"Si consola, l’europeo, col canto delle sirene atlantiche che chiamano le stesse armi difensive se le usiamo noi e offensive se le usa l’avversario; che considerano i nostri atti di guerra come beneficenza e quelli avversari come delitti, i nostri sabotaggi come scelte ambientaliste e le risposte russe crimini di guerra. Mentre la stessa Europa, che se ne intende, avverte sibilando: «Questa è Guerra, scemo!»": è da poco uscito, in libreria, il nuovo libro del generale Fabio Mini, "L’Europa in Guerra" edito da PaperFirst. Mini la guerra, quella vera, non la conosce per sentito dire: è stato, nella sua lunga carriera militare, generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano e Capo di Stato Maggiore del Comando Nato del Sud Europa, nonché comandante della missione internazionale in Kosovo. Lo abbiamo raggiunto per parlare del suo ultimo lavoro, incentrato sulla guerra in Ucraina.
Caro Generale, nell’introduzione del suo ultimo libro viene smascherata una grande ipocrisia della nostra narrazione mediatico-giornalistica: siamo a tutti gli effetti in guerra e l’abbiamo cercata, se non provocata.
Ipocrisia è la parola giusta. Tutti pensano che sia una guerra tra la Russia e l’Ucraina, e lo è, è sicuramente un aspetto. Che sia anche la Terza guerra mondiale, anche questo può darsi che sia vero. C’è però quest’ipocrisia di fondo che, nonostante tutti questi segnali, uno la definisce «operazione militare speciale» e quell’altro, l’Occidente, non crede che sia la sua guerra. E allora si inizia già molto male. Occorre mettere in chiaro che questa è una guerra vera e propria e che la stiamo combattendo in maniera realistica e reale, non è una guerra metaforica, ed è soprattutto una guerra contro l’Europa.
In effetti non c’è stata una vera e propria dichiarazione di guerra tra Stati come nella Seconda guerra mondiale.
La dichiarazione di guerra c’è stata, in realtà, nel momento in cui si dichiara l’intenzione di combattimento e lo si sostiene, e l’intenzione è quella, esplicitata, di depotenziare la Russia. Più dichiarazione di questa! Certo, non c’è un ambasciatore con la feluca che si presenta con un pezzo di carta in mano, ma la dichiarazione c’è ed è aperta e non è implicita.
Un passaggio molto significativo del libro è quando lei afferma che la «razionalità della Guerra fredda, che ha privilegiato i calcoli rispetto alle emozioni e ha evitato per un capello più volte di avviare la tragedia, è finita. La propaganda e l’influenza strategica si basano sulle emozioni e alterano le percezioni». Viviamo dunque una fase ancora più pericolosa?
Gli equilibri che hanno evitato la guerra in quel periodo erano basati su fattori razionali. Si contano quante armi atomiche si hanno a disposizione, si fanno le proiezioni, le simulazioni, e viene fuori razionalmente che le perdite, o comunque i lati negativi, sono più di quelli positivi. Quando viene meno tutto questo si lascia il posto alle emozioni ed è molto più pericoloso.
Ovvero?
Questa guerra è iniziata prima di tutto con la propaganda. Quando si fa leva su questo, si punta sull’emotività, e quando questa prende il sopravvento, c’è una spirale di emotività che fa diventare razionale anche l’irrazionale, anche se non è giusto, perché non è la realtà.
In questo i media svolgono un ruolo fondamentale. Lei scrive che diventano degli «eroi combattenti» ed entrano nella mischia. Cosa significa?
Questa guerra inizia con la manipolazione, quindi l’intento, il dolo, è di manipolare le coscienze e la realtà. I media sono strumenti di un piano di guerra e quelli che lo sostengono credono di essere degli eroi combattenti. Uno non si deve meravigliare che Joseph Borrell (Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica dell’Unione Europea, ndr) il giorno dopo l’invasione russa dell’Ucraina avesse già pronto il piano per escludere dalle piattaforme social tutte le notizie o i fatti che provenivano dalle fonti russe o i contenuti che coincidessero anche casualmente con quella narrazione. Si tratta di un piano concordato parecchi mesi prima con l’Ucraina e la Nato. Tutto quanto è stato basato proprio sulla manipolazione delle coscienze, delle informazioni, della deviazione completa della realtà. È stato fatto tutto in maniera scientifica.
Cioè?
