A Gennaro Sangiuliano, ministro plenipotenziario della cultura dell’assai recente Reich meloniano, per ragioni di cura, e, va da sé, di rango, oltre al prevedibile ordinario staff residente in via del Collegio Romano, spettano ancora e ancora solerti collaboratori, giannizzeri, palafrenieri, forse anche assistenti al soglio, cavallerizzi maggiori, camerieri segreti, portatori di flabelli e, soprattutto, ausiliarie speciali, giunte dal corpo femminile di supporto, non proprio destinate ai “lavori donneschi”, come riportavano le pagelle del ventennio, ossia taglio, cucito e teglie da infornare. Guai se così non fosse. Si pensi in proposito alle verdi amazzoni statuarie che, in uniforme tattica, accompagnavano altrove Gheddafi nei viaggi all'estero, creature a guardia della sua tenda beduina che abbiamo avuto modo di scorgere perfino nella romana Villa Pamphili. Il potere, il governo, pretendono una simile pompa. Possibilmente, si sarebbe detto un tempo, figure d’aspetto “avvenente”, perfette per figurare adesso in ogni doveroso selfie ufficiale e non, segno social di prestigio conseguito, meritato. Nella non meno pregiata quadreria equestre del governo Meloni da qualche giorno è stato necessario aggiungere infatti il ritratto a figura intera, non meno esemplare, della signora Maria Rosaria Boccia, influencer, che altrettanto ha modo di esibire il titolo di presidente dell’associazione Fashion week Milano moda. Che tuttavia nulla ha a che fare con la più nota Camera milanese della moda: “Non abbiamo mai sentito parlare di questa associazione e non sappiamo in quale ambito operi”, così la smentita, sorta di la-ditta-non-ha-succursali. Gennaro Sangiuliano, in tema di pratici agi connessi al potere, e ancor di più all’aura del carisma, presumibilmente ignora che il vero modello di lusso cui avrebbe dovuto far riferimento risponde al nome di Salvador Dalí, costui, il pittore di simpatie franchiste, come ci è stato narrato dal drammaturgo Fernando Arrabal, aveva sempre con sé una corte personale composta, nell’ordine, da un addetto diplomatico, un addetto militare, un addetto alimentare preposto ad assaggiare gli alimenti; infine talvolta c’era modo di scorgerlo sfilare in Rolls-Royce accompagnato da due fanciulle interamente nude e incatenate pronte a tenere al guinzaglio, se non proprio un giaguaro, certamente un formichiere africano.
Sangiuliano anche in ossequio alla cultura aristocraticamente elitaria che, così immaginiamo, debba sentire propria, dovrebbe prendere esempio proprio dall’artista che poteva altresì vantare il titolo di marchese di Púbol, ottenuto nel 1982 da re Juan Carlos. Al momento, sappiamo però, salvo smentire dal dicastero, che egli sì è appunto dotato di un Assistente Speciale che più prosaicamente prende nome Maria Rosaria Boccia, volto glamour sfericamente perfetto per l’estetica dei selfie attualmente dominante, i natali nell’esemplare città di Pompei, recentemente gratificata dalla visita di Madonna che lì, tra gli scavi, si è concessa una pizzata, sia pure d’autore. In assenza della signora Boccia, ripetiamo, gli occhi del mondo e dell’elettorato di Fratelli d’Italia probabilmente non avrebbero contezza della prestigiosa posizione apicale dal ministro conseguita, meritata. Qualcosa di simile accadde perfino agli uomini, già missini, di Gianfranco Fini quando raggiunsero le dolcezze del governo per grazia di Silvio Berlusconi, anche in quel caso d’improvviso, dopo una vita grama vissuta nell’assenza di figure femminili ausiliarie, le migliori fanciulle che fino a quel momento avevano accompagnato il glamour craxiano si affiancarono alla comitiva di An. Ma dove vai se l’assistente personale non ce l’hai? Così potrebbe pronunciare un claim prosaicamente pubblicitario, se solo volessimo cedere al banale spiccio. Se il semplice professionista della commedia professionale all’italiana provava orgoglio ne custodire in tasca un accendino Dupont e magari una Porsche “Carrera” in garage, al contrario a chi abbia al momento raggiunto un ruolo apicale di governo in assenza dell’assistente personale giunta dall’altra metà del cielo dei selfie verrebbe giudicato incompleto nel rango, nei benefit meritati. Dunque, accanto ai molti assistenti maschi in blazer “Davide Cenci”, outfit ministeriale per definizione, giovanotti sottopagati che fino a quel giorno sognavano unicamente un posto alle Poste, è d’obbligo che svetti la fanciulla invidiata, lì a guardia della posizione conseguita da chi ha avuto modo di cooptarla. In filigrana, in ogni selfie della fortunata prescelta, poco importa che si chiami Maria Rosaria o più comunemente Mariella o Nunzia, c’è modo di intuire un sottotesto muto che pronunci: vedi dove sono arrivata? Vedi che sto accanto al ministro? Mi vedi mentre consulto la brochure della Camera dei deputati? Ciò che per i semplici è una ordinaria cartolina turistica su cui segnare a penna “Io sono qui!” nel nostro caso inquadra il corridoio e la buvette del Transatlantico. Umane debolezze che toccarono perfino lo scrittore chic Alberto Arbasino, autore di un romanzo breve che in questo caso suona da metafora, La narcisata, anche il nostro aveva infatti cura di mostrarsi in giro per Campo Marzio con una cartellina che recava l’intestazione di Montecitorio.
