Nel mondo del cinema italiano si respira un’aria tesa, a tratti surreale. Nella giornata dedicata ai David di Donatello, Elio Germano non ha fatto giri di parole: ha puntato il dito sulla crisi profonda che sta attraversando il settore, chiedendo soluzioni concrete. Da lì, è partito un botta e risposta a distanza con il ministro della Cultura, Alessandro Giuli. Ora interviene Claudio Santamaria — che ha consegnato il David come miglior attore proprio a Germano — e dalle pagine di Repubblica prende posizione con lucidità e determinazione, schierandosi apertamente al fianco di chi, nel mondo dello spettacolo, ha bisogno di risposte concrete a tante domande. “Credo che molti lavoratori siano stati felici di sentire le parole di Germano, perché ha espresso un disagio collettivo. Quel discorso rappresenta ciò che tanti avrebbero voluto dire. Io lo sostengo pienamente”. Parole nette, che ribaltano la narrazione secondo cui Germano sarebbe una “voce solitaria”. Una visione non molto giusta. Santamaria: “Non è corretto parlare di isolamento. Elio ha parlato a nome di un’intera categoria che comprende migliaia di lavoratori del cinema: non solo attori, registi, autori e produttori, ma anche tutte le maestranze e i tecnici che non lavorano da mesi”. Per poi aggiungere, sempre sul quotidiano: “Il termine “isolamento” è corretto, ma al contrario. È il ministro ad essere solo”.

Su Repubblica: “Germano ha reagito a un quadro della situazione troppo ottimistico, distante dalla realtà. E ha fatto bene. Se la situazione del cinema non è rosea, va detto. Non è un attacco, è un aiuto. Un bravo leader è chi sa mettersi in discussione”. Non è solo un discorso di artisti, ma di intere filiere ferme. “Elio ha parlato anche a nome delle piccole produzioni che stanno chiudendo. I cantieri del cinema sono fermi. E noi vogliamo capire se questi decreti correttivi possano davvero risolvere la situazione. Se i soldi del tax credit basteranno per le produzioni italiane. Ci sono tante domande, e speriamo si possa lavorare insieme, senza polemica e senza schieramenti politici”. Ma è proprio il discorso sui presunti “colori politici” della cultura che fa riflettere l’attore di Lo chiamavano Jeeg Robot. “Le istanze del cinema non sono né di sinistra né di destra. Sono di tutti i lavoratori. Non c’entrano nulla nemmeno gli intellettuali di sinistra, che tra l’altro, dicono, non esistono più. Il cinema è multiforme. Gli artisti sono osservatori sensibili: pongono domande, fanno riflettere. Questo è un bene”. Non manca un passaggio su Pupi Avati, che quella notte dei David ha parlato di difficoltà nel far capire ai politici che la cultura non è un terreno di parte. “Sembra proprio che ci sia un atteggiamento punitivo, quasi ideologico. Ma la realtà è diversa. Sono d’accordo con quanto dice Avati: la cultura non è appannaggio di nessuno”, conferma Santamaria. “A me non interessa se uno è di destra o sinistra: se fa il suo lavoro ascoltando le parti in causa, benissimo. Una società si fonda sulle differenze, sul confronto”. E il confronto è proprio quello che Santamaria invoca, chiaramente: “Il mio è un invito a parlare, non un attacco. È un sostegno a Germano e a migliaia di persone che la pensano come lui. Tutto il cinema vuole capire: adesso, che facciamo?”. Un appello accorato, e al tempo stesso pragmatico. “Mi ha stancato questo clima di contrapposizione continua. Ogni volta che qualcuno esprime un’opinione diversa, parte una battaglia. Ma se il dissenso non è accettato, allora siamo fuori dalla democrazia. Il diritto di critica è costituzionale. Non si può liquidare come ‘ciancia’ una figura come Germano”. Un attacco? Assolutamente no. È qualcosa di più raro, profondo (e maturo): un invito onesto a rimettere le mani sui copioni veri per migliorare le cose. Attraverso il dialogo reale (proposta che, stando al post dell'attore, pare sia stata accettata proprio dallo stesso ministro Giuli). Non ci resta che attendere (e sperare).
