La guerra fra Russia e Ucraina va avanti ormai da diversi anni, dalle prime tensioni tra i due Paesi già nel 2014, con i separatisti delle regioni di Donetsk e Lugansk, fino all’invasione russa del 24 febbraio 2022 – oltre due anni e mezzo fa – dopo cui il conflitto è precipitato in maniera esponenziale, con decine di migliaia di vittime. Nonostante lo scorso mese il presidente ucraino Zelensky avesse aperto un ipotetico “spiraglio” per avviare dei negoziati, annunciando che “ai prossimi summit, anche la Russia deve partecipare”, tutto è svanito nelle prime settimane di agosto, quando le forze armate ucraine hanno invaso la Russia, e in particolare la regione di Kursk, portando le tensioni ai massimi livelli. A questo proposito, abbiamo intervistato Andrea Sceresini, giornalista, reporter di guerra e autore di inchieste per Rai, La Stampa, Il Foglio, il Fatto Quotidiano, l'Espresso e Il Manifesto, che ha svolto numerosi viaggi in Ucraina, passando da Kiev, ma anche nelle regioni separatiste di Donetsk e Lugansk, fino a raggiungere anche la Siberia, in Russia. A proposito del discusso caso dei giornalisti italiani, Stefania Battistini e Ilario Piagnerelli, entrati nella regione russa di Kursk assieme alle forze armate ucraine, ci ha detto “è successo anche a me, se fossi stato io al posto della Battistini, anche io sarei andato a Kursk”, raccontandoci la sua esperienza come giornalista indipendente, dove però “la propaganda è totale”, sia da parte russa che da parte ucraina e “molti giornalisti pur di lavorare, più che i giornalisti, fanno i tifosi”, fino alla sua diretta esperienza sul campo con la “lobby” dei fixer ucraini - ovvero quelle persone che nelle zone di guerre aiutano i giornalisti a entrare in contatto con chi si trova al fronte - che però in Ucraina “sono i primi a denunciarti alle autorità”, facendo finire i giornalisti su delle blacklist, e dove “se tu lavori in Ucraina, è veramente difficile che non faccia giornalismo filo-ucraino”, avendo però anche i separatisti filorussi che “si aspettano che tu, essendo lì, appoggi automaticamente la causa russa”, ragioni che lo hanno portato a essere bandito dall’Ucraina, non aderendo a nessuna delle due voci di propaganda. Il reporter ci ha poi raccontato le sue impressioni sul Donbass, su quello che si dice dei “nazisti ucraini” e sull’esistenza di “fascisti italiani”, che invece combattono con i separatisti, e su come in generale filtrino le notizie dal fronte, dal discusso caso del Nord Stream 2 fatto saltare dagli ucraini, ai bombardamenti di Mariupol da parte dei russi, dalla sua inchiesta sull’omicidio del reporter italiano Andrea Rocchelli per mano degli ucraini, alle speranze di pace: “se vince Trump può essere che veramente si accordi con Putin, e a quel punto finisca tutto”. E a proposito del giornalismo in Italia? “In Italia il giornalismo sta messo molto male. Quindi parlando di guerra, la verità è la prima vittima”.
