Francesca Ghio, consigliera comunale a Genova in lista Rossoverde, ha parlato così in aula ai colleghi: “Avevo 12 anni, ero un’adolescente della Genova bene, e sono stata violentata fisicamente e psicologicamente tra le mura di casa mia, ripetutamente, per mesi”. Il 25 novembre è stata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Poche ore dopo, la consigliera ha raccontato la sua esperienza e la maturazione della decisione di parlarne: “È stato mentre cullavo mia figlia (che si chiama Artemisia, ndr), questa mattina, mentre mi perdevo nei suoi occhi, che ho deciso che era il momento di intervenire in questo modo su questo argomento e di riaprire questa cicatrice, neppure mia madre sapeva nulla, ma il punto non sono io, la mia storia è la storia di una donna su tre, il mio corpo è politico, è bandiera, la mia voce in quanto consigliera comunale è la voce di chi non ha la visibilità e la possibilità di parlare”. Il suo abuser, come spesso succede, era una persona a lei vicina “uno dei nostri ‘bravi ragazzi’, un giovane manager di una piccola azienda che aveva accesso alla nostra casa, lui mi diceva di stare zitta e che doveva essere il nostro segreto, mentre sottostavo alle sue torture dovevo giurargli di non raccontare niente a nessuno”. Da piccola non si era resa conto di quello che le era successo. La comprensione è arrivata con il tempo, da adulta: “Ho provato a parlarne anni dopo e mi sono sentita giudicata, iniziavo il discorso e notavo disgusto, e allora dicevo ma no, sto scherzando”. Le conseguenze di quella violenza subita si sono protratte per molto tempo.
“Ho iniziato a fumare Marlboro, anche se non mi piaceva, mi facevo dei tagli sulle braccia e per anni ho coperto le cicatrici indossando felpe anche in estate, nessuno mi chiedeva perché, ero arrivata a colpevolizzarmi”. Ma adesso è il momento di parlarne, per il momento storico che stiamo vivendo e per la possibilità di essere ascoltata, data la sua posizione: “Oggi che il mio stato di salute mentale mi consente di raccontare lo faccio per dimostrare che queste cose succedono a noi, alle nostre sorelle, alle nostre amiche, ma serve un messaggio forte per evitare di normalizzare determinate questioni, non si può parlare di educazione all’affettività o di sportelli antiviolenza alzando gli occhi al cielo per la noia, queste cose accadono a tutte, e gli uomini continuano a violentare”.