Fra meno di un mese la guerra in Ucraina arriverà al suo primo anno. Un conflitto più lungo del previsto, o quanto meno più lungo di quanto prevedeva chi aveva scommesso troppo presto sulle debolezze della Russia di Vladimir Putin, su chi aveva riposto troppa fiducia sulle sanzioni che ne avrebbero piegato il regime, su chi aveva ridicolizzato coloro che avevano messo in guardia, dai troppo facili entusiasmi bellicisti occidentali. In una battuta, si potrebbe dire che il bersagliatissimo professor Alessandro Orsini, assurto a simbolo dei critici della linea troppo filo-atlantista, aveva ragione, o almeno molte buone ragioni. In queste ore Orsini è indirettamente al centro di una polemica di fuoco fra Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano che ne ospita la firma, e il direttore del TgLa7 Enrico Mentana (da Orsini messo nel mazzo dei media “irresponsabili” che avrebbero fatto propaganda filo-Usa). Antonio Padellaro, ex direttore del Fatto, fa con MOW una ricognizione della situazione Ucraina, mettendo il dito nella piaga: nessuno dice, o sa, non tanto quando, ma in che modo potrebbe terminare lo scontro delle armi.
La Nato invierà, non prima di qualche mese, un totale di 80 carri armati, fra cui 31 Abrams americani e, dopo qualche resistenza, 14 Leopard tedeschi, ritenuti indispensabili dagli ucraini per fronteggiare le forze di terra russe. Oltre naturalmente al già avviato rifornimento di altro materiale bellico. Ma non sono palesemente pochi? Sembra più una mossa simbolica, se non proprio una presa in giro. Cosa ne pensa?
Parlando ovviamente a nome mio, credo di interpretare un sentimento abbastanza diffuso nel nostro Paese per cui certamente la solidarietà nei confronti del popolo ucraino che si sta battendo in modo straordinario contro l’aggressione russa resta intatta, ma la domanda che tutti ci facciamo, e credo cominci a diffondersi anche agli alti livelli della politica, è: dove finisce questo aiuto militare e dove può cominciare un negoziato di pace? Di pace non si è più parlato e non si parla più, questo è il dato di fondo. Sui giornali leggiamo delle interessantissime schede sulla potenza di fuoco dei carri armati Leopard confrontata con quella degli Abrams, siamo diventati grandi esperti di armamenti pesanti, però purtroppo ci sono i civili che perdono la vita, come si è visto nelle immagini di Kiev sventrata dai missili russi. La vita umana viene relegata nelle cronache fra le varie ed eventuali. Questo non è possibile.
L’Italia dal canto suo invierà pezzi di artiglieria. Che ruolo ha il nostro Paese in questa fase del conflitto?
Nel momento in cui continuiamo a mandare armi, bisogna anche spiegare che non si vede un’Italia svolgere il ruolo, che da sempre ha avuto, di paese-chiave nella mediazione. Di fronte a 10 mila carri armati russi, a che servono 80 carri armati dell’Occidente? Si prosegue a parlare di cannoni senza parlare di quale sarà lo sbocco.
La Germania che si riarma ma che mostra di essere riluttante alle pressanti richieste ucraine suggerisce l’esistenza di una Nato più divisa di quel che appare?
Ci saranno anche divisioni sotterranee, e io penso che ci siano, perché queste osservazioni, se si vuole banali, che posso fare io sul mandare armi alla cieca, credo le facciano anche all’interno della Nato. Evidentemente le divisioni non emergono perché non bisogna mai dare al nemico, in questo caso a Putin, l’impressione di essere divisi. Ma sono divisioni che riguardano il futuro, non il presente. Nel presente continuiamo ad armare, ma per andare dove? Dove stiamo andando?
Con divisioni future intende che potremmo vedere nuovi equilibri all’interno dell’Alleanza Atlantica?
No, non credo. Ogni Paese Nato pesa per quanto pesa a livello internazionale, è evidente che il ruolo degli Stati Uniti è un ruolo preponderante, la somma di tutti gli altri non può equivalere a quello degli Usa. Credo però che le perplessità stiano crescendo. Fra un po’ sarà un anno dallo scoppio della guerra, e non è stato fatto nulla per la pace, a parte timidi tentativi che sono stati completamente cancellati. Siamo ormai trascinati in una guerra senza avere la minima idea di come finirà.
Senza immaginare le condizioni per cui potrebbe ritenersi conclusa, vuol dire?
Mi spiego. Quando ci fu la Seconda Guerra Mondiale il nemico in Europa era il nazismo e tutti i Paesi anti-nazisti si coalizzarono finché il nazismo non fu estirpato. Qui cosa vogliamo, vogliamo buttare fuori Putin dal Cremlino, tra l’altro senza chiederci chi verrebbe dopo di lui? Vogliamo una sconfitta militare della Russia, che sembra un po’ difficile visto che non ci impegneremmo con i nostri soldati? Cosa vogliamo? Non si capisce.
Il nostro ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha ribadito che l’Italia ha proposto all’Unione Europea di scorporare gli investimenti militari dal Patto di Stabilità, cioè dal computo del debito, per “rifornire le scorte nazionali dopo gli invii di armi a Kiev”. Qualcuno che sa esattamente cosa vuole, a quanto pare, c’è.
Per carità. Crosetto, lo dico con tutto il rispetto, è un esponente della lobby delle armi, è il lavoro che faceva, anche se adesso si è messo in quiescenza. È chiaro che rappresenta una parte che va tenuta in considerazione ma non può determinare la politica del governo. E attenzione, perché nella maggioranza ci sono posizioni sulla Russia, quelle di Berlusconi e Salvini, che sono diverse da quelle di Crosetto.
Ma sembrano essere, per così dire, “in sonno”.
Sì, in questa fase sono in sonno, ma pronte a tornare. Io penso che il 24 febbraio, quando verrà purtroppo commemorato un anno di guerra, forse sentiremo levarsi voci diverse, perché qualcuno si domanderà dove stiamo andando.
Anche a destra, intende? I “pacifisti” di destra?
I pacifisti di destra, certo, che hanno una natura diversa da quella dei pacifisti di sinistra, il cui pacifismo è più ideale, culturale, mentre quello di destra è legato a interessi con la Russia.
Parallela alla guerra sul campo c’è quella mediatica a livello planetario. Zelensky sarà ospite a Sanremo per un messaggio al vasto pubblico popolare italiano. Non rischia di suscitare una crisi di rigetto, anziché accattivarsi le simpatie dell’opinione pubblica, che sembra stanca della guerra in Ucraina?
È il premier di un Paese massacrato, quindi va tutto il rispetto per la figura di Zelensky e di chi resiste. Detto questo, il presidente ucraino dovrebbe domandarsi se la sua presenza a Sanremo va nella direzione giusta o no. Penso che vada nella direzione sbagliata, perché è un contesto che non si adatta a una tragedia come quella che lui rappresenta. Il problema è se il risultato sarà il contrario di quel che lui si propone. Già le polemiche che ne sono nate dovrebbero dissuaderlo. Secondo me Zelensky rischia di fare peggio, per la causa dell’Ucraina.