Tra le tante mete da scegliere per le vacanze estive in Europa, per chi ha già visitato isole Baleari e Canarie, Costa Azzurra e Portogallo, Paesi scandinavi, ma anche Grecia, Croazia e Albania - dopo il grande e inaspettato successo dell’anno scorso - a circa 1400 chilometri dall’Italia (partendo da Milano), nella penisola Balcanica si trova Sofia, capitale della piccola e sconosciuta Bulgaria. La distanza tra Italia e Bulgaria è simile a quella che affrontano ogni anno migliaia di fuorisede del sud, per tornare a casa da Milano, raggiungendo le punte più estreme di Puglia e Calabria, per esempio. Un po’ come andare a Santa Maria di Leuca, non lontano da Gallipoli, oppure a Reggio Calabria, rispettivamente a 1115 e 1250 chilometri da Milano, per intenderci. O giusto un pochino più in là. Eppure, rispetto alla discesa nell’italico stivale, il panorama sociale, politico e culturale in Bulgaria, cambia radicalmente.
Siamo sempre e comunque in Europa, ma la lingua è slava, la moneta è il lev e la religione dominante è il cristianesimo ortodosso. Sofia e la Bulgaria intera, non sono mai state tra le mete più gettonate di viaggiatori e travel blogger, rimanendo fino a oggi avvolte dal mistero, quando non da sciocchi e confusi stereotipi sull’”Est”, arrivando a scambiare Sofia con Bucarest. Tuttavia, negli ultimi anni, anche grazie ai numerosi collegamenti con i voli low cost di Ryanair, EasyJet e Wizzair, proprio la Capitale bulgara ha guadagnato una sempre maggiore popolarità, diventando una meta turistica interessante e tutta da scoprire, al pari di Praga, Budapest e Varsavia, nella parte più a est dell’Europa orientale e dell’ex blocco comunista. Una piccola – ma necessaria – premessa, è che chi scrive questo articolo e ha affrontato questo viaggio è di origine bulgara: conosco la lingua, in Bulgaria ci sono nata e ho vissuto parte della primissima infanzia, conservando numerosi e piuttosto vividi ricordi, ma non ci ho mai vissuto e lavorato nell’età adulta. Così ho deciso di condurre una (ri)scoperta e personale, come una vera e propria turista con una prospettiva italiana, e anzi “milanese”.
Sofia: una città dinamica, vivace e... piena di italiani
Una volta arrivati a Sofia con un volo low cost al nuovo Terminal 2, dopo aver raggiunto il centro cittadino in metro in meno di 30 minuti – il biglietto costa solo 1.60 leva, la moneta locale, corrispondente a circa 0.82 centesimi di euro - le prime cose che colpiscono sono l’ordine e la pulizia delle immense strade. Tra i severi e imponenti palazzi di epoca socialista, oggi sedi del governo, l’architettura brutalista, le decine di chiese ortodosse di epoca medievale, bizantina e persino romana e tracia, la moschea e la sinagoga, con tutti i templi e le religioni una accanto all’altra, a 100 metri di distanza, l’incuriosito visitatore osserva una città accogliente, “ripulita” e persino maestosa, ben lontana dagli stereotipi di degrado, sporcizia, mendicanti, borseggiatori e delinquenza, che molti Paesi est europei ancora si portano addosso come stigma, dopo la crisi economica degli anni ‘90 (e se si può dire, meglio di molte zone centrali della stessa Milano, che negli ultimi anni non se la passa molto bene); ma ben lontana – e questo invece è una sorpresa personale, ma per questo anche più gradita – anche dalla Sofia che avevo visto e ricordavo nella mia infanzia e adolescenza negli anni ’90 e inizio 2000, o solo 10-15 anni fa. Sembra che negli ultimi trent’anni, dopo la caduta del muro di Berlino, dell’Urss di Gorbaciov e del regime comunista bulgaro di Todor Zhivkov, tutto sia cambiato. È in effetti vero che oggi la Bulgaria è parte dell’Unione europea (dal 2007), della Nato (già dal 2004) e dell’area Schengen (dal 2024). La liberalizzazione dell’economia e il capitalismo, tra inciampi e avanzamenti, hanno portato tantissime nuove aziende sul mercato bulgaro, con centinaia di catene e compagnie internazionali, fast food e persino brand che in Italia non sono (ancora, mai) arrivati.
