Milena Gabanelli in Data Room torna a occuparsi di auto elettriche. Si parte dalla considerazione che in Europa, salvo ripensamenti chiesti da più parti, non si venderanno più auto con motore endotermico dal 2035 (in Gran Bretagna già dal 2030). Nel 2030 Volkswagen prevede che il 50% delle sue vendite saranno auto elettriche, Toyota il 30%, Renault il 90% e Stellantis il 70% in Europa e il 40% negli Usa: “Un cambiamento – argomenta Gabanelli assieme a Rita Querzè – che comporta investimenti miliardari, pubblici e privati, per avviare una produzione di batterie, attrezzare il territorio con le colonnine di ricarica e aumentare enormemente la produzione di energia da fonti rinnovabili. Sappiamo anche che in Italia, con lo stop al motore diesel e benzina, si perderanno oltre 70 mila posti di lavoro e, dunque, cosa stiamo facendo per creare occupazione nella mobilità emergente?”
A quanto pare molto poco, se non nulla, e di certo non abbastanza: “I veicoli elettrici circolanti oggi nel nostro Paese – le parole di Gabanelli riportate dal Corriere – sono 236 mila e, stando alle previsioni comunicate a Bruxelles, diventeranno 6 milioni entro il 2030 e 19 milioni entro il 2050. […] Per reggere la transizione occorre raddoppiare la disponibilità di energia, poiché tutto funzionerà con una presa di corrente, caldaie comprese. E se vogliamo che le auto elettriche siano a emissioni zero vanno alimentate con energia da fonti rinnovabili”. Per capirsi, se come ora le batterie le fanno quasi solo in Cina con le centrali a carbone, le cose non possono funzionare da nessun punto di vista.
C’è la questione della rete: “Deve anche essere in grado di reggere nella giornata i momenti di maggior di assorbimento. Oggi abbiamo picchi giornalieri intorno ai 55 gigawatt. Con sei milioni di auto elettriche di piccola cilindrata in carica, che da sole assorbono 22 gigawatt, dovremo sostenere picchi ben più alti, altrimenti salta il sistema, esattamente come succede in casa quando attacchi insieme la lavatrice e la lavastoviglie. Vuol dire che bisogna trovare il modo di stoccare l’energia prodotta dalle rinnovabili per tirarla fuori quando serve. […] Ma è una tecnologia che sta ancora muovendo i primi passi”.
Ci sono le colonnine. Oggi abbiamo 26.024 punti di ricarica, nel 2030 si prevede di arrivare a oltre 3 milioni di punti privati e circa 100 mila pubblici. […] Eppure la creazione della rete delle colonnine procede a rilento”.
Per prima cosa per la Gabanelli “manca una mappa nazionale dei punti di ricarica pubblici”, dopodiché “è indispensabile che gli operatori facciano accordi di interoperabilità” (perché “oggi può succedere di collegarsi a una colonnina che non ti ricarica l’auto perché appartiene a un operatore diverso”), per l’installazione “i Comuni dovranno regolamenti con basi standard e coordinandosi con i gestori delle reti elettriche”, mancano infrastrutture di ricarica in autostrada (“oggi sono solo 90. Una norma del 2018 prevede una colonnina ogni 50 chilometri, quindi un totale di 117 entro il 2023. Nessun concessionario però sta procedendo tramite gara”) e, per quel che riguarda i condomini, “installare una colonnina di ricarica nelle aree comuni o nei garage è ancora molto complicato. Servono procedure che agevolino l’operazione”.
Secondo la giornalista di inchiesta divenuta nota al grande pubblico con Report c’è poi la mancanza di una politica industriale e intanto il tempo passa: “Francia e Germania i piani per la transizione dell’automotive li hanno fatti dal 2019, mentre il nostro ministero dello Sviluppo economico veniva svuotato dei suoi esperti di politica industriale. Quando è nata Stellantis, sempre nel 2019, lo Stato italiano non è entrato nella compagine azionaria come ha fatto invece il governo francese. Ora il ministro Giancarlo Giorgetti dice che è colpa dell’Europa e dello stop al motore endotermico. Lo scorso dicembre, però, il comitato interministeriale per la transizione ecologica di cui Giorgetti fa parte ha dato il via libera al “phase out” dal 2035. L’unica risposta al problema, per ora, è l’annuncio di un miliardo di euro nella rottamazione delle vecchie auto, ma – concludono Gabanelli e Querzè – una visione sul futuro dell’automotive non c’è”.