Il Pride di Milano è stato un'occasione di festa per tutti quanti. Tranne, forse, per i cantanti che si sono avvicendanti sul palco della serata di chiusura: molti di loro, infatti, hanno riscontrato problemi tecnici, confermati anche dal pubblico presente, via social. In particolare, su X è diventato virale il video dell'esibizione di Antonia Nocca, seconda classificata all'ultima edizione di 'Amici'. A lei è andato anche il Premio della Critica e una serie di riconoscimenti collaterali dal valore di svariate migliaia di euro. Considerata, da giudici e Professori, la 'Voce' dell'edizione, dal momento del suo ingresso in corsa fino all'ultima puntata, la diciannovenne partenopea veniva raccontata come una sorta di Beyoncé, fenomenale. La sera della finale, però, l'incanto è svanito: abbiamo sentito, infatti, la nostra miagolare al microfono, cosa mai avvenuta prima, al punto da far dubitare che potesse trattarsi soltanto di 'emozione'. Lo stesso capita ora, in questo commentatissimo filmato dove Antonia sembra una qualsiasi ragazza che 'canta' al karaoke. Possibile sia dovuto 'solo' al fatto che le mancassero gli auricolari - senza i quali, in genere, non si esibisce nessuno all'infuori di Orietta Berti? Osiamo azzardare che ci sia di più dietro a cotanta débâcle. E teniamo a precisare fin da ora che Nocca non abbia colpe: le responsabilità sono tutte del talent, per il modo in cui è strutturata (e 'truccata') la competizione. Qui per spiegarvi come mai una voce apparentemente così 'stonata' sia riuscita ad arrivare seconda, mentre il vincitore Trigno, nato per essere teen idol, si sia portato a casa la Coppa essendo ancora più svociato di lei. È ora e tempo che 'Amici' si imponga una seria riflessione. Perché tutto ciò finisce per andare a discapito dei ragazzi in gara e, forse, perfino delle loro possibilità di carriera.
Nota per chi non segue 'Amici': da svariati anni, il talent non è più in diretta quindi il televoto non interviene sulle sorti dei concorrenti. Da settembre fino alla penultima puntata del Serale, va in onda tutto già registrato e a decidere chi prosegue nella competizione sono prima i Professori, nell'arco del pomeridiano, e poi i tre giudici scelti per gli appuntamenti di prima serata. Giudici che quest'anno sono stati la ballerina professionista Elena D'Amario, Cristiano Malgioglio e perfino Amadeus, preso in prestito da Nove. È da parecchie edizioni che oramai fa quasi (ridicola) parte del format stesso 'scoprire' come cantino davvero le supposte ugole d'oro in gara soltanto la sera della finale, quando sono lì a giocarsi la vittoria. Perché prima non li sentiamo veramente? In un certo senso, no.
Non succede a causa della post-produzione vocale che pialla ogni esibizione in modo da renderla 'perfetta', per quanto 'robotica', mazinghiana. Una scelta che, di certo, contribuisce a rendere più imponente lo show dal punto di vista dello spettacolo. Allo stesso tempo, però, una decisione che finisce per danneggiare i ragazzi. Per nove mesi, una gravidanza, chi segue il programma si convince che sappiano cantare in una certa maniera, si affeziona al loro 'talento', si persuade di 'conoscerli'. Poi, quasi puntualmente, durante la finale, unica puntata in diretta e, di conseguenza, per forza senza aiuti, resta deluso da stecche e ululati che mai si sarebbe potuto immaginare prima. E così il pubblico si sente preso in giro - perché lo è, nonché impotente ritrovandosi in qualche modo costretto a votare per il meno peggio. Come è successo nella finale di questa ultima edizione, quando abbiamo dovuto scegliere tra gli 'svociati' Antonia e Trigno, mentre il giovane Nicolò, 18 anni, era stato fatto fuori dalla giuria al termine della Semifinale - sollevando una sommossa social perché sì, era ed è il più dotato di tutta la cucciolata e non meritava tale beffardo epilogo.
Il problema che l'eccesso di post-produzione pone non è certamente una novità, ma forse mai come quest'anno si è imposto così tragicomicamente: danneggia il programma perché gli regala una patina di 'fintume' che garantirà pure un buon livello di show, ma alla lunga finisce per prendere per il naso l'affezionato pubblico. Danneggia gli stessi concorrenti che, per nove mesi, si sentono ribaidre elogi sperticati da parte di personaggi affermatissimi e professori (che dovrebbero essere) esperti. Per poi uscire da lì e ritrovarsi sommersi da fischi e pernacchie. Lo ribadiamo: non è colpa loro, sono giovanissimi e hanno tutto il tempo per studiare, per migliorarsi da ogni punto di vista. La colpa, invece, è del programma che, ogni edizione, li illude di essere formidabili quando, in realtà, spesse volte sono appena discreti.
Ne abbiamo visti tanti, oseremmo dire troppi, 'scoppiare' dopo la sbornia di apparente 'successo' regalata da 'Amici'. Ragazzi che, a 20 anni, vengono intervistati solo per sapere come procede la depressione post talent. Qualcosa di cui tutti faremmo volentieri a meno, nonostante i cuoricini che piazziamo sui social a ogni post di disperata lamentatio. Semplicemente, non dovrebbe succedere. Se è logico che su una classe di 30, o quel che sono, non tutti possano 'farcela', diventare davvero 'famosi', è anche cristallino che 'pomparli' per così tanto tempo facendogli credere d'essere predestinati alla musica, li porti a delusioni ben più importanti di quanto sia in grado di reggere, mediamente, un giovane che si affaccia alla vita (e, forse, a una carriera).
La 'perfezione' dello spettacolo vale la salute mentale di questi ragazzi? 'Amici' deve davvero porsi, una volta per tutte, tale interrogativo. Perché ogni persona che sta sbertucciando Antonia Nocca nelle ultime ore sui social per quel video 'stonato' non è in alcun modo responsabilità della ragazza né di chi la spernacchia. Si tratta solo della feroce ma inevitabile conseguenza che il programma s'attira, a furia di 'dopare', tramite tonnellate di post-produzione, le voci di giovani con il sogno di cantare che, come è logico e sacrosanto che sia essendo alle prime armi, alle volte sbagliano, altre un po' di meno. A settembre entrerà gente nuova a cui auguriamo di cuore ogni fortuna. Soprattutto quella di non crederci troppo.
