La guerra in Ucraina ha già confinato nello scantinato i sogni di Greta Thunberg e seguaci. Di fatto salvare il pianeta non è più una priorità, in quanto subentra con prepotenza la possibilità di non arrivare a fine mese, causa rincari delle bollette in seguito alla crisi russo-ucraina. Così, coi carri armati di Putin che avanzano, il premier Draghi pare dimenticare in un baleno i propositi ambientalisti, annunciando un piano che mira a un'utopica indipendenza energetica tricolore, al fine di lenire il salasso nelle tasche dei consumatori, già colpite salatamente dai rincari degli ultimi mesi.
Per cui, alla luce dei fatti attuali, il Presidente del Consiglio considera come possibilità perfino la riapertura delle centrali a carbone (stimato come il male degli ultimi decenni), per colmare le mancanze nell'immediato. Dopo anni di lotte all'uso delle fonti fossili, dunque questa sembra essere l'unica risoluzione a portata di mano, mossa che andrà a scontrarsi coi tanti (vedi alla voce Cinque stelle e parte del Pd ambientalista) che da sempre si oppongono alla costruzione dei rigassificatori e allo sfruttamento di quei 200 miliardi di metri cubi di metano che giacciono nel sottosuolo del Belpaese.
Ma il premier non si lascia intenerire dalle promesse di transizione ecologica, in palio c'è una posta altissima, alias la crisi energetica e dei prezzi, che sarà presto aggravata dalle sanzioni imposte a Mosca. Alla fine, tra gli applausi scroscianti del centro destra e il capo chino dall'altro versante, più un compiacente Di Maio - lo stesso che tre anni fa intestava l'emendamento a blocco delle 150 trivellazioni petrolifere al M5S - il Presidente del Consiglio descrive la situazione esattamente per com'è, aggiungendo che le vicende di questi giorni "dimostrano l'imprudenza di non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi decenni". Una stoccata piena a chi l'ha preceduto a Palazzo Chigi, mentre continua col ritratto impietoso: "In Italia abbiamo ridotto la produzione di gas, da 17 miliardi di metri cubi all'anno nel 2000 a circa 3 miliardi di metri cubi nel 2020, a fronte di un consumo nazionale che è rimasto immutato tra i 70 e 90 miliardi di metri cubi". Ordunque, dopo i recenti accadimenti, la cura è doverosa: "Dobbiamo procedere spediti sul fronte della diversificazione", che significa avere più fonti energetiche e dipendere meno dall'estero, procurandoci fornitori possibilmente diversi da quelli correnti.
Draghi si è difatti altresì impegnato a "lavorare per incrementare i flussi di gasdotti non a pieno carico, come il Tap dell'Azerbaijan, il TransMed dall'Algeria e dalla Tunisia, il Green Stream dalla Libia", insomma quelli che per grillini e piddini ambientalisti non si sarebbero mai dovuti toccare.
Insomma, con la crisi in Ucraina, abbiamo già salutato bellamente le promesse ambientaliste (lo sviluppo delle rinnovabili resta sì in agenda, ma non nell'immediato) e tamponato con misure inevitabili una ferita economica dolorosissima, che ha già spinto al rialzo i prezzi dell'energia, con ricadute infauste per le famiglie. Dopo tutto, anche se non sembra, la guerra la stiamo già combattendo tutti, e perdendo pure, Greta in primis.