Andrea, come giornalista e reporter di guerra sei stato anche in Ucraina in passato, più volte. Cosa pensi del recente caso dei giornalisti Rai, Stefania Battistini e Ilario Piagnerelli, che sono entrati a Kursk, in Russia, con le forze armate ucraine? Sono stati elogiati da alcuni per il lavoro svolto, ma molto criticati da altri, fra cui, ovviamente, la Russia, e in particolare la portavoce del ministero degli Esteri russo (Maria Zacharova) che li ha accusati di essere entrati illegalmente in territorio russo
A me è successa una cosa molto simile, ma nel 2015. A noi, cioè io, Lorenzo Giroffi e Alfredo Bosco. Nel 2014-2015 siamo stati in Ucraina, anche nel Donbass separatista, ma passando da Kiev con un regolare permesso per spostarsi anche nelle zone di combattimento, quindi anche quelle separatiste, come Donetsk, Lugansk eccetera. Però, nonostante il permesso, fummo accusati di essere entrati nelle zone separatiste passando dalla Russia. Non si è mai capito perché, ma per 5 anni fummo banditi dall’Ucraina. Ci fu tolto il permesso di entrare. Ce lo disse la Farnesina, dato che era arrivata una lettera che ci accusava di questa violazione e ci informavano che non potevamo più entrare fino al 2020, pena - l’arresto. Noi avevamo tutte le prove e le carte per dimostrare che non eravamo mai passati dalla Russia, ma sempre attraverso l’Ucraina, da Kiev, regolarmente, ma non ci fu risposta. Quindi, diciamo che quello che hanno fatto i russi è una cosa che fanno tutti, è un modus operandi. In questo caso i giornalisti italiani sono entrati in Russia senza passare da una dogana. Poi ovviamente è risaputo che la Russia verso i giornalisti ha un'attitudine particolarmente odiosa; è contro la libera informazione e sappiamo bene che fine fanno alcuni giornalisti russi, vedi il caso di Anna Politkovskaja. Però diciamo che in questo conflitto, come in ogni altro, l'unico modo per raccontare le cose è andare sul posto. È un principio che dovrebbe essere sacrosanto e assoluto. Dopodiché in guerra, la libertà di stampa è la prima che scomparire. Oggi raccontare questo conflitto da un lato o dall'altro è molto difficile per un giornalista.
Quanto tempo sei stato in Ucraina?
Sono stato in Ucraina nel 2014-2015. Poi sono tornato nel 2016-2017, ma passando dalla Russia, perché stavamo portando avanti un lavoro in Donbass, e l'unico modo per entrarci, visto che avevamo questo ban fino al 2020, era passare dalla Russia, che era in realtà molto semplice, si arrivava a Donetsk con un autobus. Lo facevano in molti. Avevo fatto un’inchiesta sulla morte di Andy Rocchelli. Poi ci sono tornato ancora nel 2021, stando però a Kiev e a Slovjansk (città dell’Ucraina orientale, nda). E poi sono partito di nuovo il 24 febbraio del 2022. Sono rimasto lì fino a un anno e mezzo fa, quando ci hanno levato - a me, Alfredo Bosco e ad altri - l'accredito giornalistico. A quel punto siamo venuti via.
Visto che eri lì dai primi momenti dell’invasione russa del 2022 e poi vi hanno invece tolto l’accredito, vi è stato impedito di riportare qualche notizia in particolare? Si tratta(va) comunque di un fronte di guerra aperto, ma essendo lì, secondo la tua esperienza, era ed è ancora possibile fare informazione liberamente, senza prendere le parti dell’esercito ucraino, pur stando in Ucraina, oppure no?
È molto difficile, perché se vuoi andare verso il fronte o vai con i soldati o vai con i fixer. Oggi i fixer sono praticamente una lobby controllata dall'esercito ucraino e dal governo. Quindi i fixer stessi, che sono le persone che in teoria tu paghi perché ti accompagnino al fronte, sono i primi a denunciarti. È successo a molti colleghi, per esempio ad Alfredo Bosco. La nostra cacciata dall’Ucraina fu probabilmente causata da questo, nel senso che un fixer si era reso conto che Alfredo aveva fatto dei lavori con i separatisti e venne denunciato all’esercito ucraino. Venne segnalato, insomma. Quindi i fixer sono i primi che ti denunciano se c'è qualcosa che non va, anche perché loro per lavorare, hanno comunque bisogno dei contatti con l'esercito ucraino e dell'appoggio delle autorità. Non possono inimicarsi le autorità. Quindi hanno delle loro chat in cui si scambiano informazioni e pareri sui giornalisti con cui lavorano.
Tu sei finito in qualche lista nera, nel momento in cui poi te ne sei dovuto andare?
