A ottobre sarebbe dovuto scattare il blocco alla circolazione delle auto diesel Euro 5 in diverse regioni del Nord Italia: parliamo di circa 1,5 milioni di veicoli immatricolati tra il 2011 e il 2015, un quinto del parco auto complessivo circolante. Poi è arrivato l’emendamento della Lega al decreto Infrastrutture che ha rinviato tutto di un anno, una toppa che però non risolve il problema. Perché la questione, come al solito, è più complessa di come ce la raccontano. A Bruxelles non esistono direttive che vietano la circolazione dei veicoli Euro 5: la normativa Ue si limita a stabilire limiti per la qualità dell’aria (direttiva 2008/50/CE) e standard per i veicoli di nuova immatricolazione (da Euro 1 a Euro 7). La palla passa poi agli Stati membri e alle loro amministrazioni locali, che devono trovare il modo di rispettare quei limiti. Ed è qui che si inceppa il meccanismo: in Italia, molte Regioni e Comuni hanno scelto la strada più semplice e più dolorosa, cioè bloccare i veicoli più vecchi invece di investire in misure strutturali. Eppure i dati ufficiali parlano chiaro: la condanna della Corte di Giustizia europea contro l’Italia nel 2020 per lo sforamento dei limiti di PM10 e NO2 non è un capriccio di Bruxelles. Le nostre città continuano a registrare livelli d’inquinamento ben sopra la soglia di legge, con picchi a Torino, Milano, Bologna. Il problema esiste e non può essere ignorato. Ma tradurre tutto in un blocco dei veicoli senza alternative rischia di essere solo un colpo basso alle fasce più fragili della popolazione, quelle che un’auto nuova non possono permettersela, mentre il trasporto pubblico continua a essere inadeguato e gli incentivi per il ricambio del parco auto restano timidi e poco efficaci: “Ci vuole poco a scrivere un provvedimento dicendo che bisogna ridurre le emissioni inquinanti”, osserva Maurizio Belpietro, direttore della Verità “ma poi una volta applicata, la misura messa a punto dagli occhiuti funzionari europei impatta sul portafogli dei cittadini, con conseguenze a dir poco devastanti”.

D’altra parte, sarebbe sbagliato bollare il Green deal come un capriccio europeo. Ma come si può pensare che la transizione verde passi solo per blocchi alla circolazione, senza un piano nazionale che accompagni i cittadini? Mentre Bruxelles prepara l’arrivo dell’Euro 7 e lo stop ai motori termici nel 2035, l’Italia resta ferma al palo con un parco auto vecchio e un trasporto pubblico da terzo mondo. E allora il rischio è quello che lo stesso Belpietro ha riassunto con amara ironia: “Il Green deal non è affatto una passeggiata su un tappeto di fiori, ma una via crucis disseminata di spine e soprattutto di costi”, continua Belpietro. Perché sì, l’Europa fissa gli obiettivi e i limiti, ma se poi le Regioni preferiscono far cassa con le multe piuttosto che investire sul futuro, il danno lo pagano gli automobilisti. Il caso emblematico è l’Emilia-Romagna, unica regione a non essersi accodata al fronte del rinvio: stretta tra ambientalisti e realtà economica, rischia di restare prigioniera di scelte simboliche. E mentre si dibatte, milioni di italiani restano appesi: chi ha un’auto diesel Euro 5 non la tiene per hobby o per inquinare, ma perché non può permettersene una nuova. La transizione ecologica non può essere solo un esercizio di burocrazia: servono scelte coraggiose, fondi veri e un minimo di buon senso.