Caio Mussolini non è solo il pronipote del Duce, ma uno che la storia la studia per passione, ne scrive nei suoi libri e non ha timore a mettere in discussioni tesi precostituite. Nonostante il cognome ingombrante che porta. Lo abbiamo intervistato e, prima di tutto, ha ribadito la proposta al giornalista del Corriere della sera Aldo Cazzullo, che ha scritto il volume Mussolini il capobanda, sfidandolo a un confronto: “Pieno di inesattezze, manca la contestualizzazione storica. Gli ho chiesto un confronto pubblico, ma ha sempre glissato”. E rilancia: “La storia non può essere un menù à la carte”. D’accordo, invece, con Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia, che disse: “Il fascismo non fu come si racconta oggi”. Anzi, rincara la dose: "Ha ragione. L’egemonia culturale è ancora in mano alla sinistra, la destra soffre di un complesso di inferiorità”. Non solo: "La cultura italiana del Novecento è prevalentemente di destra, piaccia o non piaccia”. Il tema caldo, però, resta il giudizio su Benito Mussolini: “Dire che non ha fatto cose buone è da stolti o in malafede”. Ma ammette anche anche gli errori: “I peggiori? Le leggi razziali e l’invasione della Grecia”. Come sulle contestazioni dell’Anpi alle presentazioni dei suoi libri in giro per l’Italia: "È bieco comunismo. Contestano senza leggere”. Non manca poi qualche stilettata sull’attualità: “Il Leoncavallo ha tutte le attenzioni della politica, CasaPound no. Due pesi e due misure”. Su Giorgia Meloni: “Altro che prova d’orchestra, il concerto è già iniziato”. Sul 25 aprile: “Indifferente. Anche l’Italia liberale negava valori democratici”. Quando gli chiediamo se si vergogni del cognome, risponde senza esitazioni: “Mai. Se mi danno del fascista? Non è né un insulto né un complimento: oggi la sinistra ha bisogno dei fascisti perché non ha più idee”. E infine lancia un endorsement a Roberto Vannacci, nonostante sia nella Lega: “Coerente e coraggioso, dice cose scomode. Ce n’era bisogno”.

Caio Mussolini, partiamo dalla richiesta che ha fatto al giornalista Aldo Cazzullo: “Il suo libro sul fascismo non è ricostruzione storica rigorosa, organizziamo un confronto”. Cosa ci ha trovato di sbagliato?
Leggendo il libro scritto da Aldo Cazzullo, Mussolini il capobanda, che già dal titolo evidenzia un approccio abbastanza ideologico, ho riscontrato diverse inesattezze, e dati che non corrispondono alla realtà dei fatti.
Ci faccia qualche esempio.
Basta vedere cosa scrive in merito a Gramsci, sostenendo che il ricovero nella clinica Quisisana di Roma fosse stato “quasi certamente pagato con i soldi del soccorso rosso internazionale (a pagina 144)” mentre in realtà tutte le spese erano pagate dal governo. Oppure sostenere che il Duce “non ha nessuna pietà per la vedova Velia Matteotti. Nel suo narcisismo e nella sua cattiveria, vuole punirla per aver osato tenergli testa (pagina 132)”. In realtà, Mussolini a seguito della sua richiesta aiutò economicamente la famiglia Matteotti, e Velia, alle rimostranze del fratello per aver accettato l’aiuto, rispose: “… ho chiesto al Governo di concedermi qualche appoggio - è stata lei quindi a chiedere aiuto - per non vedere andare alla rovina i miei figli. La mia preghiera è stata accolta con cordialità. Non ho nulla da nascondere, ma le uniche porte alle quali ho bussato e che mi sono state aperte – sottolineo le uniche – sono state quelle del capo del governo e del Viminale. Voi tutti anziché aiutarmi mi avete deriso. Da oggi mi farete la cortesia di non venire più a casa mia”. Una storia un po’ diversa da quella raccontata da Cazzullo.
Non le sembrano errori veniali rispetto a una storia così grande e dolorosa?
