Roma, cinema Giulio Cesare. A due passi dal Vaticano il solito traffico che soffoca le strade, eppure l’aria della sera sembrava diversa, quasi in attesa di qualcosa. Come me, o forse era solo suggestione. Perché, quando si tratta di Nino D’Angelo, tutto mi appare più avvolgente. Ed io una bambina che sente di tornare a casa. Sono cresciuta con le sue canzoni, la sua voce è quel suono familiare capace di riportarmi sempre a quei momenti di spensieratezza, in cui c’erano i suoi brani a fare da sottofondo. E quindi noi di MOW non potevamo mancare all’anteprima romana di “Nino 18 giorni”, il documentario sulla sua vita presentato fuori concorso al Festival del cinema di Venezia e diretto da suo figlio, Toni D’Angelo. Un regalo che Nino ha fatto al popolo delle sue canzoni, il pubblico che lo ha reso un’icona. In sala, prima dello spengersi delle luci, Nino è entrato con con quella sua andatura semplice quanto affettuosa. E, passandomi accanto, mi ha stretto la mano. Poi l’abbraccio, inaspettato. Ed io sono rimasta lì, imbambolata come ogni volta, sentendomi come una nipotina stretta da un nonno che ti conosce senza conoscerti. Poi, mi ricordo che è anche lavoro, certo. Ma se non mi lasciassi emozionare da Nino, allora da chi? Lui che, con poche parole per presentare il film e con tanto di cornetto alla mano da buon napoletano scaramantico, è riuscito a strappare un sorriso a tutto il pubblico in sala. Padre e figlio hanno raccontato la gestazione di un’opera che mette un punto nella vita di Nino, a quel giro di boa che ha stravolto non solo la sua vita ma quella di una famiglia intera. Persone che hanno conosciuto la fame vera.
Il film scorre veloce, Toni accompagna suo padre in un viaggio indietro nel tempo. Insieme riavvolgono il nastro fino ai momenti e ai luoghi in cui tutto è cominciato: San Pietro a Patierno, Casoria. I vicoli della povertà, quella che ti spinge a sognare sempre più forte. Sempre più in grande. Tutto gira attorno a questi 18 giorni, che altro non sono che il lasso di tempo trascorso dalla nascita di Toni all’incontro con il suo papà. Siamo nel 1979, Nino si trovava a Palermo, al centro di una sceneggiata a teatro che l’avrebbe reso ancora più famoso. Una manciata di giorni che adesso si sono trasformati in un pretesto per guardarsi indietro, stringendo più forte i fili per colmare quel piccolo vuoto dicendosi finalmente ogni cosa. E in questi diciotto giorni c’è tutto: la povertà, il caschetto biondo, la fama, il pregiudizio, l’allontanamento da Napoli e la rinascita. Ne esce un Nino devoto al suo popolo che, come lui stesso ama sempre ricordare gli ha regalato una vita più facile. Più semplice. Rendendolo la voce di chi una voce non l’ha mai avuta. Una scalata vera, dai bassi al successo, sempre restando fedele a se stesso. Perché Nino non ha mai dimenticato le proprie origini, ne quella fame che l’ha spinto ad andare avanti. Sdoganando ogni pregiudizio. L’aspetto, la provenienza, il dialetto. I titoli di coda arrivano troppo presto, come la nostalgia di quegli anni 80 che chi scrive non ha mai vissuto. È questa la magia del cinema. E no, Nino 18 giorni non è solamente un documentario. È un ponte. Tra un padre e un figlio, tra lo scugnizzo e il cantante di successo, tra Nino e il popolo che lo ama.