Il Giappone: tutti ne parlano, tutti vogliono visitarlo, tutti lo sognano a occhi aperti. Abbiamo intervistato Flavio Parisi, italiano che vive a Tokyo da 20 anni, per chiedergli qualcosa in più sul Paese più cool del momento. Nel suo ultimo libro “Cadere sette volte, rialzarsi otto. Il Giappone e il giapponese per autodidatti” (Utet), Parisi spiega i segreti della nazione asiatica. Dalla musica al cibo: ecco perché dovete mollare tutto e volare subito in Giappone.
Di cosa parla il suo ultimo libro?
Ha un'impronta linguistica, quindi potremmo quasi dire che il libro è una specie di guida su come si potrebbe imparare il giapponese. Il mio modo, quello che spiego nel testo, consiste nell'arrivare in un Paese senza saperne quasi nulla della sua lingua e cercare di assorbire il più possibile. Questo è quello che ho fatto io una volta arrivato in Giappone. Poi, accanto alla lingua, ci sono tanti concetti culturali difficili da tradurre. Bisogna fare lo sforzo per capire la mentalità e il modo di pensare di un dato popolo. Nel libro, insomma, racconto la storia del modo migliore che ho scoperto per comunicare con i giapponesi.
Vive a Tokyo da 20 anni. Com’è abitare nella capitale del Giappone? Cosa si vede da dentro?
Più si sta a lungo in un posto e più risulta complesso, ricco, sfaccettato. C’è un detto: chi è stato in Giappone per quattro giorni ha capito tutto e può scrivere un libro, ma oltre quella durata bisogna aspettare decenni per capire bene la situazione. La mia esperienza è tutto sommato molto positiva. Sono insegnante ma ho orari abbastanza flessibili e sono riuscito a tagliarmi la vita su misura.
Sembra che tutti vogliano andare in Giappone. Perché?
Ci sono tantissime strade che portano al Giappone. La mia generazione ha visto la seconda ondata di cartoni, dopo quelli dei robot (quindi mi riferisco a Ken il guerriero, Holly & Benji...), e da lì l’influenza degli anime nipponici non si è più fermata. Non c’è un bambino che non abbia mai visto un cartone giapponese, e questo fa tanto dal punto di vista dell’immagine culturale. Poi ci sono le passioni: chi ama la musica, chi i viaggi in sé, chi il cibo, chi le macchine fotografiche... Il Giappone tende a essere la mecca degli appassionati di molti campi, settori e attrezzature diverse. Ci sono tante nicchie e settori nei quali i giapponesi eccellono.
Ha parlato del cibo. Quale piatto consiglierebbe di provare?
Di sicuro il pesce. Potrei dirti il sushi (che è un po' uno stereotipo) ma apprezzo molto il pesce cotto alla griglia, che è il pasto normale dei giapponesi, soprattutto a pranzo. La qualità è sempre eccellente. Poi la cosa bella consiste anche nell’esplorare i tanti tipi di cucine.
E il sushi?
Non sono più stato a mangiare sushi in Italia perché ormai ho dei post-giudizi dopo il Giappone. L’atmosfera italiana nella quale viene servito il sushi non mi convince del tutto...
In un capitolo parla dell’integrazione. Come si fa a integrarsi in un Paese dove “gli stranieri sono rarissimi”?
I giapponesi sono sempre guardinghi quando vedono degli stranieri, soprattutto quando i nuovi arrivati vanno ad abitare in quartieri dove prima non ve ne erano. Il loro è un istinto umano. Vogliono capire se le nuove persone sono al corrente sulle regole che ci sono. Per integrarsi bisogna essere un po’ attivi, fare dei passi verso la gente che c’è intorno, cercare di capire e comportarsi secondo l’educazione locale. Poi il Giappone viene raccontato come un posto molto lontano e diverso, ma in realtà è una narrazione esagerata. Così come la loro lingua, che sembra difficile ma che alla fine si può imparare.
È facile imparare il giapponese?
Si può fare. Ci sono lingue, come il cinese, molto più difficili.
Lei parla fluentemente giapponese?
Sì. Dopo un po’ di anni ho fatto il salto dal sognare in italiano al sognare in giapponese. Dopo tre o quattro mesi avevo già possesso della “lingua da battaglia”, giusto per farmi capire. Ero da solo quindi è stata un’immersione totale. Ancora adesso, ogni tanto, ci sono delle cose che mi sfuggono.
C’è un capitolo nel quale parla "dell’esprimere le emozioni in pubblico": italiani e giapponesi sono molto diversi in questo?
Dare una regola generale e dire che da noi siamo più, in assoluto, espressivi di loro, forse non è accurato. Alla fine si tratta di codici: in alcuni casi i giapponesi sono molto più espressivi, per quanto riguarda alcuni sentimenti, in alcune situazioni. Mostrare lati deboli mi sembra più un tabù da noi che non da loro.
Cambiamo argomento. Com’è la scena musicale giapponese? Perché il J-Pop fatica a farsi conoscere a livello internazionale?
Il K-Pop ha subito una grande operazione politica e di marketing. Il J-Pop è più di nicchia. Forse perché il Giappone ha un mercato musicale interno potentissimo. Molti prodotti culturali giapponesi sono pensati per avere, come massimo, un grande successo casalingo, tutt’al più in Asia.
Il nome di una pop star molto famosa?
Utada Hikaru è una cantante pop che ha avuto un grande successo negli anni Zero. Ma ci sono tanti altri artisti. Anche perché in Giappone ci sono negozi di 5 piani che vendono cd e vinili. Da queste parti c’è ancora un mercato fuori tempo massimo di supporti digitali e live da noi spesso ignorati. I produttori nipponici si sono sempre concentrati nel marketing nazionale.
Come ci vedono in Giappone?
Devo dire che, almeno da quando sono in Giappone, ho visto che le grosse notizie della politica italiana passano attraverso il costume. In passato faceva ridire Berlusconi con le sue gag. Adesso, con Giorgia Meloni al governo, l’aspetto significativo è che il presidente del Consiglio sia una donna. Così come lo era quando Virginia Raggi era sindaca di Roma. Questo più o meno è l’interesse che hanno della nostra politica.