Vergogna. Non mi viene in mente nessun’altra parola, che possa descrivere l’inquietudine e l’orrore che provo ogni anno con l’avvento della festività pasquale. Solo vergogna, perché per un’assurda tradizione, che, badate bene, nulla ha a che fare con motivazioni di carattere religioso, si continua a perpetrare una strage di innocenti, immolando sull’altare delle tavole imbrattate di sangue degli italiani il sacrificio di cuccioli innocenti. Due milioni di agnelli uccisi ogni anno, 600.000 solo nel periodo di Pasqua. Questi animali, da sempre immagine di purezza, spesso associata all'infanzia, per riempire le panze ingorde di chi non è assolutamente intenzionato a rinunciare al proprio piacere egoistico, devono subire il violento distacco dalla propria madre nel momento in cui ne hanno più bisogno, affrontare viaggi estenuanti di oltre 30 ore nei camion che li trasportano ai macelli, stipati come sardine, senza possibilità di muoversi. Durante il tragitto verso l’inferno, molti muoiono di stenti e paura. Arrivati al mattatoio, viene compiuto il massacro: l’uccisione degli agnelli, attraverso una morte lenta, spesso per dissanguamento, tra urla e belati disperati, ad appena trenta giorni dalla nascita. Ma chi è così barbaro da alzare il coltello contro gli innocenti? Beh, basta andare davanti allo specchio: noi, ossia la nostra specie, che ha fatto del sangue una tradizione. Molto ci sarebbe da obiettare contro questo tipo di argomentazioni, fatte proprie, non a caso, dalle lobby della carne che continua ad alimentare questo strazio inaccettabile, in nome del profitto con la scusa della “tradizione”.
Ma la Pasqua è la festa del ritorno alla vita, della Resurrezione della redenzione, e noi invece andiamo subito ad imbrattarla di sangue, a sporcarci le mani e la coscienza, per chi crede nell'etica della vita, compiendo il più intollerabile dei peccati: uccidere. Perché, cos’è il peccato, se non la violenza dettata dall'interesse e dal capriccio, in questo caso del palato? Chi si intende di origine ed evoluzione delle religioni sa che il sacrificio dell'animale sostituì in molti casi quello umano; quindi, è il retaggio di una mentalità sacrificale. Il sacrificio di sangue è associato ormai, per noi che non sacrifichiamo più, ai riti vodoo, al satanismo. E invece, guarda un po', noi facciamo lo stesso. Solo che lo rimuoviamo, non facciamo la connessione. Perché il neonato ci viene servito già ucciso e a volte anche già arrostito. E se dovessimo farlo noi, con le nostre mani? La nostra coscienza ipocrita si è affinata, lasciamo il lavoro sporco ad altri, grideremmo d'orrore se ci presentassero il cucciolo vivo e belante che cerca col suo musetto il calore della mamma. Statene pur certi.
In questa beata cecità, lobotomia, rimozione, migliaia di agnelli vengono sgozzati, appesi per le zampe a dimenarsi per oltre cinque minuti di puro orrore. Citando Sartre “l'inferno, per gli animali, sono gli uomini”. E chi si sacrifica? Il più debole, il più buono, addirittura quello che nel suo latteo pelo grida la sua purezza. Eppure, Gesù, agnus dei, agnello di dio, è il buon pastore, colui che cerca la pecora smarrita a discapito di un intero gregge, che ci invita a diventare puri come bambini, e accetta di morire per ritornare alla vita. Ma la tradizione, invece di riprendere la tematica della resurrezione, ci ripete che noi uccidiamo. Sempre e comunque. E sicuri della redenzione ai piedi di un confessionale, continuiamo tranquillamente a versare sangue: degli animali per capriccio, delle persone per ragioni di interesse (pensiamo alle guerre). Quindi poi tutti allegri per l'ennesima pulizia simbolica, una bella doccia di sangue di cuccioli indifesi, e ciechi di fronte alla devastazione morale, ci scambiamo in chiesa un segno di pace, dopo aver rosicchiato quattro ossa di un cucciolo innocente. Vergogna.