Sì, sono stato su delle liste nere. Nel febbraio del 2022 in un posto di blocco a Kiev avevano la mia fotografia. Non so come sia la situazione ora, un anno e mezzo dopo, ma ai tempi in Ucraina c’erano tantissime blacklist. C’è la famosissima Myrotvorec, in cui io non ero, ma c’erano i miei colleghi, Alfredo e Lorenzo, con cui in realtà ho sempre lavorato, quindi, era inspiegabile io non ci fossi in quella lista, ma non c’ero. C’erano poi tante altre liste, quella dell’SBU (Servizio di Sicurezza dell’Ucraina), le liste dei ministeri, della polizia. Ognuno aveva la sua. Ma in teoria, il fatto di stare su una lista, non pregiudicava il poter entrare nel Paese e avere gli accrediti come giornalista. Però, avendo noi avuto un ban di 5 anni prima, era rischioso. Poteva capitare ci fosse il posto di blocco di un battaglione, piuttosto che di un altro, e non si sapeva cosa sarebbe successo. L’Ucraina funziona molto per gruppi di potere e il fatto che ci fosse (e c’è) un conflitto aperto, complica le cose. Però non c’era una politica chiara sulle blacklist, visto che erano tantissime. Quando mi fermarono quella volta non mi chiesero neanche i documenti, perché avevano la mia foto. “Sei tu? Ah, sei nei casini” mi dissero, per cui chiamai l’ambasciatore italiano e ci fecero andare via.
Quindi, in base alla tua esperienza, è difficile fare giornalismo dal fronte, senza essere accusati da una parte o dall’altra (dai russi e dagli ucraini) di prenderne le posizioni e di essere schierati
Sì. Se tu lavori in Ucraina, è veramente difficile che tu non faccia giornalismo filo-ucraino. Cioè, c'è chi non lo fa, chi riesce comunque a barcamenarsi essendo indipendente. Però questo pregiudica una serie di cose.
Tipo andare al fronte?
Sì, se vuoi andare al fronte devi comunque avere l'appoggio o dei fixer, di qualche battaglione o reparto che ti accompagni. E se sul tuo conto c'è un minimo sospetto, ti segnalano subito. In questa guerra la verità ce la siamo giocata dieci anni fa, nel 2014. Ricordo quando una volta gli ucraini bombardarono Donetsk e la stampa ucraina - e gli italiani che supportavano gli ucraini - sostenevano che i separatisti si fossero bombardati da soli. Poi, poco dopo, i russi bombardarono Mariupol e fecero una strage, e la stampa russa sostenne che gli ucraini si erano bombardati da soli. Cioè, il livello è questo. Ognuno dice il caz*o che vuole. Quindi la verità ce la siamo giocata da un bel pezzo.
Anche dalla tua percezione sul campo, dunque, c’è propaganda da entrambe le parti
L'ho visto anche facendo un lavoro sulla morte di Andy Rocchelli.La propaganda è totale. Il problema è che molti giornalisti pur di lavorare, più che i giornalisti fanno i tifosi.
Cioè? Tu sul caso di Andy Rocchelli e la sua morte in Ucraina, nel 2014, hai fatto anche un’inchiesta. Si tratta di una vicenda molto delicata, che ha colpito l’opinione pubblica, ma che è ancora molto poco chiara, oltre che un caso che non ha avuto una grossa copertura mediatica, nonostante la gravità dell’uccisione da parte degli ucraini, rispetto magari ad altri crimini commessi invece dai russi, di cui negli anni si è parlato di più.
