A volte estratti della sua deposizione a Un giorno in pretura ancora girano sui social, nonostante siano passati più di 15 anni, a testimonianza di quanto forte fu l’impatto di uno dei primi video virali che in Italia spopolò sul web e sugli smartphone dell’epoca. Era il 2008 e Andrea Alongi un 16enne di Parma chiamato a testimoniare nell’ambito del processo a Emmanuel Bonsu, studente ghanese fermato e picchiato da otto vigili urbani durante un'operazione antidroga. Una testimonianza decisamente curiosa, sfrontata ai limiti dello sfottò verso pm, giudice e forze dell’ordine, che però risultò decisiva per fare chiarezza su quanto accaduto la sera del 29 settembre nel Parco Falcone e Borsellino e poi nella stazione dei vigili: alla fine gli agenti furono condannati con pene dai 2 ai 7 anni di reclusione, fu riconosciuta l’aggravante della discriminazione razziale e anche il Comune venne sanzionato con il pagamento di 175mila euro a titolo di risarcimento (somma aumentata rispetto ai 135mila stabiliti in appello bis). Questa drammatica vicenda, però, passò presto in secondo piano perché oscurata dall’emergere del pittoresco profilo di Alongi: giovanissimo ma già tossicodipendente, non nascondeva nessun vizio ma, con un ghigno vacuo sempre stampato sul volto e una innata strafottenza, sembrava il meme perfetto per sdrammatizzare ogni argomento. Tanto che, in breve, il pellegrinaggio a Parma per farsi un selfie con lui o girare un video mentre straparlava di ogni cosa barcollando su un marciapiedi divennero dei must tra i ragazzini. Così come gli inviti alle serate in discoteca o il progetto, durato poco, di vendere le t-shirt con le sue frasi più iconiche. Persino Andrea Diprè, allora a caccia di “talenti” per il suo canale Youtube, lo intervistò a letto nella struttura dove gli assistenti sociali gli avevano affidato una stanza. Un fenomeno web e social, che rimane nella “storia” del trash in Rete, che però a livello umano nascondeva un’esistenza ben più travagliata.
Passato attraverso altre notizie di cronaca in tono minore, come l’arresto per essere stato trovato in possesso di 114 grammi di hashish e la denuncia per aver mostrato in strada un grosso coltello, non poteva che tornare su Youtube a raccontarsi. Ma stavolta l’Andrea Alongi che vediamo è molto diverso da quel ragazzo sempre strafatto e che si fa beffe di ogni cosa. Nell’intervista video che si può seguire sul canale Eden - Dialoghi e Ritratti, ritroviamo un 33enne che ha già i capelli bianchi, lo sguardo un po’ malinconico ma con una luce più brillante negli occhi, il sorriso bonario e non più il ghigno nichilista di chi è convinto di non avere futuro. Parla con calma, aprendo le solite parentesi che non sempre chiuderà, ma la ricostruzione della sua vita è lucida e consapevole, autocritica e soprattutto lontana dagli eccessi del passato. Così l’Alongi, che era diventato un meme vivente, ora ci appare come un uomo che si confessa (l’intervista si intitola "Come non mi sono mai raccontato") e ci fa conoscere aspetti inediti di come un ragazzo così giovane sia arrivato a vedere l’abisso.
