Nell’ultima settimana una delle questioni più dibattute e problematiche a proposito della guerra in Ucraina è diventato senza dubbio il tema delle armi. L’Ucraina, infatti, come è ormai noto, si è trovata in grave svantaggio rispetto all’invasione russa che continua ad avanzare senza sosta proprio a causa delle serie difficoltà sull’approvvigionamento di munizioni, tanto che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha pubblicamente espresso le difficoltà dell’esercito: “La difesa aerea si sta esaurendo, se i russi continuano a colpire l’Ucraina ogni giorno come hanno fatto nell’ultimo mese, potremmo rimanere senza missili e senza aiuto l’Ucraina perderà la guerra”, cui si è aggiunto anche il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba che ha ribadito anche al Finacial Times che “I soldati ucraini vengono attaccati in modo costante da bombe aeree guidate che spazzano via le nostre posizioni”.
Del resto, il problema dell’approvvigionamento di armamenti non è affatto nuovo per l’Ucraina, ma anzi, è sempre stato al centro di diversi dibattiti, con posizioni talvolta divisive anche in Italia, che pur resta fra i Paesi alleati di Kiev, soprattutto dopo l’accordo bilaterale stipulato fra la premier Meloni e Zelensky lo scorso febbraio. Eppure, oltre all’Italia, il sostegno cruciale della Francia – e in particolare quello di Emmanuel Macron, pronto a intervenire anche direttamente sul suolo ucraino – e quello della Germania di Scholz, che negli ultimi due anni ha rifornito l’Ucraina di carri armati Leopard, probabilmente nessuno sa che in Europa, all’interno dell’Ue, ci sia un nuovo e totalmente insospettabile arsenale, pronto a schierarsi a sostegno di Kiev. Ma di chi stiamo parlando?
L'insospettabile arsenale della Bulgaria
La Bulgaria, piccolo Paese dell’area balcanica, ai limiti dell’Europa orientale, parte dell’Ue 2007, così come della Nato già dal 2004, da quest’anno parte anche dello spazio Schengen (cosa che aveva anche suscitato le polemiche di Austria e Paesi Bassi negli scorsi anni, che rifiutavano l’entrata del Paese nella libera area di circolazione a causa dell’immigrazione illegale sulla rotta balcanica) silenziosamente e inaspettatamente è diventata cruciale per l'approvvigionamento di munizioni dell'Ucraina. Proprio la Bulgaria, Paese ex comunista, parte dell’ex Patto di Varsavia, Paese ex “sovietico” - pur senza essere mai stata, per davvero, parte dell’Unione sovietica, ma la cui vicinanza a Mosca è sempre stata massiccia in ogni aspetto della vita pubblica, non solo politica, ma anche culturale, fino agli anni Novanta – proprio la Bulgaria, di cui anche i migliori analisti, giornalisti e storici occidentali, non riescono quasi mai a decifrare le posizioni rispetto alla Russia di Putin, di cui talvolta appare ancora come alleata, e talvolta come totalmente distante. Da che parte sta la Bulgaria? In sordina, e senza che nessuno se ne accorgesse, la Bulgaria negli ultimi due anni è diventata una nuova e prolifica gigantesca fabbrica di armi, cruciale e centrale per il rifornimento dell’Ucraina. Considerando che chi scrive questo articolo ha la fortuna – o sfortuna, a seconda dei punti di vista – di poter analizzare i dati di ricerca e la stampa bulgara, i numeri del riarmo sono a dir poco impressionanti.
Per cominciare, secondo lo Stockholm International Pece Research Institute l’industria bellica della Bulgaria ha visto un aumento dell' import e soprattutto dell' export di armi in favore dell’Ucraina di oltre il 900% entro il 2023, con almeno 20.000 operai impiegati nelle fabbriche di armi a dicembre 2023, saliti negli ultimi mesi fino a 70.000 per quanto riguarda la produzione diretta, che arrivano in realtà oltre 200.000 se si considera la produzione indiretta legata alla lavorazione delle materie prime. Questi numeri potrebbero a primo impatto non suscitare un granché per un lettore italiano, ma si tratta in realtà di dati sconvolgenti, se si considera che la popolazione bulgara attuale è di soli 7 milioni scarsi e che, fino all’invasione russa del 24 febbraio 2022 la Bulgaria possedeva a malapena qualche centinaio di proiettili, poche decine di vecchi e arrugginiti tank di epoca sovietica e solo due aerei militari in totale. Nell’ultimo anno, al contrario, l’industria bellica è arriva a pensare fino al 2% sul Pil bulgaro, con oltre 1,6 miliardi di euro di guadagni nel 2023, già saliti e ben 7 con gli ultimi accordi stipulati lo scorso febbraio 2024, proprio per sostenere l’approvvigionamento dell’Ucraina.