Ho fatto un’inchiesta e un documentario di un’ora, ma è vero, assolutamente, se ne parla molto poco. Vitaliy Markiv, il soldato ucraino accusato della morte di Andy Rocchelli, è stato assolto, anche in Cassazione. Le sentenze però, dicono che comunque a sparare siano stati gli ucraini. Anche perché è palese che lo hanno fatto loro. Markiv era stato accusato perché aveva anche il passaporto italiano, quindi era comunque processabile in Italia per questo omicidio. Lui si trovava sulla collina dove è stato ucciso Andy, ma faceva in realtà parte della Guardia Nazionale, un reparto che non aveva a disposizione mortai. Ma Andy è morto per colpi di mortaio, quindi non poteva essere stata la Guardia Nazionale, come avevano inizialmente ipotizzato i giudici. Noi nella nostra inchiesta ci siamo concentrati sull’altro reparto che stava sulla collina, ovvero la 95esima brigata ucraina, che aveva a disposizione artiglieria e mortai. Ci siamo resi conto che l'unico modo per sapere chi avesse sparato a Andy era trovare qualcuno che stava su quella collina e che avesse visto quello che era successo e, soprattutto, che avesse il coraggio di parlare.
E come lo avete trovato?
Abbiamo cercato tra i disertori della 95esima brigata e ne abbiamo trovato uno che stava proprio su quella collina, dove faceva da vedetta. Avevamo trovato delle foto su Facebook con elenchi dei disertori dell’esercito ucraino, pubblicati dal governo ucraino. Ai tempi tutti i distretti pubblicavano elenchi dei soldati che erano scappati, con il numero del loro reparto di appartenenza. Così abbiamo cercato tutti quelli della 95esima brigata e abbiamo trovato uno che era stato lì, nello stesso punto dov’era Andy, con tanto di foto. Lo abbiamo contattato e ci ha raccontato quello che era successo. Andy Rocchelli e Andrej Mironov erano lì, in abiti civili e un comandante, che si chiama Mychajlo Zabrodskyj – che è stato anche parlamentare in Ucraina, ma ora è di nuovo nell’esercito – ai tempi comandava la 95esima brigata e aveva dato l’ordine di sparare con i mortai automatici.
Ma quali furono le ragioni di ucciderli così brutalmente? Perché prendersela proprio con loro che erano giornalisti?
Non fu un omicidio commissionato, come detto dalla propaganda russa. Gli ucraini non sapevano si trattasse di giornalisti. Videro semplicemente dei civili. Il disertore che abbiamo trovato ci ha poi spiegato che capitava che i separatisti si vestissero da civili; quindi, chi si avvicinava a quella zona, insomma, gli ucraini sparavano addosso. Probabilmente Andy e Andrej erano stati scambiati per dei separatisti. Poi comunque è un crimine, non puoi sparare contro dei giornalisti o dei civili non armati che non stanno facendo niente di aggressivo.
Invece in Donbass, e più in generale nei territori dei separatisti, che situazione hai trovato? C’erano effettivamente tanti separatisti filorussi?
Sono stato con separatisti l'ultima volta nel 2017 in realtà, perché quando sono tornato in Ucraina nel 2022, sono rimasto nella parte ucraina, non sono più andato verso il Donbass. Sono stato però in Siberia, con una telecamera nascosta, nella regione della Buriazia. Lì vengono arruolati molti soldati russi che vengono poi mandati in Ucraina, perché è un posto molto povero. Ho cercato di raccontare perché la gente vada a combattere in Ucraina, partendo dalla Siberia, e la riposta è che ci vanno perché non hanno soldi, e come soldati vengono pagati molto bene. Non perché odiano gli ucraini o per ragioni di patriottismo e nazionalismo. Quando avevo incontrato i separatisti, in realtà non ho fatto inchieste o articoli per fare propaganda separatista filorussa, ma anzi, tanti pezzi contro, di denuncia della situazione, come questo. Oppure delle ricerche sui fascisti italiani che combattevano con i separatisti.
Esiste un movimento di fascisti italiani che combattono con i separatisti filorussi in Ucraina?
Non è un movimento, ma ci sono diversi fascisti italiani lì, o che comunque stavano lì ai tempi. Quasi tutti di estrema destra. Dico fascisti, ma possono essere anche suprematisti bianchi o populisti di destra. Alcuni erano dichiaratamente fascisti. Certamente non erano ricerche o articoli filoseparatisti che facevo, perché all'epoca c'era il mito che i separatisti fossero i nuovi partigiani… Avevo fatto ricerche anche su delle miniere clandestine di carbone, vicino a Donetsk, dove i lavoratori vivevano in condizioni pietose, gestiti da comandanti separatisti. I minatori erano sfruttati e mandati a morire. Quindi, insomma, ho fatto un sacco di cose “contro” i separatisti, perché evito sempre di seguire la propaganda, che trovo ridicola. Però, nonostante questo, solo per il fatto che sono stato là, nelle regioni separatiste, automaticamente, secondo le regole ucraine, sono stato considerato “filorusso”.
