È stato un autentico colpo di scena quello a cui stiamo assistendo in questi giorni riguardo all’omicidio di Chiara Poggi, la ventiseienne che il 13 agosto del 2007 fu assassinata nella sua abitazione a Garlasco dopo essere stata ferocemente colpita da un oggetto contundente che non fu mai ritrovato. Come tutti ricorderanno, la vicenda suscitò una vasta eco mediatica anche per i numerosi dubbi intorno al movente mai individuato e alla figura del fidanzato di Chiara, Alberto Stasi, che dopo aver subito vari processi che determinarono tre assoluzioni e due condanne, fu definitivamente ritenuto colpevole dalla Suprema Corte e condannato a 24 anni di reclusione poi ridotti a 16 per via del rito abbreviato. Ora, su iniziativa della Procura di Pavia, c’è un nuovo indagato e si tratta di Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara che, dopo aver rifiutato di sottoporsi volontariamente al prelievo di un campione di Dna, la scorsa settimana lo ha dovuto fare in maniera coattiva recandosi alla stazione dei carabinieri di Milano Porta Magenta con i suoi avvocati per l’esame che servirà a stabilire se le tracce di materiale biologico rinvenute sulle unghie della vittima appartengano a lui e ad un altro soggetto ignoto di sesso maschile che non sarebbe identificabile con Stasi. L’opinione pubblica si domanda come mai quelle tracce sulle unghie della povera Chiara non abbiano potuto fare maggiore chiarezza sull’identità del suo assassino all’epoca dei fatti e siano state ritenute “degenerate” durante gli interminabili anni dei processi. Probabilmente la risposta sta nel fatto che oggi gli inquirenti possono disporre di nuove e avanzate tecnologie che prima non esistevano ma i dubbi non finiscono qui.

L’ opinione pubblica si domanda anche se le motivazioni che hanno portato i giudici alla condanna definitiva di Stasi siano delle prove oltre ogni ragionevole dubbio o solo degli indizi. A voler essere onesti fino in fondo qualche dubbio ce lo abbiamo tutti, e anche se si tratta di un delitto avvenuto 18 anni fa è utile rinfrescarci la memoria e farci qualche domanda. Come mai all’interno del lavabo del bagno in casa della vittima furono trovati tre capelli neri piuttosto lunghi che non furono analizzati? Anche in quel caso non c’erano tecniche idonee per poter determinare il Dna? Se, come ha sempre sostenuto l’accusa, Stasi si risciacquò accuratamente le mani in quel lavabo dopo il delitto lasciando le sue impronte digitali sul dispenser, come mai quei capelli non furono lavati via? È solo una suggestione far notare che all’epoca dei fatti Andrea Sempio portasse i capelli lunghi e neri? Un’altra domanda che ci risuona in testa riguarda lo scontrino di un parcheggio a Vigevano che Sempio avrebbe utilizzato il giorno del delitto in un orario compatibile con quello dell’omicidio e che quindi costituirebbe il suo alibi.

Per quale motivo il giovane lo avrebbe conservato per un anno? Perché pensava che gli inquirenti gliene avrebbero chiesto conto? In altre parole, voi di norma conservate lo scontrino del parcheggio di un posto dove siete stati un anno fa? E ancora l’impronta delle famose scarpe sulla scena del crimine, scarpe che secondo l’accusa sarebbero inequivocabilmente riconducibili alla taglia 42 che corrisponde a quella di Stasi ma che secondo la nuova perizia potrebbero essere compatibili anche con la taglia 44 di Sempio. Senza contare le telefonate che Sempio fece sull’utenza fissa dell’abitazione di Chiara nei giorni immediatamente precedenti il delitto invece di utilizzare il numero di cellulare del fratello della vittima pur sapendo che quest’ultimo non fosse a casa ma in vacanza. Se i difensori di Stasi hanno acquisito tutti questi elementi e la Procura ha ritenuto di iscrivere nel registro degli indagati un soggetto diverso da Stasi potremmo assistere a nuovi sviluppi su un caso sul quale molti pensavano si fosse scritta la parola fine. Il legale di Sempio, Massimo Lovati, intercettato dai giornalisti all’uscita della stazione dei carabinieri ha commentato duramente che il corso preso dalle nuove indagini contro il suo assistito “è frutto di una macchinazione messa in atto dagli avvocati difensori di Stasi”. Parole molto forti e accuse pesanti che cozzano contro una decisone che comunque è stata presa dalla Procura e che mira a fare luce su una vicenda di cui è doveroso stabilire la verità con assoluta certezza. Perché se si dovesse appurare che l’assassino o gli assassini di Chiara sono soggetti diversi dal suo fidanzato dell’epoca questo significherebbe che un’innocente si trova in galera da 7 anni per scontare la pena per un delitto che non ha mai commesso.