Oltre a questo, poi, centinaia sono anche i ristoranti, i negozi di vestiti, i bar e le pizzerie, le concessionarie di auto e moto e persino le gelaterie “italiani” sulle strade centrali di Sofia. In alcuni casi sono tenuti da veri italiani traferitisi lì, in molti altri sono invece dei “fake italiani”, che testimoniano però l’ossessione bulgara (come per molti altri est europei) per la moda, la cucina e tutto ciò che è italiano, come simbolo di classe e stile. Non dovrebbe sorprendere allora scoprire anche che, nonostante, come annunciato, Sofia non sia tra le mete in cima alle classifiche di preferenza dei turisti italiani, sulle strade centrali di Sofia, almeno d’estate, si sente parlare italiano. E non solo qui e là, ma ovunque: a ogni angolo, in ogni visita guidata, in ogni locanda tipica, monastero, museo e pullman ci sono dei turisti italiani. (Anche quando i tuoi vicini di tavoli sono degli italiani un po’ cafoni che parlano inglese male e maltrattano i camerieri locali, purtroppo). Quando non è italiano è spagnolo, seguito da francese e russo, in un interessante mosaico che fa pensare che la Bulgaria diventerà una meta sempre più gettonata negli anni a venire (non appena qualcuno si prenderà la briga di farla scoprire al mondo). Perché la verità che la Bulgaria, e Sofia in particolare, andando a ritroso al passato comunista, i 500 anni di dominio ottomano, il potente Stato medievale dove fu inventato l’alfabeto cirillico, e ancora indietro fino all’epoca bizantina, romana e tracia, è stata ed è tutt’oggi un crocevia di lingue, popoli e culture, tra Occidente e Oriente. Non a caso è l’ultimo Paese europeo prima dell’Asia e della Turchia, del Mar Nero e del conflitto tra Russia e Ucraina e forse, metaforicamente, dell’esotico “ignoto”. Ma come se la passa la gente in Bulgaria? Come si vive? Qual è il clima politico e soprattutto, merita davvero una visita?
Un precario equilibrio politico: filorussi, antirussi e russi, ma anche liberali, occidentali e persino nazisti
Partirò con i fatti più sconvolgenti: se già molti analisti, giornalisti, storici e slavisti, ancora oggi faticano a capire e inquadrare lo spirito bulgaro, che da anni sembra conteso in una strana oscillazione tra i nuovi alleati occidentali e le vecchie amicizie con Mosca, ciò che si presenta concretamente davanti, perlomeno agli occhi di un attento osservatore, è ancora più bislacco e difficile da inquadrare in loco. In poco più di una settimana, passeggiando tra boulevard, monumenti, parchi e caffè, ho avuto modo di vedere genti “strane” e fatti a dir poco assurdi, come per esempio un gruppo di giovani neonazisti bulgari, con svastiche e croci celtiche che mi hanno a dir poco sconvolto – alla faccia di chi dice che i neonazisti non esistono e sono solo “propaganda del Cremlino” – imbrattare il centro di Sofia, in pieno giorno con cartelli e manifesti propagandistici, muniti di colla e soprattutto indisturbati. Di loro ho poi scoperto essere anticomunisti, con tanto di magliette con falce e martello sbarrati; molti sono però sorprendentemente filorussi, anche se alcuni sono 'semplicemente' nazionalsocialisti contro “tutto e tutti”, accesi solo da “interessi nazionali”. Ironia della sorte si chiamano “Gioventù per la Bulgaria”, non fosse per quelle disturbanti svastiche, per il fatto che hanno a malapena 13-20 anni e che frange tanto estreme non si erano mai viste nei decenni passati in Bulgaria per cui forse sarebbe opportuno in immediato intervento). Nella stessa settimana ho però visto anche: migliaia di russi (o perlomeno russofoni) letteralmente ovunque, tanto che tutta Sofia, così come molte alte città della Bulgaria, hanno a ogni angolo un negozio della catena russa “Berёzka” (“Piccola betulla” in russo) che spara a palla musica dark e new wave russa. Forse più che turisti, si tratta di russi e/o ucraini russofoni che, vista la vicinanza geografici con i rispettivi Paesi e la lingua relativamente simile, proprio a Sofia hanno trovato un possibile “rifugio” dalla guerra, gli uni accanto agli altri, al sicuro e soprattutto in Ue, in un Paese storicamente "amico", perlomeno se si pensa al passato comunista.
