Ma in Italia la cultura è nelle mani della sinistra? Sì, secondo Giordano Bruno Guerri, storico del Ventennio e presidente del Vittoriale. Alla sua storia e alle sue idee le bandiere politiche sono sempre state un po’ strette: si ritiene un conservatore ed è spesso – forse erroneamente – etichettato come un “intellettuale di destra”, ma si è sempre sottratto alla logica per cui l’arte debba agire da megafono per una qualche formazione politica. Non a caso, affondando nel suo trascorso, è passato dal sostenere le posizioni del Partito Radicale – ad esempio, contro la pena di morte – a quelle euroscettiche del movimento "ItalianiLiberi" che ha contribuito a fondare. Forse anche per questo Guerri è molto critico nei confronti dell’odierna industria culturale italiana, in particolare quella cinematografica: “Un enorme spreco di soldi. I produttori, prima di prendere qualunque decisione dicono: vediamo quanto ci dà il ministero”, ha detto in un’intervista rilasciata al quotidiano La Verità. Solo l’anno scorso, il ministero della Cultura ha sborsato oltre 100 milioni per finanziare le produzioni. Tra queste, ve ne sono alcune di scarso successo di pubblico, che non hanno di fatto ripagato l’investimento a fondo perduto dello Stato. È per questo che, continua Guerri, “bisogna trovare un criterio. Non perfetto, ma almeno corretto”, rispetto alla politica dei finanziamenti “a pioggia”.

Un criterio che, stando alle parole di Guerri, oltre a essere economicamente sostenibile e sostenere solo i prodotti “di interesse culturale e di qualità”, riequilibri la “supremazia” culturale che attribuisce alla sinistra: “È indubbia, dalle università ai teatri di provincia”. Sostiene che la “cultura di destra” si rimasta vittima del fascismo, perché inscindibile dal giudizio morale operato su tutto ciò che fuoriscì dal Ventennio e finita nel gioco dei vincitori e vinti che è seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In pratica, tutto ciò che rispecchiava i valori della democrazia fondata sulla resistenza e l’antifascismo, oltre a quelli del capitalismo statunitense che andava diffondendosi in Europa, sopravvisse alla guerra, mentre il resto ne fu sepolto. Ma Guerri parla anche di “viltà” della destra, la cui cultura si sarebbe ristretta “per campare” e non scomparire del tutto. E, siccome la cultura “non ammette vuoti”, quello spazio se lo sarebbe preso tutto la sinistra: “Roba da panzer”, dive Guerri commentando le critiche rivolte dall’attore Elio Germano al ministro della Cultura Alessandro Giuli – definito responsabile del “decadimento” culturale del Paese – durante la cerimonia di consegna di un premio da parte della presidenza della Repubblica. “Una grave sgrammaticatura, totalmente fuoriluogo”. Perché Germano, non ha scelto un’occasione a caso, ma ha criticato il governo mentre si trovava al Quirinale.

Guerri passa poi al tema centrale dei suoi studi, il fascismo: “Un problema irrisolto”, lo chiama, con il quale “dobbiamo ancora fare i conti”. Un punto che resta il vero nervo scoperto del nostro paese e che, secondo Guerri, è al centro di una polemica “ogni qualvolta c’è un governo di destra”. Ma consegnarlo unicamente alla polemica politica “non fa il gioco né della sinistra né della cultura woke. Significa allontanarsi dai problemi reali della gente”. Così come non lo convince l’adattamento cinematografico di M, il romanzo di Antonio Scurati su Benito Mussolini: “Sia il libro che il film partono da una tesi precostituita per arrivare a una realtà costituita” e critica l’autore per aver fotografato solo una parte della vita del dittatore, scegliendo di andare in una “direzione deviante e sbagliata”. Guerri si dimentica però di illustrare la direzione virtuosa in cui venti anni di regime fascista hanno portato l’Italia, ma questa è un’altra storia. Su Meloni, invece, ha un giudizio che sembra prescindere dall’appartenenza politica, elogiandola in quanto “donna estremamente forte”. “Gli italiani vogliono qualcuno che gli tolga le castagne dal fuoco. Craxi, Berlusconi, Draghi. È una costante della nostra storia”.