Roberta Castoldi, cosa so di lei? Innanzitutto la devo ringraziare perché, quando ci siamo trovati nella sua Monza, oltre a mostrarmi, doverosamente, turisticamente, la Corona Ferrea, mi ha fatto dono di una visita alla sinistra, nibelungica, spettrale “Cappella espiatoria”, sorta nello stesso luogo dove il doveroso vendicatore Gaetano Bresci, il 29 luglio del 1900, durante una manifestazione di ginnasti in calzamaglia a righe, giustiziò il “Re buono”, Umberto I. Assai grave che un ex diffusore di “A-rivista anarchica”, quale sono stato da ragazzo, non ne ricordasse il nome con esattezza, ero infatti convinto che si chiamasse, più laicamente, tempio. Bresci così vendicò i compagni morti sotto le cannonate dell’infame generale Bava Beccaris. Poi so ancora che Roberta è violoncellista, proprio come Lori Singer, longilinea protagonista di “Fame”, “Saranno famosi” da noi; Lori che usciva da casa vestita da collegiale, mettendo un istante dopo la minigonna in ascensore… E soprattutto, Roberta Castoldi, è una poetessa, o poeta, Roberta? “Effettivamente mi piace di più poeta, però non è importante”. Sappi che nella targa posta sull’edificio parigino di rue Auguste Comte, dove abitava Simone Weil, c’è scritto “filosofo”, sappilo. So ancora che ha avuto un lungo rapporto di amicizia e complicità con grande nostro poeta, lo smerigliato Franco Loi. Bene, visto che sei poeta, di’, ora, subito, un tuo verso. “Sono ferma nella trasparenza del mondo che mi capita di attraversare, sono sola, ferma e prodigiosa”. Roberta, ora fermati davvero, perché ho le finestre aperte, siamo in estate, e c’è un caz*o di ragazzo, mio dirimpettaio, che suona la batteria, ovviamente tu, violoncellista, lo perdonerai, nonostante stia ciancicando il sublime dei tuoi versi, sbaglio? “Amo l’irruzione della musica…”. Sarà, ma intanto ho dovuto chiudere la finestra perché non “sporcasse” la tua “cetra”. Dimmi allora quando l’angelo della poesia ti ha raggiunta? “Quando avevo sei anni ero divertita dallo scrivere, e diventavo matta di gioia, guardavo dalla finestra, abitavo in un palazzone di sei piani e mi veniva da scrivere. L’identità più intima, originaria, è per me proprio la poesia, le parole che sgrano”.
Hai così surclassato Rimbaud, “poeta di sette anni”, cominciando un anno prima di lui. “Rimbaud ha finito presto, a diciassette, io ne ho cinquantatré, diciamo che lui ha concentrato il suo angelo. Per me la grande svolta è stato l’incontro con Franco Loi. A lui ho fatto leggere i miei componimenti, lui ha detto che erano proprio belli, e poi ha aggiunto: però guarda bene le parole. Trapelare, per esempio. ‘Trapelare’? Mi vuoi dire che è passata attraverso i peli? Stai attenta alla voce che parla dentro di te, perché quella voce è precisa, devi solo pulirti bene le orecchie e gli occhi, stai in ascolto…”. Va bene, ma se tu dovessi catalogare il tuo genere poetico? Metti: se tu dovessi spiegarlo, che so, a un’assistente di volo? Se questa, sconosciuta, ti chiedesse: ma lei che tipo di poetessa è? “Sarebbe una conversazione stupenda. Direi: ma, scrivo poesie molto intime, perché come diceva Marina Cvetaeva: quanto più un poeta è intimo e lirico tantopiù è ‘civile’, perché se mantieni contatto con la tua natura umana riesci a dire qualcosa davvero sugli altri…”. Con queste parole, mi fai venire in mente un’altra poetessa russa, Anna Achmatova che, nonostante racconti il suo dolore personale vissuto nell’universo concentrazionario sovietico nei giorni dello stalinismo, ugualmente è riuscita a creare un canto “civile”. Bene, sapevi che l’unico momento di gioia avuto dalla Achmatova nella sua vita pubblica è stato un invito, nel 1964, in Sicilia, per ritirare il Premio “Etna Taormina”? Qual è stato per te un momento simile? “Quando Alda Merini mi ha mandata a fare in cu*o, mi ha dato della ‘deficiente’, dovevo andare a presentare la mia prima raccolta, “La scomparsa”, a Padova, con Franco Loi, e uno mi ha detto: porta anche la Merini. L’ho chiamata, e lei mi ha trattata malissimo: ha detto che probabilmente ero, appunto, la deficiente di un ufficio stampa, poi ha aggiunto: ‘… l’unico mio bisogno sono delle medicine, adesso le do l’elenco, se vuole essere cortese venga qui e me le porti’. Questa dimensione dell’umano è ciò che cerco. In questo senso penso a un altro amico, Dominique Degli Esposti, pittore, corso, che ha sempre amato la mia scrittura, mi ha insegnato la meraviglia di andare al supermercato a fare la spesa”.