Quindi solo per il fatto di passare nelle zone separatiste, come Donetsk, Lugansk, le autorità ucraine considerano che fai propaganda filorussa
Sì. Poi tanti comunque ci vanno. Ma è anche una questione di “agibilità” giornalistica. Se vai a Donetsk e fai propaganda russa, ovviamente lì i separatisti ti fano fare un sacco di cose: ti agevolano, ti portano al fronte, ti fanno intervistare i comandanti. Ma è lo stesso dalla parte ucraina. Infatti, quando facemmo l’inchiesta su Andy Rocchelli fummo attaccati da una serie di colleghi italiani, tifosi dell’Ucraina. Come se tutto quello che dice l’Ucraina “è buono”, anche se ci sono cose palesemente false. Vengono considerate vere, perché dette dall’Ucraina, e se si osa contestarle, si viene automaticamente definiti “putiniani”. Il fatto che gli ucraini ci abbiano poi tolto l’accredito come giornalisti ed espulso è dovuto anche a questo.
Avete mai ricevuto minacce dirette?
Sì, tantissime volte. Minacce e insulti.
In che modo le avete affrontate?
A un certo punto ce ne siamo fregati. Per me, a un certo punto avevano fatto girare la voci che fossi filorusso, mentre ero in Ucraina, al fronte. Ero a Bakhmut, e comunque non è bello essere in un posto in cui ti sparano addosso i russi, perché sei dentro l’Ucraina, ma ti devi guardare le spalle perché magari gli ucraini stessi ti vogliono arrestare. A quel punto non sai neanche più dove sono i “buoni” e i “cattivi”.
E invece a proposito degli ucraini: nei servizi e reportage di Stefania Battistini e Ilario Piagnerelli con l’esercito ucraino a Kursk, si vedono dei soldati ucraini in particolare con un berretto con simbologia nazista. In questi due anni e mezzo si è parlato tanto del tema dei “nazisti ucraini”, tra chi dice che sono un’invenzione dei russi e non esistono, chi invece dice che ci sono, ma da qui non si ha una reale percezione. Qual è stata la tua esperienza? Ci sono o no i “nazisti ucraini”?
Esserci, ci sono. Però, se fossi stato io al posto della Battistini, anche io sarei andato a Kursk. Ci sarei andato subito, magari cercando di non stare con i soldati, perché poi è ovvio che se si va a intervistare civili con i soldati accanto, si riceve una testimonianza falsata; ma avrei cercato di capire davvero com’è la situazione e come stanno anche i civili russi. Insomma, cosa pensa la gente. Forse avrei cercato di smarcarmi dall’esercito ucraino. Però il problema è che in Italia queste cose interessano poco. Quando ero stato in Siberia, per esempio, era stato molto bello il poter raccontare e smontare la propaganda russa, ovvero l’idea secondo cui i soldati partissero dalla Siberia per l’Ucraina per “difendere la patria”, quando in realtà era solo una questione di soldi. Però dall’altra parte era importante dare un volto e “umanizzare” queste persone. I russi qui da noi sono visti come delle specie di mostri sanguinari. Poi magari in realtà dietro un soldato c’è un ragazzo di 20 anni che vuole portare a casa uno stipendio, e allora per forza va in Ucraina. È complesso. La realtà è che fra russi e ucraini, non ci sono davvero buoni e cattivi. Quindi è importante restituire la complessità del quadro e i suoi contrasti. Invece qui si raccontato le cose solo bianche o solo nere. Mentre a proposito dei nazisti, sì, ci sono. Parlando con alcuni soldati ucraini, per esempio, ricordo che uno tra 2022 e 2023, in un poligono della Guardia Nazionale ucraina vicino a Slovjansk ci disse “Chiamatemi Adolf, come Hitler”. Ci sono frange di questo tipo. Però, il problema di fondo di questo conflitto è l'ultranazionalismo che hanno instillato sia ai russi che agli ucraini in questi dieci anni.
