Giordano Bruno Guerri è il sempre Evocato, eppure mai davvero Convocato. Mai per lui – mai, dico mai! – un vero attico nel Palazzo esclusivo della Cultura italiana. Idem da quando governa la destra, cui viene perfino associato. Anche loro, nonostante il suo tratto “futurista”, incapaci di sentirlo prossimo. Tolto infatti il Vittoriale degli Italiani, già “pied-à-terre” di Gabriele D’Annunzio, nel lacustre purgatorio di Gardone a un passo da Salò già capitale nera, diventata meritatamente la sua residenza, il suo grottino, il suo salotto, da un po’ di anni, a Giordano B. G. infine poco viene davvero concesso. Non la sciabola, la feluca e gli alamari di titolare di via del Collegio Romano, dove ha sede il dicastero a lui, ripeto, pervicacemente negato. Roberto d’Agostino, intervistato da Concetto Vecchio di Repubblica, confessa che Giorgia Meloni in verità lo avrebbe voluto titolare. Alla fine però daga e bastone di comando sono stati concessi a Gennaro Sangiuliano. Uomo fatto di pongo. Umana malleabile plastilina professionale, gestibile, affidabile, a modino. Creatura disponibile all’ascolto dei Fogli d’Ordine di via della Scrofa siglati Arianna Meloni. A Giordano Bruno Guerri va riconosciuto un profilo da storico professionale, nel suo caso accompagnato da un marcato tratto individuale. GBG ovvero sé stesso. Utilizzando una tautologia brechtiana, se Sangiuliano è Sangiuliano, assai di più Giordano Bruno Guerri è Giordano Bruno Guerri, l’Inaffidabile, l'Estroso, complimento quest'ultimo che solitamente le suocere riservano al genero sospetto d'attesa di collocamento lavorativo. Cioè creatura ritenuta – si faccia attenzione, ripeto, alla parola prossima a un lampeggiante d’allarme – “ingestibile”. Leggi anche uno-che-non-ascolta, uno-che-poi-figuriamoci-alla-fine-figuriamoci nuovamente-farà-di-testa-sua-non-lo-vedi-com’è? Banale a dirsi, il Potere, il Palazzo, perfino la “tavernetta” del condominio Meloni pretende comunque affidabilità, altro che orgia come diceva quel film di Costa-Gavras. Diffida dei “pezzi unici”, teme i “fior di conio” come Giordano Bruno Guerri nostro. Teme i “monotipi”, per usare un linguaggio da Zecca di Stato. Esemplari, tornando a Roberto D’Agostino, le ragioni sulla scelta caduta sul “totalmente ubbidiente” Sangiuliano. Quest’ultimo, tuttavia, per ottenere l’incarico (che, ahimè, si rivelerà per lui tombale) avrebbe “cercato sponde in Vaticano”. Sempre secondo Dagospia “Guerri è stato scomunicato due volte. E la Chiesa si è fatta sentire”. In assenza di “affidabilità” ogni pubblico destino apicale appare segnato, precluso ogni ruolo con auto di servizio. Sia pure in presenza di estro, talento, forse anche di un tratto geniale, genialoide. O magari proprio il genio, come nel caso di Carmelo Bene, impone d’essere ritenuti sospetti, in surplace?
