Sulla guerra d’Ucraina, iniziata con i fatti di Piazza Maidan dieci anni fa secondo alcuni, il 22 febbraio del 2022 con l’invasione ordinata dal Cremlino per altri, scriveranno trattati che faranno epoca. E quando desecreteranno i documenti classificati che la competono, se esisterà ancora un mondo e una storia, verranno confermate o ribaltate molte tesi e altrettante convinzioni. Per ora, oltre alla cruda atrocità dei conflitti armati moderni, nella guerra totale che ha imposto alle parti l’uso spregiudicato di tecnologie che ci mostrano “la morte in diretta” per stare al passo, possiamo sbattere la testa solo su un’evidente certezza: non saranno le armi e le strategia messe in campo da una parta o dall’altra del fronte, qualunque esse siano, a mettere la parola fine al conflitto. Un conflitto che non era così vicino a noi europei dai tempi delle guerre che hanno segnato per sempre i Balcani - è tornato sull’argomento e sul coinvolgimento dell’Italia in quel conflitto proprio questa settimana un nostro ex-presidente del consiglio con i baffi (sì, lui). Che questa guerra non possa essere ribaltata nel suo corso dall’avvento di armi straordinarie che vengono puntualmente dipinte dalla stampa generalista come delle Wunderwaffen hitleriane prima di ogni tranche di aiuti militari, lo dicono gli stessi analisti del Pentagono che le selezionano. Lo dicono gli stessi signori con le stellette che hanno analizzato l’efficacia e le conseguenze dell’incursione “a sorpresa” condotta dalle migliori truppe ucraine nell’oblast russo di Kursk - 12mila uomini che ora avanzano lungo una seconda direttrice e tengono le teste di ponte cercando respingere i russi al contrattacco - e che hanno messo al vaglio le richieste di Kiev. Che insiste per ricevere il consenso nell’impiegare le armi sofisticate “senza alcuna restrizione” per colpire obiettivi nella profondità del territorio russo. Oltrepassando quelle “linee rosse” che sono state tracciate dalla Cia (e dal Cremlino) nel corso di un decennio; e che negli ultimi due anni di confitto convenzionale sono state ridisegnate e spostate. Sempre più a est.
Dopo le informative dell’intelligence per respingere l’aggressione russa e l’equipaggiamento logistico, si è passati alle armi difensive, alle armi offensive da impiegare solo in azioni difensive, alle armi che vengono erroneamente definite “a lungo raggio” come i sistemi missilistici Himars/Atacms e i missili Storm Shadow e Scalp-Eg, ai caccia multiruolo F-16 che ora dovrebbero essere, secondo il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, impiegate in combinazione per “distruggere gli aerei militari russi nelle loro basi” in territorio russo. Senza restrizioni, senza compromessi. Rispondere alle bombe con le bombe, al terrore con il terrore, alla morte con la morte. Portare la guerra in Russia con le armi della Nato. Nel pensare a questa mossa come una soluzione si commette però un errore. Lo ricorda il Direttore per la comunicazione strategica della Casa Bianca, John Kirby, al Wall Street Journal, asserendo che ”la valutazione secondo cui basta dare agli ucraini gli Atacms e dire loro che saranno in grado di colpire la maggior parte degli aerei e delle basi aeree russe che vengono utilizzate per colpirli non è vera, è un equivoco“. Lo annunciava la settimana scorsa il Segretario della Difesa americana LIoyd Austin dalla base Nato di Ramstein. Questo anche perché i russi, che non sono sprovveduti come vorremmo credere, e hanno già spostato larga parte degli aerei utilizzati per attaccare l’Ucraina fuori dal raggio dei missili Atacams. I trecento chilometri di portata imposti al sistema. Solo i missili da crociera aviolanciati da dei caccia che violassero lo spazio aereo russo potrebbero andare a segno su tali obiettivi. Ma la missione, come possiamo immaginare, è ben diversa. E la Russia potrebbe davvero reagire a una simile compromissione. Attuata con aerei forniti da occidentali che lanciano missili occidentali, in territorio russo.
Tra un fronte immobile, impantanato sulle linee trincerate divise da una terra di nessuno che ha riportato venti da Prima guerra mondiale nel Donbas dove i carri armati non fanno più la differenza, e un fronte ipotetico, attraversato da incursioni condotte dietro le linee nemiche con commandos, droni e quei missili da crociera con capacità stealth che costano 1 milione e puntano a obiettivi di alto livello spiati dai satelliti, il rischio di un’escalation che conduca dritti alla guerra nucleare si è fatto palpabile più di una volta. Putin ha i codici nucleari sulla scrivania e minaccia di usarli se gli americani, gli inglesi, i francesi o i tedeschi superassero un limite che non è più così ben definito. Basterebbe in incidente per innescare una reazione a catena da plot di Tom Clancy. Al vertice della tensione. Ma la realtà è come sempre un’altra: tra intelligence, nuove armi e vecchie tattiche, consiglieri militari, l’ombra di operazioni coperte, coscrizione obbligatoria, la minaccia di una guerra nucleare viene solamente scongiurata dalla deterrenza della triade nucleare delle vecchie grandi potenze che hanno convissuto all’ombra della Cortina di Ferro ribadendosi a vicenda quel vecchio monito che ha scandito la Guerra Fredda: l’apocalisse nucleare non conviene a nessuno, perché se è vero che “c’est l'argent qui fait la guerre..” è vero anche il contrario. Lo stanno scoprendo proprio adesso gli emissari di Pechino, Pyongyang e Teheran che avvalorando l’idea Made in Usa dell’Asse del Male vendono a Mosca droni kamikaze Shahed 136 componenti per mandarli a segno, munizioni e missili balistici a corto raggio Fath-360.
Sebbene molte nazioni del blocco occidentale abbiano già autorizzato Kiev a colpire la Russia con le armi fornite - parliamo delle Repubbliche Baltiche, Polonia, Olanda, Finlandia e Svezia - sono gli americani, che hanno messo al vaglio l’ipotesi di fornire anche nuovi vecchi missili Jassm, gli inglesi, i francesi (e anche gli italiani) con i loro Storm Shadow/Scalp a fare la “differenza” nel consentire agli ucraini di usare le “armi occidentali” che hanno davvero lo scopo e la capacità di colpire obiettivi militari in territorio russo. Il punto che resta all’ordine del giorno, quindi, da giorni, da settimane, da mesi, è che la distruzione di obiettivi definiti strategici potrebbe non influenzare affatto o in modo “significativo gli sviluppi bellici”. Ma influirebbe solo sulla posizione di Kiev quando le parti decideranno di sedersi al tavolo dei negoziati. Vale la pena rischiare che la Nato entri in guerra con la Federazione Russa per concedere all’Ucraina maggiore potere negoziale dunque? La domanda rimane sospesa tra chi ne è fermamente convinto fin dal principio, e chi ha sempre sostenuto il contrario fino all'esaurimento. Più o meno è questo il punto in cui si trova la guerra in Ucraina. Un punto che alcuni definirebbero “morto”.