A maggio del 2024 il Ministero della Cultura, nella persona del sottosegretario con delega alla musica Gianmarco Mazzi, ha organizzato un convegno dal titolo “Canzoni violente contro le donne, che fare?”. La notizia sta circolando in maniera virale solo in questi giorni perché l’ospite d’onore era Morgan, attualmente protagonista di una delle (presunte) più brutte pagine di stalking della storia della musica italiana. In ambito hip hop, però, si era parlato molto di questa deriva oscurantista. Sul banco degli imputati, infatti, ci sono sempre e solo le liriche del rap e della trap: il convegno si era concluso con la proposta di “istituire, all’interno del tavolo permanente dell’industria musicale italiana, un organismo simile al giurì della pubblicità, che supervisioni il linguaggio ed eserciti una sorta di autoregolamentazione; il Ministero, da parte sua, potrebbe creare un meccanismo di premialità per gli artisti che si impegnano a non favorire la circolazione di certi contenuti”. Insomma, l’idea di fondo era di creare una sorta di comitato di autocensura – o meglio, di censura pura e semplice – per proteggere le giovani orecchie degli ascoltatori, ed è stata rilanciata anche tre giorni fa dal ministro Gennaro Sangiuliano in audizione dinnanzi alla Commissione Infanzia e Adolescenza della Camera. Il promotore dell’iniziativa, il sottosegretario Mazzi, si era già scagliato in precedenza contro il rap: durante la scorsa Milano Music Week, ad esempio, era arrivato a dire che i rapper avvelenano intere generazioni. Curiosamente, però, a quella stessa Milano Music Week nessuno di questi integerrimi moralizzatori era presente al panel di Equaly (associazione di musiciste e professioniste della musica) che trattava i risultati di un’indagine su disuguaglianze e violenza di genere in ambito musicale (indagine ancora in corso, il questionario si può compilare qui). Tra gli ospiti del panel, guarda caso, c’era invece un’anonima e giovane cantautrice, Angelica: oggi la conosciamo tutti come la vittima dei comportamenti di Morgan.
A volte, insomma, la misoginia e la violenza si nascondono non dove sembrerebbe palese, ma là dove nessuno guarda. I testi rap sono misogini? Indubbiamente possono essere anche misogini, certo, così come possono essere omofobi, grassofobici, abilisti e mille altre cose ancora. Il punto, però, è che la loro funzione sociale è proprio quella: sfogare a parole tutti i nostri più bassi istinti, in modo che non sfocino mai in un conflitto reale. Ad avere quest’intuizione furono i pionieri dell’hip hop del Bronx, che negli anni ‘70 posero un argine alla violenza – fin troppo reale – tra gang giovanili convincendoli a sfidarsi a colpi di rime, anziché a colpi di coltello. Ancora oggi, anche se il contesto è cambiato radicalmente, il rap aiuta ragazzi dal vissuto difficilissimo a mettere in musica il loro disagio e la loro voglia di spaccare tutto, e porre un limite legislativo a tutto ciò potrebbe rivelarsi estremamente rischioso. Se volete approfondire ulteriormente il tema, il consiglio è di leggere Testi espliciti, un volume a cura di Paola Zukar e Claudio Cabona pubblicato di recente da Mondadori, che attraverso interviste e testimonianze di numerosi personaggi proveniente dalla scena rap, dall’arte e dalla cultura spiega proprio qual è il sottile confine che separa la libertà di espressione da tutto il resto.
Il punto, in effetti, spesso è proprio l’incapacità degli osservatori “esterni” al rap di distinguere testi metaforicamente espliciti e sessisti (di estremo cattivo gusto e comunque sempre questionabili, sia chiaro, ma le donne rapper fanno lo stesso, vedi il caso di WAP) dai testi realmente violenti nei confronti delle donne. Lo ripetiamo: nel rap i testi violenti nei confronti delle donne esistono eccome, ma sono una minoranza. Nel 1990, ad esempio, gli americani Geto Boys pubblicarono un brano intitolato Mind of a Lunatic che descriveva nei minimi dettgli uno stupro, e lì non c’era espediente narrativo o metafora che tenesse: la realtà era proprio quello che sembrava a un primo ascolto. È anche vero che le canzoni violente contro le donne esistono anche nel pop italico. Vogliamo parlare di Bella stronza di Marco Masini, che nel 1995 scandalizzò per il titolo troppo volgare per le radio, ma non per i versi “Mi verrebbe da strapparti quei vestiti da puttana / e tenerti a gambe aperte finché viene domattina / ma di questo nostro amore così tenero e pulito / non mi resterebbe altro che un lunghissimo minuto di violenza”?.
Ma dopo la difesa d’ufficio del rap, tocca anche fare un appunto ai rapper, in particolare a quelli italiani: al di là di notevoli eccezioni come J-Ax e Ghemon, questa settimana quasi nessuno di loro ha preso esplicitamente posizione in solidarietà ad Angelica. Eppure era un’occasione perfetta per far capire all’opinione pubblica che, nonostante le rime sboccate e la tempra fumantina, in fondo la scena è costituita da bravi ragazzi dai sani valori (cosa peraltro vera: come in ogni congrega umana i sociopatici ci sono, certo, ma sono pochissimi, per fortuna). Alcuni si sono limitati a prendere posizione contro chi continua a dar spazio a Morgan (Gemitaiz ed Ensi), altri hanno espresso ironicamente solidarietà a Calcutta, compagno di Angelica (Nerone), ma i più sono stati zitti, come se nulla fosse successo. Ecco, sarebbe stato bello che avessero mostrato un po’ più di coraggio. Vista dall’interno, la ritrosia a esprimersi è comprensibile. C’entra la tradizionale tendenza di questo tipo di artisti a non schierarsi, a meno che la questione non li riguardi direttamente; ma sicuramente c’entra anche la paura che qualche analfabeta funzionale possa ribattere che di violenza sulle donne non dovrebbero proprio parlare, visti i contenuti dei loro testi. E qui vi rimandiamo in alto di due paragrafi, se per caso ancora non aveste capito la differenza tra liriche violente e liriche esplicite, e tra realtà e metafora. Resta il fatto che l’unico modo per evitare che qualcuno possa equivocare messaggi e posizioni è quello di parlare chiaro e tondo: così come la scena rap si è affrettata a stringersi attorno a Shiva che questa settimana è stato condannato a sei anni di carcere per tentato omicidio – e ci sta, è comprensibile, e magari di questa vicenda parleremo meglio in una delle prossime puntate di Rapsplaining – sarebbe bello alzare la voce anche in nome di Angelica, o in nome di Toomaj Salehi, il rapper iraniano condannato alla pena di morte dal regime per via dei suoi testi. Non siate timidi.