Sono sempre errori o imprecisioni. Sorvoliamo poi sulle tante omissioni, a partire dall’uccisione di Armando Casalini oppure l’invio delle truppe italiane al Brennero per fermare l’Anschluss (a pagina 242), per non parlare che Mussolini era idolatrato all’estero, specie negli Stati uniti, basta vedere il successo del film americano Mussolini speaks. Non solo, qando Cazzullo scrive del delitto d’onore (a pagina 173) lascia intendere che sia stato introdotto dal nuovo Codice Rocco del 1930, mentre in realtà era presente sin dal codice Zanardelli del 1889. Pochi sanno che il Codice Rocco disporrà che le attenuanti siano applicabili anche alla donna nel caso del marito fedifrago e aumenterà le pene previste. Inoltre, a mio modesto parere, manca sempre la contestualizzazione storica. La violenza sembra essere provocata sempre e unicamente dai fascisti, mentre nella realtà, in quegli anni era molto più variegata – vedi “la grande paura” o gli attacchi terroristici anarchici contro lo Stato - e la violenza era all’ordine del giorno. E non solo.
Continui pure.
Quando scrive del - giustamente - odioso film Suss l’ebreo (a pagina 258) omette di descrivere tutto il contesto, ad esempio avrebbe potuto citare Enzo Biagi che su L’assalto, del 4 ottobre ’40, scrive che il film “è l’esaltazione e illustrazione intelligente della campagna razziale”. Sorvola anche sulla protezione data dal Governo italiano agli ebrei durante la guerra sia in Italia che nei territori occupati, come evidenziato invece da importanti scrittori anche ebrei, a partire da Hannah Arendt, Menachem Shelah o Poliakov. Ecco perché credo che la storia non debba essere considerata un menù à la carte dal quale cogliere solo alcuni aspetti, omettendone altri a piacimento. E senza una corretta contestualizzazione storica.

Aldo Cazzullo le ha mai risposto?
Gli avevo chiesto un confronto pubblico già all’epoca dell’uscita del libro, un paio di anni fa. Ha sempre glissato. Peccato, sarebbe stato un interessante confronto.
Pietrangelo Buttafuoco, intellettuale e presidente della Biennale di Venezia, al Corriere della sera ha dichiarato: “Il fascismo non fu come si racconta oggi”. Il cambio di “egemonia culturale” è in corso e sta dando i suoi effetti?
Buttafuoco sul fascismo ha ragione. Tuttavia l’egemonia culturale purtroppo continua ad essere in mano alla sinistra, perché la destra ha un innato complesso di inferiorità culturale che fatica a scrollarsi di dosso e non fa "egemonia". Curiosamente, nonostante i tanti scrittori di destra - vedi Giorgio Pisanò - che nei decenni scorsi avevano scritto e raccontato la storia in maniera diversa dalla vulgata, si è dovuto attendere uno scrittore di sinistra come Gianpaolo Pansa per farla conoscere al grande pubblico. Ritengo tuttavia che oggi sia molto più facile accedere alle informazioni, e quindi piano piano ci si avvicini ad una visione più veritiera di quel complesso e articolato periodo storico.
Nella sinistra l’egemonia culturale, come cantava Jovanotti, “passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa”. Oggi quali sono le figure di riferimento in Italia, a parte i politici, dell’egemonia culturale di destra?
Che la cultura della sinistra passi, secondo Jovanotti, da Che Guevara, un razzista, omofobo, si vadano a vedere cosa furono i campi U.m.a.p. a Cuba, e anche assassino, si veda cosa succedeva nel carcere La Cabaña, la dice lunga sul concetto di “cultura”. Di “cultura” del Ventennio e le ricadute nel Dopoguerra ne scrivo nel mio saggio. Basta ricordare i Littoriali o la Treccani. Per quanto possa dispiacere alla vulgata, la cultura italiana del Novecento è prevalentemente di destra.
Lei è il pronipote di Benito Mussolini, ma non crede che rivalutare una figura come quella del Duce e le responsabilità del suo regime possa risultare antistorico?
No, è il contrario. Sono convinto che provare a cercare una visione storica condivisa a 80 anni dalla fine del fascismo, dopo decenni di mistificazioni e omissioni, sia l’unica maniera per raggiungere - finalmente - la necessaria pacificazione.
Si sente di confermare che Benito Mussolini “ha fatto anche cose buone”?
Ma certamente. Solo uno stolto o una persona in cattiva fede può sostenere il contrario.
Quali sono le “cose buone” del regime fascista?
Sarebbe impossibile riassumerle in poche righe. L’ho riportato compiutamente nei miei libri raccontando “l’altra Storia”. E non essendo un “romanzo”, lo faccio citando tutte le fonti utilizzate.

