Sono ormai passati più di 40 anni dall’uscita del primo compact disc. L’industria musicale, da allora, è cambiata enormemente per non dire rivoluzionata. Nel 1999, stando ai numeri dell’International Federation of the Phonographic Industry (Ifpi), il fatturato globale della musica registrata ammontava alla sorprendente cifra di 22 miliardi di dollari, l’equivalente di circa 40 miliardi di dollari attuali. La maggior parte dei ricavi musicali derivava dalla vendita dei tradizionali cd: scatola quadrata di plastica, booklet interno e disco, lavorato con grafiche appariscenti, da inserire negli appositi lettori. Sembrava che questi cd fossero immortali, destinati a durare in eterno senza conoscere frenate o disfatte. La tecnologia, tuttavia, non si appaga mai, non prova nostalgia, non si ferma e, soprattutto, continua a fluire nella direzione del progresso. Nei 15 anni successivi dalla richiamata rilevazione, ricordata anche dall’Economist, i ricavi sarebbero gradualmente diminuiti. Colpa del passaggio in massa dei consumatori, o meglio ascoltatori di musica, allo streaming. Risultato: oggi l’Ifpi stima che lo streaming rappresenti il 67% dei ricavi musicali. E i vecchi, cari, cd? Rasentano tendenzialmente il 10%.
L’eccezione alla regola: dove la musica su cd batte lo streaming
In tutto il mondo la tendenza sembrerebbe esser ormai consolidata: dai cd siamo approdati allo streaming. Non è così ovunque. C’è un’eccezione abbastanza clamorosa, un Paese dove il tempo sembrerebbe essersi fermato ai primi anni Duemila. Nel 2023, in Giappone il 39% dei ricavi discografici proveniva dai cd, rendendolo il secondo mercato musicale a livello globale. Per quale motivo? Un insieme di fattori sociali ed economici. Spoiler: no, la demografia non c’entra niente. Si potrebbe infatti pensare che, poiché quasi il 30% della popolazione nipponica sia over 65, gli adulti e i “maturi” giapponesi preferiscono ascoltare la musica su cd anziché usufruendo di qualche servizio in streaming. In realtà gli ascoltatori più anziani, all’ombra del monte Fuji (e non solo) si sono abituati alle nuove tecnologie più che altrove. In Italia, ad esempio, il 24% dei cittadini è over 65 ma il 65% dei ricavi da musica registrata proviene dallo streaming. C’entrano, semmai, altri due fattori. Il primo riguarda il controllo dei prezzi. Dobbiamo fare un salto indietro nella storia. Nel 1953, il governo nipponico era preoccupato per la svalutazione dei suoi prodotti. Decise così di istituire il saihan seido, un sistema di mantenimento dei prezzi al dettaglio. I titolari dei diritti d’autore potevano così stabilire i prezzi di alcune classi di proprietà intellettuale e, negli anni a venire, questo sarebbe valso anche per i cd. Le aziende musicali avrebbero insomma sfruttato questo potere monopolistico per mantenere lo status quo. In seguito, poi, anche le aziende dei talenti giapponesi avrebbero impedito ai loro artisti di essere presenti sulle piattaforme di streaming. Arriviamo così al fattore numero due: in seguito all’attuazione del mantenimento dei prezzi, le agenzie d’intrattenimento hanno iniziato a commercializzare gli artisti come “idol”. La febbre dei fan nei confronti dei loro cantanti preferiti crebbe a dismisura, spingendoli ad acquistare cd. Farlo, infatti, poteva consentire di partecipare ad eventi esclusivi, incontrare gli idols in carne ed ossa e via dicendo. Certo, il clima elettrico creato dalle pop star potrebbe non bastare ad arginare la discesa negli inferi del cd. Per il momento ne ha rallentato la caduta.
Caro, vecchio cd…
In Giappone, dunque, il mercato musicale dei cd continua a tenere banco. Attenzione però, perché anche qui si iniziano a notare delle prime crepe. Nel 2019, infatti, i cd hanno rappresentato il 49% delle entrate musicali registrate nel Paese, contro il 18% dello streaming. Nel 2023 lo streaming è salito al 36%. E il trend potrebbe accelerare ulteriormente da qui ai prossimi anni. Come ha ricordato il Japan Times, nel periodo di massimo splendore dei cd, la gente ne acclamava la facilità d'uso rispetto ad altri formati musicali, mentre adesso è probabile che questi dispositivi vengano acquistati dai fan per mostrare il loro sostegno a un artista, o perché apprezzati come oggetti da collezione. "52nd Street" di Billy Joel e "A Long Vacation" di Eiichi Otaki furono tra i primi cd a essere pubblicati in Giappone il 1° ottobre 1982. All’ombra di Tokyo, tra l’altro, c’è stata un’azienda che ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo dei cd: Sony. La progettazione del cd nella sua configurazione definitiva risale al 1979, e si deve ad una nuova associazione di imprese della Philips con l'azienda giapponese Sony, che già dal 1975 stava sperimentando in modo indipendente la tecnologia per un disco ottico digitale. Philips e Sony, dunque, sono state coinvolte nello sviluppo della tecnologia cd e hanno lottato sulle specifiche del formato. Gli olandesi volevano che i cd contenessero 60 minuti di musica registrata e avessero un diametro di 11,5 centimetri. I giapponesi, invece, insistevano sul fatto che il formato dovesse avere un diametro di 12 centimetri e contenere 75 minuti di musica, in modo da poter registrare la Sinfonia n. 9 di Beethoven su un unico disco. Secondo la Recording Industry Association of Japan (RIAJ), il mercato dei cd ha superato quello dei dischi analogici nel 1987 e ha raggiunto un picco di circa 587,8 miliardi di yen nel 1998. Da allora, le vendite dei compact disc sono gradualmente diminuite. Nel 2021, il mercato valeva circa 123,2 miliardi di yen, circa un quinto del suo valore massimo. Il Giappone dei cd prova a resistere.