D’altra parte, però mi è anche capitato di essere imbruttita in un inglese maccheronico da un vecchio signore bulgaro che, avendomi scambiato per una qualsiasi turista “occidentale”, mentre fotografavo delle giganti statue di epoca socialista, ha iniziato a gridare che “This is from the Russian Occupiers”, mostrandosi molto contrariato, per cui ho preferito interrompere gli scatti e fingere di non capire la lingua. Poco distante però, ho trovato anche una scritta su un muretto di lamiera: “L’Urss è una forza di Dio” (clamorosa contraddizione in termini puramente ideologici, già che “Urss” e “Dio” non sono mai andati granché d’accordo) accanto all’ex monumento dell’Armata Rossa di Sofia, oggi smantellato, dismesso e recintato al pubblico per “lavori” (ma di cui non si sa se verrà davvero mai ripristinato) a dimostrazione dell’assoluta contraddizione e polarizzazione della popolazione e delle idee, che agli occhi di un italiano potrebbe ricordare il sentimento dei Paesi baltici da una parte, e alcune idee (incluse le frange più estreme) dei patrioti ungheresi dall’altra, anche se il tutto si contraddistingue per una specificità “bulgara”. Se già questo quadretto non fosse abbastanza confuso, agli antipodi più estremi tra una posizione politica e un’altra, nelle settimane della mia visita è caduto anche l’ennesimo governo bulgaro, arrivando a indire prossime elezioni a ottobre, per l’ottavo cambio di governo solo dal 2021 (di cui cinque sono stati governi tecnici) per cui, se anche è vero che sulla stampa italiana si parla di “maggioranze bulgare” sospette, ogni tanto, la situazione sociale e politica in Bulgaria oggi è talmente surreale, da risultare esilarante, quando non sinistra. Ma non finisce qui.
Scontro sulle questioni Lgbtq: i nuovi patrioti dell'ultra destra contro i liberali di sinistra filoccidentali
Se Sofia, città grande più del doppio di Milano, con una popolazione di circa 1.5-2 milioni di abitanti (un terzo di tutta la popolazione bulgara, che oscilla sui 6-7 milioni in totale) sembra essersi di fatto polarizzata, mostrandosi come emblema della difficile e strana convivenza tra nostalgici filorussi, comunisti, liberali filooccidentali (che invece sostengono l’Ucraina), e persino - purtroppo - neonazisti, negli stessi giorni della mia visita, oltre alla caduta del governo, l’8 agosto è stata approvata anche una nuova legge dal presidente Rumen Radev (presidente con un ruolo rappresentativo) “contro la propaganda LGBTQ+” nelle scuole materne ed elementari, dopo una proposta del partito di estrema destra bulgaro “Vazrazhdane” (“Rinascita” nda). La notizia non avrebbe di per sé importanza per un reportage “documentaristico”, non fosse che, passeggiando per il centro tra i monumenti, in un tardo pomeriggio di agosto qualsiasi, tra decine di turisti, Sofia si è riempita di migliaia e migliaia di poliziotti, con camionette, ambulanze, vigili del fuoco e spartitraffico, fino a una camionetta con mitragliatore sul tetto, che mi hanno allarmato non poco. Le ragioni di tutto ciò? Una schiera di controlli per una manifestazione in due fazioni: da una parte la sinistra, i liberali e i cittadini bulgari più filoccidentali, scesi in strada per opporsi alla legge “contro la comunità LGBTQ+” al grido di “Sofia non è la vostra città” e “Sofia non è una città ostile”; dall’altra parte invece, i patrioti, i nazionalisti, e soprattutto il partito Vazrazhdane, al grido di “Giù le mani dai nostri bambini”. Notevole il fatto che i manifestanti, da entrambe le parti, fossero talmente pochi e composti, da vedere in effetti più poliziotti che altro, tanto che un manifestante per la strada ha anche esclamato: “Noi bulgari siamo così, nessuno fa mai niente e alle manifestazioni c’è più polizia che manifestanti, fino a che non diventa una questione di vita o di morte”.
La parte più “comica” – se così si può dire - dell’intera vicenda è stata però nel fatto che, non essendo io a conoscenza della manifestazione mi sono ritrovata per caso a essere nel “lato” dei manifestanti di destra, chiedendo a quello che pensavo essere un comune passante: “Mi scusi, ma perché c’è tutta questa polizia, cosa sta succedendo?” e ricevendone come risposta “Noi siamo i patrioti del partito Rinascita, siamo qui per loro (indicando l’altro corteo), contro la propaganda gender europea nelle nostre scuole” chiedendomi poi da dove venissi, e riassumendo che, secondo lui “Milano è troppo piena di neri e noi siamo contro i migranti”. Insomma, non fosse che questa è la pura, semplice e bislacca realtà dei fatti, sarebbe una divertente scena da film tragicomico, con diversi picchi di brividi. Certo è che tutti quegli altri turisti italiani, spagnoli e francesi, ammaliati dalle bellezze e dai contrasti di Sofia, non possono certamente raccontare di aver vissuto un’esperienza simile. Anche un ragazzo bulgaro-americano (emigrato da anni, come me) ha chiesto per strada, accanto a me, cosa stesse succedendo, arrivando poi a commentare: “Non ho mai visto così tanto odio”.
