Parte dell’ultima puntata de La torre di Babele, il programma su La7 condotto da Corrado Augias, è stata dedicata al caso di Galeazzo Ciano, il delfino di Benito Mussolini. L’ospite non poteva che essere Giordano Bruno Guerri, intellettuale non catalogabile, come sottolineato da Fulvio Abbate, autore nel 1979 di una biografia proprio su Ciano (Bompiani, Mondadori e oggi pubblicato dalla La Nave di Teseo). Guerri tiene per un’ora rispondendo a braccio e con disinvoltura alle domande di Augias, che preventivamente chiede anche questo: “Lei che si è occupato per tanto tempo di fascismo e di fascisti e che ha una figura collocata a destra, si sente anche un po’ fascista?” E la risposta di Guerri è una lezione di antifascisti per finti antifascisti, cioè su come si debba essere contro il regime senza diventare propugnatori a nostra volta di altri regimi di pensiero e di violenza. “Ma Augias, non dica sciocchezza, lei mi conosce bene da tanto tempo. Io più studio il fascismo più sono libertario, che è più di antifascista. Non solo, sono antimussoliniano. Ho scritto un libro, che uscirà in ottobre, che si intitola Benito, perché gli italiani chiamavano Mussolini Benito, né Mussolini né Duce. E cerco di capire che rapporto avesse con gli italiani”.
Continua: “Appunto, i fascisti erano pochissimi in Italia, perché il fascismo voleva un popolo di guerrieri, e noi non lo siamo per fortuna, voleva un popolo dedito allo Stato – tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato – e voleva un popolo che si sentiva imperiale, come gli antichi romani. Noi ci sentivamo così per scherzo. C’erano mussoliniani. Il mussolinismo ha dominato l’Italia per vent’anni. S’immagini se io sono mussoliniano”. È un’interpretazione della storia che fa il paio con quella di Renzo De Felice, che a Mussolini, prima ancora che al fascismo, dedicò la sua ricerca storica. Una ricerca non sempre apprezzata proprio da chi si definiva antifascista. Questa bidimensionalità del pensiero oppositivo, per cui l’antifascismo di sinistra sarebbe l’unica risposta al fascismo, porta a nuove inquisizioni e, ancora peggio, a grandi incomprensioni del pericolo che ci si trova a vivere. Tanto che De Felice dirà in un’intervista: “Il fascismo ha fatto infiniti danni, ma uno dei danni più grossi che ha fatto è stato quello di lasciare in eredità una mentalità fascista ai non fascisti, agli antifascisti, alle generazioni successive anche più decisamente antifasciste (a parole, e nella loro più ferma e sincera convinzione). Una mentalità fascista che va secondo me combattuta in tutti i modi, perché pericolosissima. Una mentalità di intolleranza, di sopraffazione ideologica, di squalificazione dell’avversario per distruggerlo”. Questa intolleranza come la combatti? Con il libertarismo di cui parla Guerri, che non è solo sfiducia nello Stato (anche chi si avvicinò al fascismo aveva una sfiducia nei confronti dello Stato che avrebbero dovuto ricostruire), ma opposizione allo Stato, sfiducia nei sortilegi e nelle parole magiche del controllo, “istituzioni”, “legge positiva” e così via. Che poi vuol dire con la cultura. Una cultura della libertà.