Così come Bruno Cortona, interpretato da Vittorio Gassman ne Il sorpasso ha modo di apporre impropriamente, da abusivo, sul parabrezza della sua Lancia Aurelia B24S Convertibile, il permesso d’accesso al parcheggio proprio della Camera dei deputati, così come alla presentazione del libro da Alessandro Giuli, neo direttore del MaXXI per grazia e volontà di Giorgia Meloni, dedicato a Gramsci c’era modo di riconoscere tra il pubblico decine di aspiranti assistenti dei capelli non meno accuratamente segnati dai colpi di sole e dalla piastra dell’ambizione: offertorio al potere nuovo arrivato, allo stesso modo la nostra vicenda che mostra Maria Rosaria Boccia al centro del fondo d’oro della destra populista ha molto di umanamente esemplare. Perché è così che si fa, perché è così che insegna la storia dell’ambizione nazionale, perché l’adagio familiare pronuncia un “… fatti furba, figlia mia”, pensa che lavorerai con il ministro, avrai la tua stanza, pensa alla soddisfazione di accompagnarlo in giro, agli eventi ufficiali. Esemplare da questo punto di vista il momento di relax che mostra l’Assistente Speciale Boccia al mare, il ministro in costume, lei rilassata sul lettino in bikini, a Polignano a Mare, luogo “meraviglioso”, così canterebbe Mimmo Modugno che da quei luoghi giunge, pensa che nello stesso scatto c’è Giuseppe Cruciani che conversa con voi, così come ha mostrato in esclusiva Dagospia con prova fotografica. Sembra quasi di vederla l’Assistente Speciale, sorriso stampato, che viene fuori dall’acqua se non come primavera botticelliana certamente replica-sottomarca di Ursula Andress nell’ideale pellicola dell’invidiabile reich meloniano. Lei che può mostrare al mondo di avercela fatta, e poco importa che alla domanda se il contratto dell’incarico è stato davvero firmato, dal dicastero dicano di non sapere nulla; ciò che fa fede sono semmai i selfie con Gennaro. E quelli ci sono, lì su Instagram, incontestabili. Una storia che fa il paio con il tempo in cui l’Alitalia forniva ad alcuni privilegiati la tessera “Freccia alata”. Se in Marx la storia sociale delle classi viene ripartita in padroni e proletari, in quell’altro caso il Segno del Comando, dell’orgoglio, mostrava semmai l’essere o meno in possesso di una carta prestigiosa che ti dispensava dalla fila, biglietto in mano, telefono e croissant a disposizione. Maria Rosaria Boccia volto da signora ritratta da Rubens, non proprio fanciulla di Renoir, alla fine c’è da immaginare che il prossimo film di Paolo Sorrentino possa vederla come figura ispiratrice, dopo “Loro 1” e “Loro 2”, il titolo perfetto potrebbe essere “Lei”. Sembra quasi di vederla arrivare alla Mostra del cinema di Venezia, eccola che scende da un Riva “Aquarama” al Lido, sottobraccio o forse solo un passo dietro al “suo” Gennaro, il ministro, il benefattore, il futuro marchese come già Dalí.