E quali sono i peggiori errori di Benito Mussolini durante il suo Ventennio?
Senza dubbio le vergognose Leggi razziali del ’38 e l’invasione della Grecia.
Senta, ogni volta che lei deve presentare un libro scatta automatica la protesta dell’Anpi o di qualche frangia della sinistra. Anche questo è fascismo?
No, è bieco comunismo. Tra l’altro contestano il libro per partito preso, senza nemmeno averlo letto. Ma la cosa più patetica è che quando lo fanno si considerano democratici e tolleranti. Buffi personaggi, sempre pronti a puntarti il ditino contro e farti la morale.
È d’accordo con lo sgombero del Leoncavallo a Milano?
Mi pare che nella realtà il Leoncavallo non sia stato “sgomberato”, ma verrà regolarizzato e sarà trasferito in un altro stabile di Milano a sud del Corvetto. Vedo gran parte dei politici di sinistra interessarsi e impegnarsi alacremente per trovare un’altra area per il centro sociale.
Uno sgombero che, però, non avviene per CasaPound a Roma. Tutto normale?
Se non erro, ci sono circa 200 stabili in Italia occupati dal variegato mondo della sinistra, e uno solo occupato da CasaPound. Che era una proprietà demaniale vuota e inutilizzata da anni, dove, tra l’altro, oggi sono ospitate diverse famiglie bisognose. E non recano disturbi a nessuno nel quartiere. C’è un processo in corso, e CasaPound si è sempre dichiarata disponibile a sedersi a un tavolo per trovare una soluzione. E visto che in passato sia il sindaco Alemanno con “Forte Prenestino”, che il sindaco Gualtieri con le “Caserme del Porto Fluviale” hanno usato soldi pubblici per comprare e affidare agli occupanti di sinistra gli stabili occupati, forse si potrebbe fare la stessa cosa con il palazzo di CasaPound. A meno che, essendo CasaPound una organizzazione di destra, questa possibilità non sia contemplata...
Quali sono le differenze tra il Leoncavallo di Milano e CasaPound a Roma?
Il Leoncavallo rappresenta un centro sociale antagonista di sinistra, spesso ai margini della legalità, nato e rimasto in una logica di contrapposizione allo Stato. CasaPound è un’esperienza della destra sociale che, pur nascendo come occupazione, ha cercato di operare nella sfera pubblica rivendicando la propria legalità morale e un ruolo politico, culturale e sociale trasparente.
Tornando a Buttafuoco, ha aggiunto che Giorgia Meloni “è il mattatore in una prova d’orchestra prossima al debutto”. Dopo quasi tre anni deve ancora debuttare?
Non ero al corrente di questa sua dichiarazione. Tuttavia, non mi pare si possa parlare ancora di debutto. Il concerto, è già iniziato da un pezzo. La Meloni non è più alla prova d’orchestra, ma in piena esecuzione in un teatro gremito. Però, bisogna ancora aspettare per capire se alla fine ci saranno i fischi oppure la richiesta del “bis” da parte del pubblico.

Lo scorso 25 aprile Meloni ha dichiarato: “I nostri valori democratici negati dal fascismo”. Le ha dato fastidio?
No. Mi ha lasciato indifferente. Anche perché, in verità, alcuni valori democratici erano negati anche prima del fascismo nell’Italia liberale, basta vedere come erano nominati i senatori del Regno o la repressione del “brigantaggio” al Sud... Lo disse anche Parri nel Dopoguerra, scatenando un putiferio.
Sua cugina Alessandra Mussolini, dopo varie svolte politiche, è passata anche dal Pride alla Lega. Approva le sue tante sfaccettature?
Io non sono nessuno per approvare o meno questi suoi cambiamenti. Avrà avuto le sue ragioni. Lei è molto brava nel reinventarsi artisticamente e politicamente.
Ma lei parteciperebbe mai a un Pride?
Ritengo che la sfera sessuale di ciascuno debba rimanere un ambito privato e personale. Per questo non parteciperei mai a un evento come il Pride, che a mio avviso assume i toni di una carnevalata e rischia di essere persino controproducente per molti omosessuali che vivono la propria identità e i propri sentimenti in modo riservato, senza eccessi né volgarità.