Si è voluta eliminare completamente una narrazione. Ma non solo si è negato il fatto, si è proprio negato l’accesso alle informazioni. Gli analisti, se sono tali, devono analizzare e devono mettere dei dati a confronto, di una parte e dall’altra. Quando agli analisti viene impedito accesso a una determinata narrazione o ai fatti che provengono dalla parte avversa, manca una stampella, la narrazione si nasa sul nulla e su cose che non si sanno. E questa è una novità di questa guerra.
Perché?
In tutte le guerre, alla propaganda seguiva la controinformazione. E quest’ultima non è altro che la copia rovesciata dell’informazione. In questo caso no. Cosa dice l’altro non si sa, e occorre credere a quello che dice una sola campana. È una guerra di “negazione”.
Nel suo libro lei prefigura dei possibili scenari. A un certo punto parla di una possibile «coalizione di volenterosi» che intervenga a fianco di Kiev. Addirittura lei ricorda che, in caso di mobilitazione generale o parziale, potrebbero essere chiamati alle armi i cittadini maschi nella fascia d’età che va dai 18 ai 45 anni. Quanto sono realistiche queste ipotesi?
Il ritorno alla leva o la mobilitazione sono cose previste dalle leggi in caso di guerra o di emergenza. Lo scenario della coalizione non è una speculazione sul futuro, analizzo come sono state affrontate le crisi in passato. Il coinvolgimento di un Paese qualsiasi dell’Europa può avvenire perché, ad esempio, c’è una coalizione di volenterosi, cioè escludendo la Nato. In passato, quando si sono fatte queste coalizioni, è perché la Nato in primis non poteva intervenire o non c’erano i presupposti per farla intervenire. Ci sono delle difficoltà, tuttavia. Tutti devono essere volenterosi e devono fare qualcosa di pratico, insieme. E non è affatto semplice.
Significherebbe entrare in guerra contro la Russia.
Sì, e a quel punto tutti i Paesi che fanno parte di quella coalizione diventano un possibile bersaglio della Federazione Russa, solo per il fatto di esserne parte. Se la Nato dovesse intervenire, sarebbe veramente un disastro per noi: abbiamo tanti uomini, abbiamo tanti mezzi, ma bisogna vedere dove devono essere impiegati e quanto a lungo possono durare. Quanto possiamo andare avanti? Ci sono stati periodi in cui i russi hanno sparato 60 mila ordigni e razzi al giorno. Oggi sono a 20 mila. Noi non abbiamo 20 mila ordigni nemmeno negli arsenali.
Ma le munizioni della Russia non erano finite a marzo 2022 come aveva scritto qualcuno?
Era una delle tante stupidaggini della propaganda. La Russia ha un grande bacino, immenso, che arriva fino a Vladivostok, nel quale sono state mantenute in piedi le industrie belliche, non tanto in previsione della guerra quanto per la necessità di non far mancare lavoro. Per cui le produzioni di munizioni e carri armati sono continuate, anche dalla fine della Guerra Fredda in poi, proprio perché c’era la necessità di mantenere in piedi un apparato industriale e non liquidarlo come hanno fatto gli americani, che hanno delocalizzato molte aziende e non sono più una potenza manifatturiera ma una potenza finanziaria. Io stesso mi meraviglio dei russi, anche se durante la Guerra Fredda sapevamo esattamente quanti colpi di mortaio e colpi di cannone senza rinculo avessero. Negli anni di picco, negli anni ’80, l’Unione Sovietica aveva 45 mila testate nucleari. Adesso la Russia ne ha 6 mila e mi chiedo sempre dove siano andate a finire le altre.
E queste testate nucleari possono essere impiegate? Alcuni sostengono di no, che i russi non se lo possono permettere.
Questo è un errore di valutazione fondamentale. I livelli sono due. A livello strategico l’accordo c’è ed è quello di non impiegare le armi nucleari strategiche tra Paesi detentori di tali armi. Questo lo hanno ribadito tutti, anche i russi, ma non esclude che si ricorra al nucleare contro uno stato non detentore, come l’Ucraina. Il secondo livello è quello delle armi nucleari tattiche. Noi abbiamo circa 240 bombe di livello tattico, dai 5 ai 50 kilotoni, che possono essere usate senza entrare nel ciclo di autorizzazioni previsto per le armi strategiche. Le armi nucleari tattiche le possono impiegare i comandanti di Teatro, che hanno queste armi a propria disposizione. Gli americani ne hanno in Europa: il comandante delle forze americane in Europa ha a disposizione un certo numero di ordigni tattici nucleari che può usare quando crede. È una delega permanente che viene data nell’ambito degli ordini di operazioni. Mentre la guerra nucleare strategica è molto remota, anche se la Russia parla apertamente di eventuale ricorso in caso di “minaccia esistenziale”, a livello tattico è più probabile e Mosca ne ha 2200 di armi nucleare tattiche.
