Aldo Cazzullo, sul Corriere ha risposto alla domanda di un lettore sul recente episodio legato a Rita De Crescenzo e l'invasione di 200 pullman turistici a Roccaraso. Il giornalista esprime con tono riflessivo il suo rammarico per il cambiamento culturale che sta investendo l’Italia, facendo un confronto tra il passato e il presente, e sollevando dubbi sul futuro della cultura. Nel suo messaggio di risposta, Cazzullo esordisce in modo semplice ma incisivo: “Non c’è nulla di male a fare una gita a Roccaraso, basta non buttare le cartacce.” Questa riflessione si fa subito più profonda quando ricorda come, trent’anni fa, il nome De Crescenzo si rifaceva a Luciano De Crescenzo, scrittore e intellettuale che con il suo stile unico riusciva a rendere accessibile la filosofia greca a milioni di lettori. “Era un napoletano insieme colto e popolare,” dice Cazzullo, evidenziando come Napoli sia sempre stata una città che custodisce una grande cultura, dalla musica al teatro. “Eppure talora, sono i lazzari a prevalere, e a ridurre Napoli - e Roccaraso - esattamente come i suoi detrattori si augurano di trovarla”, scrive Cazzullo. A sostegno di ciò, il giornalista richiama un articolo di Giuseppe D’Avanzo pubblicato nel 2006 su Repubblica, in cui il giornalista segnalava come l’omaggio a Mario Merola, anche da parte delle istituzioni (sinistra compresa), rappresentasse la “resa” della Napoli culturale, quella di Cuoco, Croce, Eduardo e Pino Daniele. “Quando vide nell'omaggio delle istituzioni (sinistra compresa) a Mario Merola la resa della Napoli di Cuoco e di Croce, di Eduardo e di Pino Daniele alla Napoli borbonica di festa farina e forca, secondo cui la donna che ama un altro uomo dev'essere ‘accisa’ o almeno ‘sfriggiata’, come scriveva D'Avanzo citando appunto l'autobiografia di Merola. Da allora la situazione è stata se possibile peggiorata dai social”. Da allora, sostiene Cazzullo, la situazione sarebbe ulteriormente peggiorata, in parte a causa dell'avvento dei social media, che hanno influito non solo su Napoli ma su tutta Italia. “Sono stato qualche giorno a Genova”, racconta. “E cosa fa un giornalista a Genova? Intervista Gino Paoli, incontra Renzo Piano”. Due nomi che, a distanza di anni, continuano a lasciare una traccia profonda: “Le canzoni di Gino Paoli le cantiamo ancora dopo 65 anni, gli edifici di Renzo Piano sono presenti in ogni continente.” Ma Cazzullo si chiede, con una punta di tristezza: “Chi troverà tra dieci anni un giornalista a Genova che voglia raccontare questa città?”
Per Cazzullo, la risposta è inquietante: siamo testimoni della fine di un'era. “Il teatro, il cinema, la musica di qualità, i libri, le arti: tutto rischia di essere spazzato via dai padroni della Rete” avverte, con un tono che mescola preoccupazione e tristezza. E non si tratta solo di un cambio di protagonisti: “Non è che al posto dei cantautori ci sono solo malavitosi finiti in galera. È che l’umanesimo, quello che noi italiani abbiamo costruito e esportato in tutto il mondo, sta cedendo il passo a un mondo post-umano”. La conclusione di Cazzullo è un’affermazione netta e sconfortante: “L’intelligenza artificiale dei cyborg e la stupidità naturale dei social stanno prendendo il sopravvento”.