Cioè?
Cioè, dieci anni fa russi e ucraini convivevano pacificamente. A Kiev si parlava russo. Tante persone che magari stavano a Donetsk parlavano russo, ma erano comunque ucraini, volevano stare con Kiev, sognavano l'Occidente. C’era una commistione, ma era una situazione pacifica. Il partito separatista del Donetsk che c’è oggi, nel 2014 portava in pizza circa 20 persone. Insomma, quattro gatti. Dopo dieci anni, hanno instillato l’odio. La propaganda fa questo: in Russia hanno ripetuto a tutti quanto fossero “nazisti” gli ucraini; in Ucraina hanno ripetuto a tutti quanto fossero “criminali” i russi, che ammazzano le persone, che sono orchi – come sono chiamati nei tg – e alla fine la gente ci crede. Il problema è che sono tutti ultranazionalisti, perché l’ideologia di russi e ucraini è la stessa. Ultranazionalismo xenofobo, quando in entrambi i Paesi non c’è democrazia, o ce n’è pochissima. L’Ucraina da che è in guerra ha sospeso molte libertà democratiche.
Sì, qui per esempio sappiamo che essendo in regime di guerra, gli uomini ucraini non possono lasciare il Paese, oltre a non fare le elezioni, per cui Zelensky è rimasto in carica anche dopo la fine del suo mandato. Ma qual è secondo te l’influenza dell’Occidente in tutta questa situazione? Qual è ruolo degli Stati Uniti, per esempio, in questa guerra, anche da persona che l’ha vista da vicino? È vero che è molto un fatto di ingerenza e pressioni occidentali/americane, o gli ucraini sono guidati dal loro personalissimo spirito ultranazionalista?
Beh, è palese l’ingerenza, insomma. L’Ucraina combatte perché ha avuto la “sfiga” di stare sulla linea che separa il blocco occidentale da quello orientale. Cioè, tra la zona di influenza russa e quella di influenza americana, fondamentalmente. Quindi è palese che sia una guerra per procura. Poi è giusto tutto il discorso su “invasore” e “invaso”, ma le ragioni vere di questa guerra sono gli interessi economici. L’Ucraina come Stato non ha niente da guadagnarci, anche perché la stanno devastando. Un altro aspetto interessante che avevo analizzato per un documentario per Rai3 era sui disertori russi e ucraini. Sono tantissimi da una parte e dall’altra. Per quanto riguarda l’Ucraina, circa 600-700mila uomini in età militare erano scappati in Europa occidentale, erano anche uscite le cifre. Tempo fa Zelensky chiese anche a Germania e Polonia di restituire questi uomini, e quindi aveva quantificato quanti fossero, e se pensiamo al fatto che l’Ucraina è grande, ma non è un Paese sterminato come la Russia, è una cifra enorme. Quando facemmo il documentario, però, fummo attaccati pesantemente. La propaganda ucraina in Italia ci accusava di esserci inventati tutti, di aver parlato di un fenomeno che in realtà non esiste. Ma quando poi uscirono le cifre, divenne evidente che non era assolutamente un fenomeno marginale.
E rispetto ai soldati, ma anche ai civili ucraini che hai conosciuti, c’è sostegno verso Zelensky oppure no?