E potrebbero usarle?
I falchi russi è da un po’ che si chiedono perché Mosca continui a cincischiare con uomini e i carri armati in Ucraina quando 2 o 3 bombe nucleari tattiche potrebbero fare la differenza. Il livello tattico nucleare è quello immediatamente successivo il livello convenzionale, dove al momento siamo noi. Vogliamo fare forza sulla deterrenza convenzionale ma se questa venisse meno, si può passare al livello superiore, senza adottare ulteriori procedure. È dunque un rischio concreto quello che venga impiegata un’arma tattica nucleare.
Il capo di stato maggiore statunitense, il generale Mark Milley, ha spiegato che né l'Ucraina né la Russia saranno in grado di vincere la guerra. È d’accordo?
Certo che ha ragione. Perché lui fa i conti in maniera razionale come tutti i militari. Cosa che non fanno né Stoltenberg, né von der Leyen.
Ultima domanda: cosa ne pensa dell’accusa mossa nei confronti dei russi e della Wagner dal governo italiano, a cominciare dal Ministro della Difesa Guido Crosetto, di voler destabilizzare i Paesi europei impiegando la «bomba» dei migranti?
In linea teorica esiste la “guerra senza limiti” coniata da due colonnelli cinesi nel 1999 e la cosiddetta guerra ibrida di cui si dice, sbagliando, che sia stata inventata dal generale russo Gerasimov prevedono anche l’uso di tali mezzi per destabilizzare un avversario. Che il gruppo Wagner la stia attuando in Africa e in Medio Oriente per colpire l’Italia “colpevole” di aiutare l’Ucraina è possibile ma di certo non è significativo. Che la pistola fumante sia il fatto che alcuni flussi migratori provengono dai Paesi in cui opera o ha operato il gruppo Wagner è discutibile. Sono gli stessi Paesi in cui operano e hanno operato Blackwater, MPRI, Brown & Roots e le decine di altri contractors oltre ai contingenti militari e paramilitari spediti dai nostri governi con e senza autorizzazione o chiaro intento. Sono gli stessi Paesi in cui operano le maggiori multinazionali, le corporazioni, le agenzie internazionali, i trafficanti di armi e di esseri umani e le chiese di ogni tipo e religione da prima dell’arrivo del Wagner. La produzione di migranti per fomentare e aggravare le guerre è un brevetto tutto occidentale di cui non siamo più esclusivisti.
Davvero?
Quando Saddam Hussein era un nostro alleato e un accorto esecutore dei nostri suggerimenti ha usato il terrorismo interno per sloggiare milioni di sciti e curdi. Il nostro amico Gheddafi aveva pronta una bomba di 2 milioni di africani. Noi abbiamo trattato per non farla scoppiare suscitando le ire di tutti. La destabilizzazione della Libia ha avuto un’accelerazione e Gheddafi è stato fatto fuori non per colpa dei russi o del Wagner. La destabilizzazione dell’Iran con i milioni di rifugiati afgani non l’hanno voluta loro. La destabilizzazione dei Balcani che ha prodotto la fuga di centinaia di migliaia di albanesi e serbi non mi risulta che sia stata orchestrata dalla Russia o dal Wagner. La fuga di milioni di disgraziati dall’Iraq verso la Siria e la Turchia e quella di altrettanti milioni dalla Siria è stata provocata da guerre che gli stessi americani si sono pentiti di aver intrapreso. Così come si stanno ancora chiedendo se fosse valsa la pena sborsare miliardi di dollari per pagare compagnie di mercenari statunitensi e britanniche per fornire servizi “innominabili” durante le rivoluzioni colorate, le operazioni nei Balcani e la stessa guerra in Ucraina. Purtroppo, la bomba migratoria è un’arma che abbiamo potenziato anche contro noi stessi. L’Europa e l’Italia fingono di non capire la differenza che passa tra difesa dalla bomba vera utilizzata come arma di guerra, le migrazioni legittime, le immigrazioni legali e illegali, le immigrazioni gestite da criminali e per scopi criminali e i doveri giuridici e umanitari di prestare soccorso e asilo a chi si trova in pericolo di vita. Mettere questi elementi nello stesso calderone come stiamo facendo noi europei significa alimentare il vero caos e la stessa nostra destabilizzazione. Nel caso particolare l’accusa al Wagner ha comunque uno scopo politico chiaro: stare al gioco di criminalizzare la Russia per giustificare la continuazione della guerra fino all’ultimo ucraino e oltre.