Leggo che come violoncellista, e anche vocalist, hai collaborato, fra gli altri, con Bluvertigo, Afterhours, Verdena, David Byrne. Vero o è un’impostura? “Verissimo, con David Byrne, per esempio, ho suonato con un sestetto d’archi durante la sua tournée italiana”. Leggo pure che Asia Argento ha fatto un corto dai tuoi versi de “La scomparsa”, vero anche questo? “Asia legge molto, a un certo punto conosce Marco…”. Ferma, ferma, Marco è tuo fratello, esattamente quello che si fa chiamare Morgan? Prima o poi bisognerà pure capire perché uno che si fa chiamare Morgan sulla linea puntinata della patente è soltanto Marco. Te lo dico perché molti anni fa conoscevo uno che si chiamava Salvo, eppure pretendeva che nel quartiere fosse per tutti Brian, in più sosteneva di suonare per le Equipe 84, salvo poi passare ai Santana. Non era vero nulla, un mitomane… “Morgan come il pirata! Lui, mio fratello Marco, sosteneva invece di suonare con i Bluvertigo… Perdonami, ma veramente stavamo parlando del corto di Asia…”. Ok, allora dimmi quali sono i luoghi dove lo ha girato. “Nel parco di Monza…”. Cioè in Brianza? Quindi tu hai salvato la Brianza dalla sua retorica industriale, dall’immagine abituale non proprio elegiaca che ne abbiamo… “Sì, dall’immagine alcolica e dei capannoni…”.
E allora, pensando a “La scomparsa”, dimmi un verso che cancelli la vista prosaica dei terribili capannoni. “Scrivo da sotto il crepaccio, dove decade quanto non si ripete, nudità dolorosa e tagliata, spaccata pietra… L’ho citata a memoria, forse ho invertito alcuni versi”. Non importa, anche un amico che ho molto amato, Claudio Lolli, cantava con il libro dei testi in mano. “Sai, Fulvio, che mi rendi agitata, sei brillante e mi metti ansia…”. Lascia perdere me, hai nominato tuo fratello Marco prima, quello che si fa chiamare Morgan, così come quell’altro, Salvo, pretendeva d’essere Brian, pensa che mia figlia, ad Alba, anni fa, lo ha pure preso in braccio e cullato, parlo proprio di Marco, tuo fratello, che mi ha perfino insegnato l’esistenza di uno strumento elettronico di cui ignoravo l’esistenza, il theremin, dove il suono è determinato dallo spostamento delle mani dell'esecutore rispetto a due antenne che regolano le variazioni di altezza e di intensità, allora dimmi cosa ha insegnato a te? “Moltissime cose, a parte che è più piccolo di me. Mi ha insegnato la forza, perché lui è un resistente”. In Sicilia, sappi, uno come tuo fratello Marco, cioè Morgan, per le narrazioni che ha costruito su di sé, intorno a sé, anche di recente, lo chiamerebbero “chiodo storto”, cioè incorreggibile, poco importa che gli abbia sentito suonare al piano Debussy, era Debussy? “Lui ama moltissimo anche Beethoven. Da ragazza facevo tutto avendo in sottofondo il suo pianoforte, altre volte, quando c’erano le band, rompeva i coglioni con le batterie, perché, metti, io intanto dovevo studiare Kant…”. Scusa, dimenticavo di dire che sei laureata in filosofia, hai avuto pure un dottorato in scienze cognitive addirittura a Messina, la città di cui si era innamorato Nietzsche… “Scherzi? Io sono innamorata della Sicilia. Quando sono andata giù, tutti mi dicevano ‘ma tu ci puorta cca?’ ma perché non vai a Londra? Sono stati anni meravigliosi, ho conosciute persone e case meravigliose…”. Roberta, parliamo di cose serie: a Palermo uno come tuo fratello verrebbe definito un “chiodo storto”. Se tu dovessi parlare di questo chiodo storto di casa Castoldi cosa diresti? “Che è un buonissimo chiodo storto, che contempera gli opposti, credo sia un chiodo potenziato, ha una grande complessità, però non gli serve a un caz*o, tu sai qual è la funzione di un chiodo storto?”. Roberta, il chiodo storto non ha una funzione, il chiodo storto, filosoficamente parlando, è. Che ne dici, chiudiamo con la promozione del tuo nuovo libro in uscita; titolo? L’aria che passa, pubblicato da Anima Mundi. Sono conversazioni con Franco Loi, da me registrate. Un ritratto che mostra Franco, umano, sciamano, poeta… Lui parla anche della sua dentiera”. Effettivamente, l’immagine della dentiera è molto umana… “Sì, la sua voce che dice: vado a mettermi i denti”. Effettivamente, Roberta, non c’è modo migliore per salutarci.