Dipende molto, ma diciamo che più ti avvicini alla linea del fuoco, meno entusiasmo c’è per la guerra. Penso che i più grandi nazionalisti ucraini siano in Occidente. Quelli che veramente spingono perché si combatta “fino all'ultimo uomo”, sono quelli che non la guerra non l’hanno vista. Se vai nel Donbass a Slovjansk, a Kramatorsk, la gente ovviamente non è che dice “bombardate, bombardate”. Anche perché si tratta di regioni in cui le famiglie, spesso, sono miste, con i parenti da una parte all’altra del confine. Sono più le persone che questa guerra la subiscono, ma non la vogliono, anche fra i solidati stessi. E poi l’arruolamento da una parte e dall’altra viene fatto ormai a forza, prendendo i ragazzi per strada.
Degli ucraini si è detto vengano chiamati per strada, invece in molte regioni russe arrivano delle lettere di “richiamo”, anche per esempio ad alcuni stranieri che diventano cittadini russi: appena presa la cittadinanza, alcuni vengono chiamati al fronte. Che ne pensi?
I soldati russi sono pagati molto bene, quindi molto vanno effettivamente come volontari, per ragioni economiche. Ma quando poi si rendono conto di cosa voglia dire combattere, ovviamente cambiano idea. Però tutto questo non viene raccontato; per questo è importante andare anche dall'altra parte, perché il vero volto della Russia, in Occidente, non lo vedi. C’è la propaganda russa, c’è quello che racconta la propaganda ucraina, oppure alcuni siti, ma bisognerebbe andare in Russia per capire e raccontare davvero cosa succeda lì. Solo che oggi se lo si fa, si viene accusati di propaganda filorussa, quindi passa la voglia. È come un cane che si morde la coda: non c’è una visione sfaccettata della realtà, c’è solo il dire che “i russi sono delle bestie” o “gli ucraini sono delle bestie”.
E cosa pensi della questione Nord Stream 2? Recentemente è emerso da un’inchiesta tedesca che alla fine sarebbero stati gli ucraini a far saltare il gasdotto, ma all’inizio si diceva anche che fossero stati i russi a distruggerlo. Quanto sono manipolate le notizie qui, stando lì?
Come dicevo prima: gli ucraini bombardano Donetsk, ma la propaganda ucraina dice che si sono tirati le bombe in testa da soli. Non ha senso logico. Anche il caso del Nord Stream 2 è uguale. Non ha senso che i russi sabotino il loro stesso gasdotto. Però la propaganda ormai è così totale e pervasiva, che ognuno dice il caz*o che vuole, e viene ripetuto come se fosse vero. C’è anche il problema che i giornalisti italiani che sono là, in Ucraina, spesso fanno autocensura.
Come mai? Per paura?
Sì, per paura. Anche dopo aver visto quello che hanno fatto a noi, che è stato un caso che ha fatto un po’ scuola. Da quel momento i giornalisti stavano tutti attenti a non dire certe cose o a girarsi dall’altra parte, sapendo che c’era il rischio di essere cacciati. Io so di giornalisti che ora sono lì, in Ucraina, e che scrivono su giornali italiani, i cui articoli dopo essere stati pubblicati vengono passati a setaccio da giornalisti italiani o ucraini che abitano in Italia, che segnalano tutto a questa “lobby dei fixer”. I fixer hanno le loro chat su WhatsApp e Telegram, si scambiano informazioni, e tutto ciò che viene fuori, viene segnalato. Sai quante volte l’ambasciata ucraina in Italia ha fatto comunicati contro i nostri pezzi? Hanno fatto comunicati stampa ufficiali anche per il nostro lavoro su Andy Rocchelli, oltre che sui disertori, dicendo che era “propaganda russa”, anche se erano documentari usciti sulla Rai, con tanto di polemica: “Ah, perché il servizio pubblico dà voce alla propaganda russa?”
Oltre ai fixer ucraini, al fronte ti sei mai confrontato in modo diretto anche con l’esercito russo?
Quando stavo con i separatisti non c’era l’esercito russo, ma è come se ci fosse stato: tutti gli ufficiali, i consiglieri militari e il personale dei ministeri separatisti erano russi. Ma l’impostazione è la stessa che dagli ucraini: loro si aspettano che tu, essendo lì, appoggi automaticamente la causa russa. Ricordo che una volta due miei colleghi furono praticamente costretti a fare un’intervista alla tv locale del Donetsk e le domande erano del tipo “Ma perché gli ucraini sono così nazisti?” Fu molto imbarazzante e poi venne anche tradotto in russo come volevano loro, cambiando alcune cose, per farli apparire come ancora più filorussi. L’andazzo è questo.