Storia, cultura e accettazione del passato
Tralasciando però per un attimo la politica, i gelidi contrasti, i pericolosi estremisti, le nostalgie comuniste e – duole ripeterlo – quelle neonaziste (che per fortuna sono solo un minuscolo cortocircuito, almeno per ora), come si vive dunque a Sofia? Il centro di “Serdika”, nome antico di Sofia, con gli scavi e le rovine dell’antico anfiteatro e le chiese paleocristiane, il boulevard centrale di Vitosha, con i suoi bari, i locali e le librerie, la pinacoteca nazionale nella sede dell’ex Palazzo Reale, la cattedrale di Aleksandr Nevsky, e i tanti murales per le strade, sono un interessante universo da scoprire, soprattutto agli occhi di un turista occidentale, già che della ricca storia e cultura bulgara, in Italia si sa poco e niente. Il cibo costa ancora sorprendentemente poco (circa 10-12 euro a persona per due portate nella maggior parte dei ristoranti) e la cucina balcanica è ottima, con piatti che ricordano le vicine Grecia, Turchia e tutti i Paesi della ex Jugoslavia, in un tripudio di spiedini, verdure, formaggi, sformati e torte salate e la famosa “Shopska salata”, un’insalata tricolore (la bandiera bulgara ha gli stessi colori di quella italiana) tra pomodori rossi, cetrioli verdi e formaggio bianco grattugiato, simile alla feta.
Ogni giorno decine di guide e tour attraversano il centro passando dalla chiesa di Santa Domenica (“Sveta Nedelya”), famosa perché proprio lì nel 1925 un’organizzazione comunista fece uno degli attentati terroristici più grandi d’Europa allo scopo di uccidere il re Boris III (fallendo, tra l’altro, perché come in una barzelletta in re era in ritardo e dunque mancò l’appuntamento con la propria morte, uccidendo però centinaia di civili innocenti). Tra le tante statue di leoni, animale simbolo della Bulgaria, tram e gatti randagi, l’atmosfera è vivace e moderna, colma di un sentimento di tolleranza, nonostante tutto. I bulgari a primo impatto possono sembrare burberi, ma non appena entrano un pochino in confidenza, sono estremamente gentili e amichevoli. Oggi molto più che in passato.
L’unica questione enigmatica, rimane allora, però, comprendere davvero a fondo cosa animi questo spirito bulgaro, tanto infervorato, soprattutto su alcuni temi politici del recente passato. E non è un’impresa affatto facile, nemmeno per una come me, che capisce la lingua e conosce la storia di questo Paese, che oggi appare più spaccato che mai, soprattutto nel rapporto con la Russia e l’Occidente. Se da una parte con la valorizzazione di alcuni nuovi musei, come il museo dell’arte socialista e il museo Red Flat (un appartamento arredato come la casa di un bulgaro medio nella Repubblica Popolare di Bulgaria degli anni ’80, dove è possibile vedere, toccare, ascoltare, annusare e assaggiare, tanti oggetti, cibi, musiche, libri, dischi e semplici “pezzi” della quotidianità di quel periodo di transizioni) si è iniziato un percorso di accettazione del passato, con tutte le nuove fasce di estremismi, soprattutto di destra – che la Bulgaria non aveva mai davvero conosciuto nel secolo scorso – ci si chiede quale possa essere l’epilogo. La speranza è che questo piccolo Paese, con una piccola popolazione, decine di chilometri quadrati di foreste vergini e una densità abitativa bassissima (67 abitanti per chilometro quadrato, rispetto ai ben 196 dell’Italia) possa rimanere fedele a sé stesso e alla sua storia, non cercando di assomigliare a tanti esempi negativi ed estremi, che animano altri Paesi dell’ex Patto di Varsavia, ma rimanendo così com’è: un Paese autentico, nonostante tutti gli strappi politici, che i turisti occidentali ed europei, seppur vicini geograficamente, stanno scoprendo solo ora.