Dopo il lungo silenzio, Sangiovanni di cose da dire ne ha, e le spara nel salotto confidenziale di Supernova, il podcast condotto da Alessandro Cattelan, in seguito al suo ritorno sul palco in occasione del MiAmi Festival. L’artista classe 2003 apre le valvole, spiegando la sua crisi personale, i pro e contro del suo lavoro e i motivi che l’hanno spinto a ricominciare. Anche se, forse, sarebbe stato meglio fare il calciatore. Ale Cattelan come molti di noi, Sangiovanni compreso, è in fissa col calcio, e nei primi 20 minuti del podcast non si parla d’altro. Commenti tecnici a parte, il discorso è utile per tracciare affinità e divergenze tra i due mestieri: calciatore e cantante. Sangiovanni la spiega così: «La cosa più figa del calcio, rispetto alla musica, è che dipende tutto un po' da te. Ok, magari capita che hai più o meno occasioni, che arrivi in una squadra piuttosto che in un’altra, ma alla fine, se sei forte, sei forte. E vai avanti a prescindere da ciò che dici in pubblico. È un po’ come chi guida in Formula 1: se domani esce e dice “Ale è uno stronzo” e finisce in mezzo a una bufera, il giorno dopo corre lo stesso. Non cambia. Invece in un lavoro come il mio, dove sei a contatto diretto con le persone, sei sempre esposto al rischio che cambi qualcosa nella percezione che gli altri hanno di te. Secondo me, nella musica, bisognerebbe giudicare soltanto la musica. Basta una frase, una scelta, una posizione, e cambia tutto.» Un giudizio che va oltre il personale: «Questo mestiere prende tutto: come ti vesti, cosa dici, da che parte ti esponi. E tutto può spostare l’equilibrio, che è sempre fragile.» Forse era meglio giocare a pallone, insomma. Anche per i soldi, scherza ma non troppo, per i “Big Money”. Dopo il successo immediato e l’enorme esposizione mediatica, Sangiovanni si è preso una pausa lunga, si sa. La depressione lo ha portato lontano dal palco e da tutto ciò che ronza intorno all’industria musicale. Ma ora che è tornato, e ne parla in riferimento al recente concerto del MiAmi, si è ricordato di quanto era figo il suo lavoro. Anche se ha avuto l’impressione di essere tornato musicalmente vergine. «Io non suonavo live da almeno tre anni. Magari qualche ospitata qua e là, sì, ma un vero show mio, su un palco, non lo facevo da un sacco. Ora ho meno aspettative di prima: prima sapevo che facevo uno show e la gente c’era. Adesso è come ripartire da zero. E ho proprio la sensazione di dovermi ricostruire un po’ il pubblico». Nonostante tutto, il palco rimane casa, il momento più liberatorio del suo lavoro: «È il momento dove sto meglio. Magari prima di salire ho un po’ di ansia, ma poi, una volta lì, mi diverto. E questa cosa mi mancava.»

Dietro l’apparente spensieratezza di chi scrive canzoni ultrapop, si nasconde il mostro macchinoso dell'industria musicale. «Fare musica, se la guardi a 360 gradi, non è un lavoro facile. I veri momenti di libertà sono pochi: lo studio, e il live. Per il resto, è un continuo stare in bilico.» E, se da una parte ci sono le hit che resistono all’usura: «Farfalle l’ho cantata tipo 700 volte, ma ancora adesso mi diverto a farlo»; dall’altra c’è l’entusiasmo per i brani nuovi, che gli permettono di sentirsi vivo: «Cantare canzoni nuove è più stimolante, anche tecnicamente». Sulle accuse (assurde, come spesso accade) di plagio del titolo del suo ultimo singolo “Veramente”, Sangiovanni la prende sul ridere: «Giuro, non lo sapevo. Non ho mai ascoltato la canzone di Mario Venuti». Il ritorno alla scrittura, spiega, non è forzato: «Ho ricominciato a fare musica, ma con calma. Non voglio forzare niente. Perché se forzi, rischi di andare in down di nuovo». Ma il problema è anche del sistema culturale italiano: «Secondo me, in Italia manca un po’ di patriottismo artistico. Con Sinner, per esempio, siamo tutti orgogliosi: è l’Italia all’estero per eccellenza. Ma nella musica non c’è la stessa cosa: manca la voglia di sostenere chi ce la fa fuori». Le hit che resteranno?. La domanda arriva da Cattelan: quali brani ascolteremo tra 10 anni? «Ti faccio degli esempi di canzoni già passate, ma che cantiamo ancora. Riccione dei Thegiornalisti la canteremo ancora tra altri dieci anni. Ma anche Visiera a becco di Sfera, La canzone nostra di Blanco e Salmo, Ranch di Rkomi. Sono brani che resteranno.» Il passaggio sul blackout, emotivo e professionale, costato tre anni di esilio fuori dal mondo della musica e dello spettacolo, non poteva mancare: «Io ho fatto Amici che avevo 17 anni. È stato difficile crescere, vivere la mia età, e allo stesso tempo gestire una carriera. Facevo tanto, ma ho perso di vista la mia interiorità. Col tempo sono arrivato a un momento di fragilità. Troppo esposto, troppo giudicato. E mi sentivo svuotato.» E aggiunge: «Venivo qua, facevo l’intervista con te, uscivo e mi veniva da piangere. Mi sentivo male. Non per la gente in sé, ma proprio a stare con le persone. Pensavo: Cavolo, ho tutto… e non riesco nemmeno a sorridere?». Come molti artisti, anche Sangiovanni ha pensato di mollare. Ma è stato proprio il contatto con il quotidiano che lo ha riportato a volerne uscire. «Guardavo i miei coetanei: svegliarsi, andare al lavoro, aspettare il sabato per andare a ballare. E mi sono chiesto: “Io tutto questo l’ho lasciato per vedere il mondo. Ora ci sto tornando dentro?” Mi sono detto: “Cavolo, potrei essere a Los Angeles a fare musica. E invece sto rifacendo i giri di quando avevo 15 anni”. Quella cosa mi ha svegliato».

