Nell’ultima puntata di “Non aprite quella Podcast” condotto da J-Ax è andata in onda una vera e propria beatificazione di Amanda Knox, che ciclicamente torna nel nostro Paese gettando fango contro il nostro sistema giudiziario: il true crime è di gran moda negli ultimi tempi. Ne parla chi fino a poco tempo fa piegava maglie e ora anche chi fa musica, perdendo di vista un dato fondamentale: non si ha a che fare con scarpe, borse e rossetti di cui si può suggerire il colore che più va di tendenza. Si gioca con la vita delle persone, delle vittime, di chi è rimasto in vita a piangerle. Ed anche di chi non ha retto al lutto della perdita e si è lasciato morire come i genitori di Meredith Kercher. Ci vorrebbero più controlli, chi vuol capire capisca. In soldoni, viviamo in un momento storico in cui basta aprire un canale YouTube o creare un podcast per sostituire anni di studi universitari ed attività sul campo. Sul punto concordano anche gli psicoterapeuti, come la dottoressa Antonella Elena Rossi. Che, da me interrogata sul punto, non ha mancato di ribadire come “sia psicologicamente devastante vedere l’approccio goliardico nel commentare i delitti”, perché il rischio è quello di “sdoganare tutto, rendendo lecito l’illecito. In un enorme effetto Dunning-Kruger, cioè di persone che sovrastimano le proprie affermazioni e spesso sottovalutano i fatti concreti”. E proprio sul punto, vi spiego una cosa. Posto che i procedimenti di beatificazione semmai li porta avanti il Papa, esiste una cosa chiamata incartamento processuale, che si deve saper leggere e di uci bisogna saperne parlare. Amanda è stata assolta per non aver ucciso Meredith? Sì. La Knox è stata condannata per aver incolpato un innocente? Sì. Dunque, non si possono usare due pesi e due misure e poi invocare l’errore di comunicazione. A buon intenditor.
“Sei venuta in Italia per annullare una condanna sostanzialmente inutile”. Intanto, caro J-Ax, Amanda non poteva annullare nulla. Al massimo, potevano farlo i giudici. Non lo hanno fatto. Non contento il cantante, forse autolegittimatosi dopo aver scritto e cantato Senza Pagare, definisce la condanna di Amanda “condanna inutile”. La Knox ha mandato in galera un innocente. Non mi pare tanto inutile. Vorrei capire se succedesse ad una persona a lui vicina di essere accusata ingiustamente, peraltro per un delitto così efferato come quello di Meredith, se affiancherebbe alla parola condanna l’aggettivo inutile. Chissà. L’innocente è il suo ex datore di lavoro Patrick Lumumba, non Amanda. La calunniatrice è la studentessa di Seattle, non Lumumba. E questo lo hanno scritto i giudici. Le sentenze si rispettano. Tutte. Anche se, a questo punto, è necessario un inciso. Nel 2015, dopo dieci ore di camera di consiglio, gli ermellini hanno pronunciato la loro verità sul delitto di via della Pergola a Perugia. Lo hanno fatto contemplando la presenza di Amanda e Raffaele sulla scena del crimine mentre Meredith veniva uccisa. Ma sono stati assolti per la mancanza di prove in ordine alla loro partecipazione attiva all’omicidio. E ciò, verosimilmente, per i pasticci della scientifica perché, se non ci fossero stati, la storia scritta sarebbe probabilmente diversa. Ed infatti, in ultimo, l’altro paradosso. Rudy Guede, che aveva scelto di andare a processo con un rito diverso rispetto a quello scelto dalla Knox e Sollecito, è stato condannato per omicidio volontario in concorso (con ignoti). Ma in concorso con chi? Non si sa. Quel che è certo è che resta più di un ragionevole dubbio in merito.
La comunicazione non verbale di Amanda Knox negli anni è cambiata. Nel corso delle prime interviste, così come in aula, nel negare ogni sua responsabilità non guardava mai in faccia e, tanto meno negli occhi, il suo interlocutore. Al contrario, rivolgeva sempre lo sguardo in basso e chiudeva gli occhi. Oggi, invece, foxy knoxy, padroneggia alla grande il suo linguaggio non verbale, che trasmette una totale sicurezza. Sguardo diretto, gestualità controllata, tradita solamente da un’iniziale alzata di spalla quando afferma: “Perché è una condanna ingiusta”. Riferendosi ai tre anni di reclusione inflittigli per aver calunniato il povero Lumumba. In quel frangente, Amanda, mostra una discrepanza tra ciò che afferma con le parole, e cioè che la condanna a Lumumba è ingiusta, e quello che comunica con il corpo. In soldoni, lo sa benissimo anche lei di aver mandato in galera, sia pur per qualche giorno, una persona innocente. Ognuno tiri le sue conclusioni. Ed il perché ve lo racconto in chiave giudiziaria. Per il resto, appare lineare dal punto di vista comportamentale. In questo senso, come potrebbe non esserlo. Dopo l’assoluzione in via definitiva avvenuta nel 2015, le cose non potranno essere ribaltate in forza del principio “ne bis in idem”. Che, in concreto, significa che una persona non può essere processata per due volte per lo stesso reato. Quindi, comunque, lei ha vinto e può legittimamente giocare su quel tavolo. Un tavolo che lei definisce fatto di amici. E questo perché, pur rifuggendo tanto da quel soprannome foxy knoxy, continua a cercare popolarità. Una sola vittima, Meredith Kercher. Per la giustizia, un solo carnefice: Rudy Guede. La verità, però, potrebbe essere altrove. Questo è uno di quei delitti che, pur non essendo perfetto, è destinato a rimanere parzialmente e per sempre impunito?