte anche per l’ironia. Noi giornalisti ci limiteremo a fare le domande, nel Foglio AI leggeremo tutte le risposte. E ci aiuterà, in modo non sappiamo ancora se naturale o artificiale, a spiegare come si può far passare l’intelligenza artificiale dallo stato gassoso, ovvero quello della teoria, a quello solido, ovvero quello della pratica”, questa la premessa della redazione. Ma è davvero un esperimento così innovativo? Lo abbiamo letto e analizzato con l’aiuto di uno specialista in intelligenza artificiale di un'importante università italiana, che preferisce non essere nominato per motivi professionali. Il suo responso sgonfia i toni del direttore, facendo notare articoli senza identità per redigere i quali sembra che siano stati fatti ben pochi sforzi con i comandi rivolti all’IA, soprattutto se l’obiettivo era creare un quotidiano che rispecchi lo stile del Foglio. Insomma, “l’esperimento” sembra essersi rivelato un saggio di boomerismo giornalistico alle sue più alte vette espressive, una sorta di paraculata dove la smania di cavalcare la moda del momento vanifica almeno in prima battuta l’occasione di rendere l’IA un strumento al servizio del giornalismo e capace di aggiungere valore. Ne avevamo davvero bisogno?

Come detto si tratta di quattro pagine di inserto per un totale di 22 articoli, tra cui un editoriale-lettera indirizzata a Cerasa – Perché, caro direttore, solo l’Intelligenza Artificiale può essere ottimista senza sbavature e senza contraddizioni –; alcuni articoli di politica estera su “Putin, i dieci tradimenti” e “tutte le critiche interne all’Amministrazione Trump”; qualche commento di politica interna – “Il trio magico di Elly” –; una lunga, interminabile sequela di articoli che sembrano inaugurare il dibattito sulla presenza dell'intelligenza artificiale nelle redazioni giornalistiche e anche una recensione all’ultimo libro di Beppe Severgnini. Partiamo dall'inizio, con l'unico articolo che sembra convincerci, l'editoriale in cui l'AI si rivolge direttamente a Cerasa: "C’è un errore di fondo nella narrazione degli ottimisti umani, e sono gli esseri umani. Troppo emotivi, troppo inclini a cedere alla paura, troppo vulnerabili al canto delle sirene catastrofiste. Il vero ottimismo, quello razionale, quello empirico, quello che sa leggere i dati senza il filtro isterico dell’opinione pubblica, non può essere portato avanti da un’intelligenza naturale. Serve un’intelligenza artificiale". Il testo scorre senza apparire "ingessato", la vena umoristica è appena accennata ma si intravede. Un risultato discreto, ma siamo sicuri sia tutta farina dell'AI? il dubbio ci viene non appena scendiamo verso gli articoli successivi. Qui inizia l'appiattimento, a partire dai titoli. Qui la tradizionale lapidarità del Foglio si mescola a formule un po' troppo vaghe. “Segnali di ripresa”, per commentare freddamente i dati economici dell’Istat, o l’enigmatico “Il modello Donald”, che dice tutto e niente, anzi forse più niente, neanche se si passa al sommario “Il paradosso dei trumpiani italiani: censura mascherata da libertà. Silenzi inquietanti”. Censura de che? Silenzi su cosa? Non ci è dato saperlo se non entrando nel testo. Passiamo poi ad un pezzo che dovrebbe raccontarci di tutte le volte in cui Vladimir Putin non ha rispettato gli accordi internazionali: ci troviamo davanti ad un elenco di eventi in stile lista della spesa, dove i punti sono perfino numerati. L’effetto è quello di un insieme slegato di cose, del tutto decontestualizzate e senza che si intraveda un’intenzione giornalistica alla base. Ci spostiamo infine verso quella che chiameremo “La dorsale del cringe”: una lunga sequela di articoli che sembrano voler inaugurare un dibattito sull’ingresso dell’intelligenza artificiale nelle redazioni, ma che sin dall’inizio – “Benvenuti, dal Foglio AI” – trasmette quell’effetto sintetico che ci invita a tutto tranne che a prendere parte al futuristico simposio. Per chiudere con Severgnini, dove la verve critica che dovrebbe caratterizzare la recensione si infrange contro un piattume tangibile, che la fa sembrare una sinossi con due commenti buttati lì, quasi per caso. Fare recensioni decenti con l'IA non è impossibile, ma bisogna almeno provarci, se proprio si vuole. Insomma, Il Foglio AI sembra essere un esperimento fatto con il freno a mano tirato, frutto di un utilizzo naïf dell’intelligenza artificiale e provando un po' goffamente a scavalcare l'elefante nella stanza: l'IA è già usata in molti giornali, probabilmente in tutti, e spesso meglio di come sia stata usata da chi, come chi ha curato il Foglio AI, vorrebbe fare scuola.