Cosa pensi della mossa dell’invasione di Kursk da parte degli ucraini? Porterà a un’escalation?
Certamente aumenta molto la tensione, perché Putin non potrà permettere che gli ucraini invadano altri “pezzi” di Russia. Poi gli ucraini hanno preso pochi villaggi, però è un bello smarco. Poi nel frattempo i russi stanno attaccando il sud, nel Donbass, e stanno avanzando, lentamente… E da quello che so, comunque l'esercito ucraino è stanco, perché i soldati stanno finendo. Hanno avuto perdite spaventose e la Russia ha una popolazione gigantesca, quindi ovviamente fa meno fatica a trovare altri soldati. Poi magari si tratta di gente che fino all’altro ieri era in università e ora si infila in buche nel fango, sotto le bombe… Non è bello, ma penso che molto dipenderà dalle elezioni americane.
È quello che tutti si chiedono. Trump ha promesso di riportare “la pace nel mondo”, tra la guerra fra Russia e Ucraina e quella a Gaza, ma bisogna vedere se sia serio; Kamala Harris è stata meno netta sulle sue posizioni
Beh, i democratici sono più interventisti, come tradizione, sulla politica estera. Se vince Trump però può essere che veramente si accordi con Putin, e a quel punto finisca tutto, anche se non tutto è possibile.
Da reporter di guerra, a prescindere da Russia e Ucraina, cosa pensi della libertà di stampa oggi?
In Italia il giornalismo sta messo molto male di suo. Gli esteri sono qualcosa su cui si investe molto poco e il pubblico è stato anche poco educato a seguirli. Cioè, io lavoro in televisione, in un programma in prima serata, ma l’interesse verso gli esteri spesso è rivolto solo a situazioni in cui c’entra anche l’Italia. Quindi parlando di guerra, la verità è la prima vittima. E non è una frase fatta, ma è veramente così. All’estero in altri Paesi, sia sull’Ucraina, che su altre situazioni, i giornali americani per esempio, hanno un’impostazione completamente diversa e hanno fatto cose anche molto coraggiose. Infatti, a perdere l’accredito in Ucraina non fummo solo noi, ma anche un sacco di giornalisti americani, svedesi, danesi, francesi. Sono molto più coraggiosi all’estero e ci sarebbe da indagare tanto su quello che succede in Ucraina, anche solo nelle città. A Kiev, per esempio, mentre aspettavamo di essere espulsi, vedemmo che era pieno di uomini d’affari americani che stavano lì a firmare contratti per la futura ricostruzione. Ed è tema interessantissimo, perché già c’era e c’è gente che sta speculando sulle rovine che devono ancora finire di essere prodotte. E questo, peraltro, anche gli ucraini di Kiev lo vedevano, e non ne erano contenti. In Italia purtroppo per fare alcune inchieste abbiamo meno tempo, meno risorse e anche meno interesse, all’estero invece difendono i loro reporter. Ricordo il caso di una giornalista danese che fu cacciata perché era stata corrispondente da Mosca, prima di andare in Ucraina, ma in Danimarca aveva vinto premi di giornalismo importantissimi.
Quindi i reporter più coraggiosi sono stranieri, ma comunque non se la passano bene, dato che vengono criticati da entrambe le parti
Sì, ma questo anche io, che dai separatisti mi hanno proprio detto che non posso più tornare, perché sono sulla loro blacklist. Così come per gli ucraini sono considerato filorusso. È difficile uscire da questo binomio. È difficile spiegare che non sei né filorusso, né filoucraino, ma cerchi di fare il giornalista e raccontare la realtà per quello che è. E che non ti schieri automaticamente da una parte o dall'altra. Per quello si chiama tifoseria, non si chiama giornalismo.