"Mi hanno negato un contratto d'affitto perché sono gay". La denuncia di Andrea Papazzoni, discografico che vive a Milano e ha gran seguito social, è diventata virale nelle ultime ore. L'uomo aveva individuato un appartamento in zona Maciachini, 1990 euro di canone mensile. Proprio quando le trattative sembravano procedere per il meglio, la brutta sorpresa: l'agenzia gli comunica d'improvviso che l'affare salta perché "la proprietà preferisce un inquilino più tradizionale". Papazzoni si produce, dunque, in un legittimo sfogo TikTok in cui denuncia l'accaduto parlando di discriminazione a tinte arcobaleno. E può essere che sia davvero così. Per quanto, come è noto, oramai di "più di tradizionale" di un omosessuale a Milano non ci sia manco la cassoeula. Questa storia, dopotutto, dà la possibilità di affrontare, nel dettaglio, una realtà che non viene raccontata spesso ma che è tra noi, fustiga ogni giorno chiunque cerchi casa nel capoluogo meneghino. Oltre all'arcinoto salasso degli affitti a cifre folli per loculi senza finestre e/o con bagni non vedenti, serpeggiano anche requisiti impossibili da soddisfare per ogni anima pia alla ricerca d'alloggio, a prescindere dal sesso delle persone con cui le vada di condividere il talamo. Non a caso, infatti, l'agenzia risponde alle accuse di Papazzoni con una nota: "Questo rifiuto non c'entra nulla con la discriminazione. La proprietà ha semplicemente ritenuto che un libero professionista che lavora in ambito artistico-musicale non potesse garantire il pagamento di ogni mensilità per via dell'instabilità della sua professione". Una bella bugia per metterci una pezza? Forse. Sta di fatto che nella Milano che non si ferma ci sia realmente una sorta di "Daspo" contro le partite iva, quando si tratta di affitti. Ed è ora di parlarne.
"Suo il castello, sue le regole". Questo è uno dei tanti commenti sotto al video-denuncia di Papazzoni. Orrenda verità, ma pur sempre una verità: la proprietà di un immobile è libera di scegliere, secondo i criteri che più ritiene opportuni, l'inquilino che andrà ad abitare l'appartamento che mette sul mercato. A prescindere da quella che può essere, purtroppo, la personale ottusità di ognuno, sussistono però altri criteri, scritti nero su bianco, che valgono per tutti. E che, sciaguratamente, non sono meno gravi. Tra questi, in prima linea, milita una sorta di "Daspo" verso le partite iva. Se sei libero prefessionista, come nel caso di Papazzoni, per le agenzie non esisti. Molto spesso, e lo scriviamo perché ne abbiamo fatto dolorosa esperienza, quando telefoni perché interessato a un immobile, la prima domanda che ti viene rivolta è: "Busta paga?", ancor prima delle generalità. In caso di risposta negativa, è piuttosto chiaro che magari andrai pure a vedere l'appartamento, sì, ma solo perché l'agente vuole dimostrare a chi gli sta sopra di essere in grado di far numero. Quella casa non te la daranno mai. E, non importa quanto sia il tuo fatturato annuo, ti faranno pure sentire un pezzente. Chiedendoti "garanzie" da parte di genitori, nonni, zii d'America. Perché tu, libero professionista, non sei ritenuto, appunto, econimicamente "stabile".
Questa regola aurea (busta paga batte partita iva, sempre) esiste perché i proprietari di casa a Milano sono anziani. Anziani abbastanza da essere cresciuti con la "tradizione" del posto fisso e incapaci, quindi, di vedere come e quanto la realtà del mondo del lavoro sia cambiata rispetto ai tempi in cui non erano ancora in pensione. Specie a Milano, la patria dei CEO presso se stessi. Trovare un contratto indeterminato all'ombra del Pirellone è più raro che imbattersi in un etero in via Lecco. Nonostante ciò, le agenzie perpetrano tale requisito, piazzandolo al primo posto, tra le richieste che l'aspirante inquilino deve soddisfare se vuole avere un tetto. Partiamo male, dunque, totalmente scollati dalla realtà. Ma proseguiamo anche peggio. Perché esistono prerequisti ancora più assurdi.
Come vediamo qui, per 30 (pardon, 35!) mq di tugurio, può essere serenamente richiesto un canone da 1400 euro (più spese). Non solo, però. Allo scopo di potersi dimostrare candidato valevole di cotanto lusso, "l'inquilino tradizionale" deve portare in agenzia un reddito, in busta paga, che sia di 3-4 volte superiore all'affitto mensile. Quindi, in questo specifico caso, uno stipendio che parta da 4.200 euro. Come minimo. Per aggiudicarsi una splendida topaia con letto-cucina-doccia (se disponibile) tutte accatastate insieme nel medesimo, degradante cantuccio.
Senza contare, poi, il 10-15 % sull'affitto annuo che l'agenzia si piglia al momento della firma del contratto semplicemente per aver fatto da tramite (ovvero, aver aperto la porta del tugurio in questione al nostro "inquilino tradizionale"). Più le tre mensilità anticipate da recapitare alla proprietà ancor prima di mettere piede in "casa". Per il ridente monolocale che abbiamo scelto di prendere in esame, si arriva dunque a una spesa pari a (circa) 7560 euro. Da dare subito, sull'unghia, così, per dimostrarsi degni di cotanta reggia. Non importa la zona, più o meno centrale, nemmeno la misericordia del Signore (proprietario): le cifre queste sono e i parametri per selezionare il nostro "inquilino tradizionale" a Milano sono rimasti identici a quelli di dieci orsono. Quando, però, l'affitto per un mono in Maciachini era di 500 euro. Sostanzialmente, un terzo di quanto viene richiesto oggi.
Come dimostra spesso e sarcasticamente volentieri la creator Noemi Mariani (@mangiapregasbatty) su Instagram e TikTok, la situazione affitti a Milano è disperante per "soluzioni" proposte e cifre richieste. Non è un fatto che riguarda solo i "poveri" studenti fuori sede: nessuno è abbastanza ricco per poter abitare nel capoluogo meneghino. Con questi ridicoli criteri di selezione, è dalle parti dell'impossibile esserlo. All'ombra del Pirellone vige grande discriminazione, è vero. Come è vero che la più grande di tutte sia quella che si accanisce, silente e come non vista, contro ogni individuo, di qualunque sesso, colore, orientamento e religione voglia risiedere nella city. Specie se single e a partita iva, ossia il residente tipo di qualunque quartire milanese da "Nolo" a "Noce" (sì, esiste pure questo).
Tali "regole" auree vanno aggiornate quanto prima, altrimenti l'unico risultato sarà quello di vedere sempre più gente presa a calci nelle terga da una città che se le inventa tutte pur di ostacolare chi ci vuole (o deve) vivere stabilmente. Il caso Papazzoni sta facendo discutere e va bene così. Ma è solo la punta di un icerberg che sta sistematicamente facendo affondare centinaia e centinaia di aspiranti inquilini di belle speranze. Perché l'inquilino tradizionale, per come è inteso oggi, non esiste più. Speriamo che chi di dovere possa rendersene conto e metterci una pezza, possibilmente vera, granitica, definitiva. Altrimenti, ci ritroveremo tutti in tenda sotto al ponte della Ghisolfa ma lo chiameremo "Outdoor living", il nuovo imperdibile trend del place to be. E come te ne privi?