Quali armi produce la Bulgaria e perché è cruciale per l’Ucraina, rispetto ad altri Paesi?
La Bulgaria è impegnata in particolare nella produzione di razzi di tipo 5V55P, carabine e fucili leggeri C300, e un particolare calibro di proiettili di 122 millimetri utilizzati in Ucraina, che hanno la singolare caratteristica di essere stati inventati in epoca sovietica, per cui la Bulgaria è diventata uno dei pochi Paesi europei (per non dire l’unico, se si esclude ovviamente la Russia), ancora in grado di produrli per rifornire Kiev, in funzione antirussa. Uno degli aspetti più sorprendenti dell’intera vicenda, difatti, non è solo l’incredibile aumento della produzione, quanto anche il fatto che per sostenere il riarmo, si sia arrivati persino a riaprire alcune fabbriche di proiettili chiuse oltre 35 anni fa, in epoca comunista, quando un conflitto sul suolo europeo era quanto mai inaspettato.
Lo scorso 16 febbraio 2024, in particolare, la Bulgaria si è impegnata nella produzione e rifornimento dell’Ucraina di almeno 120.000 proiettili entro la fine del 2024, dietro a un corrispettivo di 7 miliardi, cui alcuni insider riferiscono alla stampa bulgara, sarebbero stati pagati direttamente dalla Germania. Le fabbriche di armi, dove, come anticipato, sono impegnate decine di migliaia di persone, hanno infatti visto un aumento dei guadagni in alcuni casi oltre l’830%, anche dopo aver intensificato al massimo i ritmi di lavoro, che dall’estate 2023 sono passati a 24 ore su 24, con cicli continui, senza alcuna interruzione. Le fabbriche più massicce sono in particolare quelle delle città Ruse, Sopot e Kostenec (solo per citarne alcune, ma sono molte di più), chiusa, proprio quest’ultima, fino allo scorso anno dal lontano 1988. Le ragioni di tutto questo sono intuibili: la vicinanza geografica della Bulgaria senza dubbio agevola la consegna di armamenti dal punto di vista logistico, trovandosi il Paese dall’altra parte della sponda del Mar Nero, rispetto all’Ucraina; oltre a questo si aggiunge poi l’eccezione di poter garantire la produzione di rari componenti e proiettili di epoca sovietica, difficilmente reperibili e replicabili in altri Paesi europei, oltre alla sempre maggiore volontà del governo bulgaro di mostrare il proprio sostegno all’Ucraina all’interno dell’Ue, risultando in realtà convincente solo a intermittenza, per non dire “a singhiozzo”, anche visto che la Bulgaria è più volte stata definita come Stato “doppiogiochista” anche dalla stampa italiana, proprio per il fatto di essere sempre a metà fra la reale vicinanza all’Ucraina e la presunta segreta fedeltà di alcuni politici a Vladimir Putin e alle sue idee.
Forse alcuni ricorderanno anche la bizzarra vicenda di un pope ortodosso bulgaro che, in occasione della visita di Zelensky in Bulgaria lo scorso luglio 2023, scese in strada per cercare di “fermare” le auto che trasportavano la delegazione ucraina, in visita proprio per discutere a proposito del rifornimento di armi, al grido di “Maledezione a Zelensky e tutti i fascisti! L’omino ucraino che uccide i figli spirituali ortodossi” suscitando l’imbarazzo del governo bulgaro dell’allora premier Nikolaj Denkov che ha sempre manifestato la sua vicinanza all’Ucraina e in particolare a Volodymyr Zelensky.
Spie russe nella chiesa ortodossa bulgara
Del resto non è la prima volta che la chiesa ortodossa bulgara si intromette ed esprime posizioni contrastanti sulla questione Russia-Ucraina, dato che solo pochi mesi dopo la “maledizione” del sacerdote rivolta a Zelensky, e soprattutto l’avvio del massiccio riarmo, la chiesa ortodossa bulgara era finita al centro di un altro scandalo, legato, in quel caso, alla presunta presenza di spie russe (di nazionalità però bielorussa) fra le file di sacerdoti di una centralissima chiesa della Capitale Sofia. La chiesa in questione è quella di San Nicola Taumaturgo - chiamata dai cittadini semplicemente “Chiesa russa” perché fondata da sacerdoti russi - uno storico tempio e monumento, oltre che meta turistica, in passato aperto e frequentato da centinaia di fedeli russi e bulgari, che era stato chiuso dal governo lo scorso settembre 2023 in seguito a un’indagine delle autorità bulgare, affiancate dal Patriarca e dal Santo sinodo, per essere diventata una presunta enclave di “spie russe”. Secondo l'accusa, i sacerdoti coinvolti avrebbero infatti cercato per mesi di raccogliere dati sulla popolazione per riportarli direttamente al Patriarca e al governo di Mosca, per cui a settembre erano stati espulsi dal Paese.
