Non bastasse già l'ultima, disastrosa performance televisiva contro Donald Trump ad evidenziare l'età avanzata e le condizioni fisiche sempre più precarie di Joe Biden, ecco anche l'Economist a mettere il dito nella piaga.
Il prestigioso settimanale anglo-sassone è uscito con una copertina emblematica della situazione che sta attraversando la prima potenza mondiale: un deambulatore con il simbolo del presidente degli Stati Uniti. “È stata un'agonia vedere un uomo anziano confuso lottare per ricordare parole e fatti”, ha scritto il giornale. Lasciando tuttavia intendere che neppure l'alternativa a Biden, e cioè Trump, rappresenti un profilo adeguato a ricoprire la prossima presidenza del Paese. Non solo per il disprezzo mostrato dal tycoon nei confronti delle istituzioni nazionali e dei valori democratici, ma anche per i suoi guai giudiziari, una moralità da rivedere e, più in generale, una visione del mondo troppo affaristica.
Morale della favola: al termine delle prossime elezioni presidenziali l'immagine degli Usa rischia di uscire frantumata in mille pezzi. Esiste un modo per evitare la debacle? Sarebbe necessario il ritiro di Biden, l'ingresso in scena di un'alternativa capace di compattare l'elettorato dem, e la vittoria di questo fantomatico mister (o miss) X contro Trump.
La via più semplice chiama in causa il famigerato Deep State. Che si è già attivato, a quanto pare, per risolvere alcune crisi internazionali. Così da ridare ossigeno ad un Paese che rischia di perdere la bussola.
Deep state e diplomazia: lavori in corso per scongiurare il disastro
Il Deep State americano – termine che piace e compiace, ma che in realtà indica soltanto gruppi di funzionari anonimi – si è già mosso in due direzioni. Entrambe portano, o comunque dovrebbero portare, alla risoluzione di importanti crisi internazionali: la prima chiama in causa la guerra tra Israele e Hamas, la seconda il conflitto tra Ucraina e Russia. Ebbene, sembra quasi che due fronti distinti della burocrazia/diplomazia Usa si stiano muovendo in maniera indipendente nel tentativo di portare acqua a due mulini diversi.
I funzionari dell'amministrazione Biden stanno forzando la mediazione tra Tel Aviv e il gruppo filo palestinese di Hamas. Pare addirittura che la Casa Bianca abbia fatto capire al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che “è arrivato il momento” di chiudere l'accordo con i suoi nemici. Chiara la logica dello staff di Biden: sfruttare la risposta positiva di Hamas all'ultima proposta per colmare le lacune rimanenti e ottenere una fumata bianca. In grado, va da sé, di liberare gli ostaggi trattenuti a Gaza – tra i quali vi sono anche cittadini statunitensi – e conseguire un cessate il fuoco nell'intera Striscia. In tal caso, Biden otterrebbe una fondamentale conquista in politica estera da spendere in campagna elettorale. Fondamentale per camuffare gli ultimi guai legati all'età.
La contromossa di Trump
Allo stesso tempo circolano voci secondo cui Trump starebbe negoziando con Vladimir Putin in merito a come bloccare la guerra in Ucraina. È più realistico pensare che alcuni funzionari, sempre loro – e non The Donald in persona – stiano sondando le mosse da fare per capire come convincere il Cremlino a mollare la presa.
Alcuni media hanno già ipotizzato quali territori ucraini conquistati dalle forze russe dovrebbero essere consegnati de facto a Mosca per bloccare l'operazione militare di Putin: Crimea e Donbass sicuri, poi chissà cos'altro. Kiev ha intanto sempre meno potere negoziale, e dunque potrebbe essere costretta ad ingoiare il boccone amaro.
Se la rete diplomatica americana dovesse riuscire a gettare le fondamenta per un'intesa con la Russia, a quel punto Trump/Biden (dipende da chi vincerà, ma questo dossier premierebbe più The Donald) potrebbe terminare la costruzione e rivendicare il successo diplomatico. La fumata bianca sarebbe inoltre una pillola agrodolce per far digerire all'elettorato un ipotetico “Trump bis”. Sarà sufficiente sbloccare qualche crisi internazionale per bloccare le polemiche interne? Spoiler: probabilmente no.