Figlio di genitori separati. Il vero padre, muratore originario di Palermo, che lasciò la famiglia dopo che lo stesso Andrea lo vide “picchiare mia madre davanti ai miei occhi”. La mamma, che si mise insieme a un uomo di origini tunisine che in casa non gli permetteva “di festeggiare il Natale, non potevo fare l’albero, non potevo tenere i piercing, non potevo avere i capelli troppi lunghi, non voleva che portassi le braghe larghe e a vita bassa o i piercing”. Ancor più grave, però, che ancora adolescente lo usasse come corriere della droga: “Gli andavo bene quando vendevo per lui le buste, la roba. Avevo 14-15 anni, avevo già smesso di andare a scuola”. Ma con la droga la frequentazione inizia anche prima, quando i genitori vanno in Tunisia e lo lasciano dallo zio, il fratello della mamma, e in quel momento finisce la sua infanzia: “Lo zio, che hanno arrestato due anni dopo, quando avevo 12 anni mi passò una canna e da quel momento iniziai a fumarle”. Non che il rapporto con la madre fosse molto migliore: “Mi picchiava. Ma erano torture, violenze psicologiche”. E fa alcuni esempi: “All’epoca mangiavo sul lavandino, che chiamavamo secchiaio”. Tanto che sta imparando in questo periodo a mangiare seduto al tavolo. Con queste premesse la scuola non poteva che trasformarsi nell'ennesimo disastro: “A 13 anni mi hanno offerto della cocaina. Ero sempre strafatto, già un tossico, mi addormentavo in classe e i professori, vedendo che non ce la facevo, mi lasciavano dormire”. Abbandonata la scuola, non può far altro che coltivare l’unica attività che gli permette di avere un rapporto con il patrigno e qualche soldo, lo spaccio: “A casa avevo l’ansia nel dire a mia mamma se era tutto a posto, per non farmi sentire da lui, per sapere se era incazzato”. Ma anche fuori di casa, visto quello che ha vissuto, “ero sempre con l’ansia, con un nodo alla gola, una sensazione orribile. Ero terrorizzato. La paura ti tiene vivo, il terrore ti uccide. E la droga mi ha anestetizzato”.
In queste condizioni, non poteva andare meglio quando se ne andò di casa e i servizi sociali, nonostante avesse solo 19 anni, lo portarono in una struttura con altre trenta persone tra “ex carcerati, tossicodipendenti e condannati per reati di mafia”. Infatti a un certo punto, ammette, “potevo fare quello che volevo, nessuno ti veniva a controllare, ma “quando avevo 19 anni ho tentato… caput.. capisci?” (intendendo la volontà di suicidarsi). Come? Con l’unico strumento che conosceva bene, le droghe: “Avevo gli occhi velati, come se avessi la cataratta. Ero annientato. Volevo quello alla fine. Ero arrivato a una tolleranza abbastanza alta, il tuo corpo come in palestra lo alleni. Ma ero schiavo. Arrivavo al punto da pensare: quand’è che muoio? Perché quando chiudo gli occhi non crepo?”. Di cosa? “Fumavo il crack con la bottiglietta, prendevo metadone e psicofarmaci”. E andava alle feste “per spaccarmi, duravano anche un paio di giorni. La droga era tutto, parlavo solo di droga. Era la mia esistenza. Quando inizi da piccolo ti intacca dentro per colpa della dipendenza”. Un abisso nel quale sembrava impossibile uscire.
Invece l’Alongi che si presenta di fronte alla telecamera di Eden - Dialoghi e Ritratti sembra esserne uscito “da un anno e mezzo”. Lavora in un negozio per la toelettatura degli animali (“li amo, se un giorno non avessi niente darei da mangiare prima a loro che a me”), ha una compagna, una casa e dei sogni per il futuro che sono alla portata di tutti: “Vorrei mangiare sano, mettermi a posto i denti, fare una vacanza, andare a trovare mio fratello in Germania. Avrei voluto farmi dei tatuaggi, ma prima spendevo tutto in droga, adesso meglio in action figure”. Non sa spiegare esattamente che cosa gli abbia dato la forza di cambiare, ma si capisce fra le righe: il lavoro. Non a caso ringrazia “il mio capo è un grande ad avermi dato fiducia, perché ero conosciuto per quello che facevo”. Quindi l’aver trovato qualcuno che, senza pregiudizi, gli ha dato fiducia e un’alternativa al guadagnare soldi con lo spaccio, unita a una normalità familiare che non aveva mai conosciuto prima, sembrano essere state le chiavi di questa rinascita. Qual è oggi la sua più grande paura? “Essere schiavo di una sostanza e tornare come prima, pieno di rabbia e odio”. Una testimonianza importante quella di Andrea Alongi, che andrebbe ascoltata e condivisa. E che in un mondo normale, che purtroppo normale non è, dovrebbe diventare virale almeno tanto quanto la sua deposizione a Un giorno in pretura. Darebbe una speranza ai molti che, abbagliati soltanto dalle vite da meme sui social, poi non trovano una via d’uscita ai loro problemi nella realtà.