Storico in proprio, collezionista dai molti saperi, secondo un dettato umano espressamente illuministico, enciclopedico, di stampo settecentesco virato nel presente perfino mondano, Giordano Bruno Guerri, nel tempo, ha conquistato altrettanto fama di “pazzo”, un paradosso indifferente e insultante rispetto alla esemplare lezione liberatoria di Franco Basaglia. In molti, osservandone la prossemica, nutrono talvolta il timor panico d’avere davanti un funambolo senza rete. Incapaci di comprendere che l’intelligenza mai debba assomigliare alla linea retta continua, prevedibile, riconoscibile attraverso la geometria piana appresa alle medie inferiori, anzi, questa conosce semmai “discese ardite e risalite”, per citare la canzone che tutti comprendono, citata perfino nei comunicati al ciclostile delle Brigate Rosse durante il rapimento di Aldo Moro. GBG si è perfino accostato, raccontandola in un libro, alla storia del terrorista rosso Patrizio Peci, detto per inciso. Personalmente, più di vent’anni fa, lo ricordiamo a condurre in Rai insieme a Cinzia Tani. Lì GBG argomentava con brillantezza studiatamente bislacca, percorrendo avanti e indietro, instancabile, il praticabile dello studio, avendo altrettanta cura di toccarsi il capo con gesto da filosofo presocratico in cerca di risposte, con tutti a trattenere il fiato: chissà cosa starà pensando adesso Giordano, chissà cosa vorrà dirci… Probabilmente, erano gli stessi che mai si sono accostati ai suoi tomi, ai suoi saggi, ai suoi pamphlet, magari sempre per terrore panico di fronte alla complessità, dichiarando così la propria inadeguatezza in presenza dell’altrui estro. C’è da immaginarli infine tramortiti quando, da direttore de “L’Indipendente”, nel 2004, sempe lui, GBG, ritenne opportuno, per ragioni immaginiamo pedagogico-esistenziali, pubblicare in prima pagina un aforisma ontologico del poeta John Giorno: “Nessun caz*o è duro come la vita”. Nella sua produzione, oltre la curiosità per il portato, perfino subculturale e bassamente miracolistico, della Chiesa cattolica, va ricordato in questo senso il saggio su Maria Goretti, trova spazio l’attenzione verso il fascismo, su quanto il regime con i suoi Littoriali abbia inciso sulla psicologia e la retorica nazionale, c’è così modo di veder brillare il suo lavoro su Giuseppe Bottai, “fascista critico”, e ancora sull’irregolare poliedrico Curzio Malaparte, il versatile Marinetti, l’arte e l’architettura degli anni Trenta impropriamente detta “fascista”, il mirabile illustratore ormai dimenticato Paolo Garretto. Non meno significativo che abbia dedicato una biografia accurata a Galeazzo Ciano.
Per chi lo ignori, l’osservazione quasi ossessiva di Ciano e della sua parabola, molto restituisce del triplo nodo della conquista, della gestione del potere e ancora e soprattutto dell’ambizione assoluta. Interpellato dal fascista monarchico Giuseppe Attilio Fanelli, in Africa Settentrionale, sotto una tenda sul perché Galeazzo dicesse ogni male di Mussolini, Ciano risposte: "Peppino, i suoceri mica sono nostri parenti". Leggendo Guerri c’è modo di intuire che attraverso Ciano il fascismo proiettava i propri sogni oltre gli anni Cinquanta del secolo trascorso. Nell’attuale sede del ministero degli Esteri - la “Farnesina” - inizialmente destinata a sede del palazzo del Littorio, cioè del PNF, il conte di Cortellazzo, cioè Ciano, immaginava il suo trono da sostituto del padre di sua moglie Edda. Forse, se gli eventi fossero andati diversamente, senza il processo di Verona che lo vedrà fucilato insieme agli altri firmatari dell'"Ordine del giorno Grandi", e ancora in assenza del 25 aprile 1945, sarebbe stato lui stesso a farsi committente della cosiddetta “palla di Arnaldo Pomodoro” posta davanti all’edificio e magari l'avremmo visto perfino alla "prima" de "Il sorpasso" a stringere la mano a Vittorio Gassman. Così come Mussolini, temendone il prestigio, fece dono a D’Annunzio dell’esilio al Vittoriale, mausoleo personale eroico-narcisistico autocelebrativo, allo stesso modo, dovendo riconoscerne il valore intellettuale, non è un caso che Giordano Bruno Guerri adesso si trovi titolare della stessa residenza monumentale. Non sappiamo però se nottetempo egli indossi il camicione da supermaschio munito di foro per fuoriuscire il pene e le scarpe non meno falliche già in uso a “Gabriel, marinaro d’Italia”. Guerri, a sua volta vate di sé stesso, seguendo le rotte del proprio tratto politico e caratteriale multiforme, ha avuto cura nel tempo di definirsi: liberale, liberista, libertario, libertino, manifestando, già che c'era, vicinanza spigliata al Partito Radicale di Pannella. Tra gli interessi paralleli, la passione per una razza canina da molti ritenuta ingiustamente non meno indesiderabile, i bull terrier. Evocato e mai in realtà davvero Convocato, Investito, Giubilato con ruoli di governo nella piccina commedia umana della politica, prendendo in prestito i versi pascoliani finali della “Cavallina storna” mai da parte dei suggeritori dell’attuale presidente del Consiglio “sonò alto il nitrito” di conferma definitiva davanti al suo nome per un dicastero. O forse, come nel caso del filosofo di cui porta il nome, e ancora dei comunisti al tempo frontista di Togliatti, la presunta scomunica vaticana può aver fatto sì che entrasse a far parte dell’Indice degli Indegni. Giordano Bruno Guerri, mancato Bottai del governo Meloni.