Romano Floriani Mussolini, suo nipote calciatore ora in Serie A, aveva fatto bene a far scrivere sulla maglia “Mussolini” e non il primo cognome “Floriani”?
Per anni la sinistra ha fatto battaglie per il doppio cognome o per l’uso di quello materno. Ora però, quando un ragazzo sceglie di portare il cognome della madre, Mussolini, improvvisamente scoppia lo scandalo. A sinistra dovrebbero davvero fare pace col cervello. Se la legge prevede questa possibilità, perché mai non la dovrebbe usare? Resta solo un po’ di amarezza nel vedere Romano in questi giorni cedere alle pressioni e rinunciare al cognome sulla maglia.
Non sarebbe stato meglio escludere gli agganci politici?
Il nome Mussolini fa parte della storia e lui si chiama così. Oggi viene continuamente strumentalizzato dalla sinistra solo per motivi politici. E ogni pretesto è buono.
Lei ha dichiarato: “Non mi vergognerò mai della mia famiglia”.
È vero. E lo riconfermo!

Se le danno del fascista, lo prende come un insulto o un complimento?
La domanda la considero concettualmente sbagliata: il fascismo, come fenomeno storico e politico, si è concluso nel 1945 con la caduta del regime e la morte di Mussolini. Pertanto, riferirsi oggi a un presunto “essere fascista” non ha alcun fondamento logico. Sono nato negli anni ’60, non appartengo a quel tempo. Se qualcuno mi dà del fascista, spesso lo fa per zittirmi, poiché fascista è ormai diventato sinonimo di tutto quello che non piace o va bene al variegato mondo della sinistra. In realtà solo la sinistra oggi ha bisogno dei fascisti, in assenza di fascismo, poiché è l’unico collante che le resta dopo aver perso contatto con il popolo e le sue necessità, non essendo più in grado di offrire politiche convincenti o proposte credibili. Quindi, per quanto mi riguarda, non è né un insulto né come complimento.
Per alcuni anni lei è stato Ufficiale di Marina, nel corpo dei Sommergibilisti. È una esperienza che la fa sentire più vicino a Roberto Vannacci che a Matteo Salvini?
Fare il militare non significa avere una unica visione politica. All’interno dei diversi corpi esistono Ufficiali con le più variegate posizioni e opinioni sui tanti temi di attualità, sociali o politici.
Cosa apprezza di più di Vannacci?
Sicuramente la sua coerenza e il coraggio. Anche nel dire cose scomode o non “politicamente corrette”. Ce n'era bisogno dopo tanti anni di ideologia woke. In linea di massima sono spesso d’accordo con le sue posizioni.
Un’ultima cosa, prima di salutarci, ce la dica: cos’è che oggi teme di più e che può toglierci la libertà come un regime?
Le libertà le stanno già ridimensionando e riducendo, ma non attraverso una forma di “dittatura” tradizionale. Nel 1958 Adous Huxley scriveva: “Nella prossima generazione o giù di lì ci sarà un metodo farmacologico per far sì che le persone amino la loro servitù, producendo così una dittatura senza lacrime, per così dire, creando una sorta di campo di concentramento indolore per intere società, in modo che la gente si vedrà sottrarre le libertà, ma anzi ne sarà felice, perché sarà distratta… dalla propaganda, dal lavaggio del cervello… e questa sembra essere la rivoluzione finale”. Orwell era un principiante…
Nessun pericolo che, almeno, torni il fascismo?
Certamente no. In ogni modo, mentre si celebra ancora dopo 80 anni la liberazione da un regime, è facile constatare come il nostro presente sia governato da altre forme di controllo, forse meno evidente ma altrettanto pervasive: il potere opaco delle lobby, l’influenza di potenze straniere, l'arroganza di una Commissione Europea non eletta, ma molto lontana dai popoli, che detta l'agenda ai paesi. Ancora, gli abusi e le vessazioni durante il Covid che hanno sancito che lo stato di eccezione può diventare la norma, ricordiamo il Trattamento sanitario obbligatorio per uno studente che non voleva indossare l’inutile mascherina. E la lenta, inesorabile erosione delle libertà personali in nome di una "sicurezza" che, guarda caso, non si raggiunge mai. Pensi che, due settimane fa, mi hanno chiuso i miei profili sui social, la pagina Facebook e anche Instagram. Il tutto democraticamente…