Ma fra la questione delle armi, avviata la scorsa estate e significativa più che mai oggi e gli scandali della chiesa ortodossa bulgara, da che parte sta allora, la popolazione, in tutto questo caos? La verità è che una vera e propria risposta non c’è, perché la Bulgaria, da sempre, si trova in una posizione controversa, indecisa e polarizzata fra i due fuochi, fra Occidente, di cui in fa ormai parte, e Russia, con cui ancora fatica a chiudere l’imponente passato. Così quando la "Chiesa russa” di San Nicola venne chiusa a settembre, e allo stesso modo quando a dicembre venne rimosso anche il vecchio monumento sovietico all’Armata rossa da Sofia, centinaia di cittadini bulgari festeggiarono con cartelli e manifestazioni, felici di liberarsi della perenne e imponente “ingerenza straniera” di Mosca. D’altra parte, ci furono anche - così come ci sono ancora oggi - altrettante centinaia di cittadini indignati e in disaccordo tanto con la rimozione del monumento, quanto con la chiusura della chiesa, che crearono persino dei “cordoni di preghiera”, chiedendo a gran voce la riapertura del tempio per i fedeli, a prescindere dalla nazionalità dei sacerdoti. E a proposito delle armi allora?
Gli ultimi dati disponibili sulla popolazione indicano che solo il 31% dei cittadini sarebbe d’accordo con il riarmo e il rifornimento di munizioni all’Ucraina, ma non sono, in realtà, della medesima idea né il ministro degli Esteri Stefan Dimitrov, né quello dell’economia Bogdan Bogdanov, che invece sostengono il successo della massiccia impresa, non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto da quello politico, essendo il Pase parte dell’Ue e soprattutto dell’Alleanza atlantica. La questione del riarmo resta però, comunque, un tema molto ostico, dato che oltre alla notevole scommessa in termini economici, la crescita del Pil e la creazione di migliaia di posti di lavori, ci si chiede, quale sia la posta in gioco, in un coinvolgimento così diretto nello scontro con la Russia.
Se fra i giovani bulgari c’è un sentimento di assoluta condivisione dei valori occidentali e un’idea di vicinanza e fratellanza con il popolo ucraino, che ha bisogno di aiuto, ora più che mai, dall’altra parte, fra molti cittadini bulgari della generazione più anziana, quella vissuta sotto il comunismo di Todor Zhivkov, prevale l’idea esattamente opposta, dato che rimangono tutt’ora nostalgici e contrari a tutte le iniziative “antirusse”. I cittadini nostalgici si accaniscono in particolare contro la chiusura della chiesa di San Nicola, contro la rimozione dei monumenti di epoca sovietica e contro il rifornimento di armi, ma non vedono di buon occhio nemmeno l’accoglienza dei profughi ucraini, arrivati a migliaia in Bulgaria negli ultimi due anni. Eppure, nonostante le proteste e le modeste condizioni di vita che la Bulgaria ha da offrire, il Paese è diventato comunque un “porto sicuro” in cui rifugiarsi per migliaia di ucraini, nonché un luogo dove cercare di ricostruire una vita dopo la guerra, anche grazie alle similitudini culturali e linguistiche (essendo bulgaro e ucraino entrambe lingue slave) e al passato “sovietico” comune.
Tornando invece al tema della armi, non si può certo dire che la Bulgaria sia oggi al centro del conflitto, eppure, il fatto che un Paese di periferia dell’Ue, come lo è di fatto la Bulgaria, le cui decisioni solitamente non hanno alcun peso sullo scacchiere internazionale, abbia deciso, dopo decenni di pace, di riarmarsi e soprattutto armare in modo così massiccio l’Ucraina, voltando, di fatto, le spalle a Vladimir Putin - cui fino a pochissimi anni fa mostrava ancora fedeltà - è significativo. Il fatto che l’Italia sia, secondo diverse fonti e classifiche, al primo posto fra i Paesi europei nella produzione e vendita di armi, seguita da Francia e Germania, e che ovunque sia diventato persino “normale” parlare di una corsa agli armamenti – anche dopo quello che è successo fra Iran e Israele lo scorso week end – ha un risvolto piuttosto sinistro e inquietante rispetto a quello che potrebbe essere il futuro dell’Europa nei prossimi decenni; e se il futuro e la sicurezza del popolo ucraino sono, in questo momento, più che mai a rischio, c’è sempre più timore, forse non più così ingiustificato, che lo stesso scenario possa estendersi anche noi nei prossimi anni. La speranza è sempre quella di sbagliarsi.