Quello che è successo in mezzo al largo del Portogallo non sembra essere un grande spot alle auto elettriche come soluzione suprema alla salvaguardia dell’ambiente. Al di là dei dubbi sulla fattibilità del passaggio in massa a questa soluzione, come obbligo europeo vorrebbe dal 2035 (in Gran Bretagna addirittura dal 2030), ai problemi sulla produzione delle batterie stesse (attualmente si fanno in grande maggioranza in Cina tramite centrali a carbone: non propriamente ecologiche) si aggiunge poi un fatto non trascurabile: se gli accumulatori al litio prendono fuoco, sono guai (senza contare che in alcuni casi potrebbero essere le batterie stesse la causa dell’incendio). Con tutta probabilità un caso esemplare è quello della nave Felicity Ace, andata a fuoco non lontano dalla costa delle Azzorre dopo essere partita dal porto di Emden (Olanda) con a bordo 3.945 costosissimi veicoli nuovi.
“La presenza a bordo degli accumulatori ad alta capacità, indipendentemente dal loro stato di carica – riferisce La Verità – ha propagato le fiamme alzando ulteriormente la temperatura del rogo. Dalle vicine isole sono immediatamente intervenuti i soccorsi che hanno raccolto i 22 membri dell’equipaggio, mentre la nave, varata nel 2005 e valutata 25 milioni di dollari, è stata dichiarata da smantellare. I danni stimati sono di mezzo miliardo di dollari, nave esclusa, poiché c’erano a bordo 1.100 Porsche e 189 Bentley, oltre ad Audi, Lamborghini e Volkswagen, ma ciò che veramente impressiona è che a puntare il dito verso le batterie al litio è stato proprio parte dell’equipaggio che si è trovato a cercare di domare un incendio che ha raggiunto temperature elevatissime, apparso oltre il migliaio di gradi centigradi alle termocamere dei soccorritori”.
E poi c’è l’inquinamento: “Una cella che brucia rilascia un grande quantitativo di anidride carbonica ma anche fluoruro di idrogeno, di fosforo, ceneri e solventi. Non a caso l’aviazione commerciale, nella quale durante il volo l’equipaggio non può raggiungere la stiva, da una decina d’anni ha cominciato a limitare la quantità massima di batterie trasportabili su un singolo aeromobile e il livello di carica che esse devono avere per poter essere imbarcate. Inutile quindi accusare le altre filiere produttive di essere pericolose e inquinanti, quando questo non è neppure il primo caso. […] Nel febbraio 2019 una nave gemella a quella bruciata, la Sincerity Ace, era andata in fiamme con a bordo 3.500 vetture mentre era al largo di Oahu. E a ben ricordare un incendio simile accadde anche al porto di Savona nella notte del 28 ottobre 2018, quando una mareggiata investì il parcheggio nel quale erano custodite auto destinate all’esportazione. Quella volta per arginare le esplosioni delle batterie di bordo delle ibride erano dovuti intervenire i Vigili del fuoco da Cuneo”.
Di per sé il rischio “autocombustione” nelle batterie non pare così elevato, “ma qualsiasi fiamma che si sprigioni nelle vicinanze delle batterie rappresenta un innesco irreversibile, e grandi pericoli per le celle sono anche le forti vibrazioni e la permanenza a temperature inferiori a zero, come nell’Atlantico in inverno. Non a caso nelle prime generazioni di auto con accumulatori al litio (ante 2016), era proibita la ricarica con temperature negative”.
A tutto ciò e ad altro si aggiunge la questione dello smaltimento delle batterie a fine vita e del problema dell’estrazione dei minerali necessari per la costruzione delle celle.