“La paura rende solo peggiore la tua vita. Se stai già facendo quello che stai facendo, devi esserne consapevole. O scegli di non fare niente e giocherelli con i coniglietti agli spettacoli per bambini, oppure vai fino in fondo.” Questo messaggio, in una surreale traduzione letterale che suona oggi come un sinistro monito, è stato scritto recentemente dalla giornalista e fotografa russa Antonina Favorskaya, un’autrice e reporter della testata russa indipendente e antiputiniana SOTAvision. Il nome di Antonina Favorskaya è divenuto tristemente noto nell’ultima settimana anche sulla stampa italiana e internazionale, dopo che lo storico quotidiano Novaya Gazeta - dove a suo tempo lavorava anche Anna Politkovskaya, e da sempre in prima linea per riportare un’informazione libera, trasparente e affidabile sulla Russia - ha riferito che la giovane giornalista, nota in patria negli ultimi anni soprattutto per la sua vicinanza, i suoi studi e i reportage sul caso Alexei Navalny, è stata detenuta dalla autorità russe.
Il motivo dell'arresto, che pur non trova ancora una vera spiegazione logica, sarebbe infatti proprio la sua “pericolosa” e costante vicinanza al dissidente politico russo, scomparso lo scorso 16 febbraio. Tonja, come viene chiamata la donna dai suoi amici e colleghi, e come viene affettuosamente descritta anche sulle colonne della Novaya Gazeta, era infatti non solo molto vicina, ma in stretto contatto con Navalny fino alla fine e anche dopo la sua inaspettata morte. Fu proprio Tonja tra le ultime persone a vederlo e riprenderlo ancora in vita, negli ultimi filmati risalenti al 15 febbraio, quando l’uomo si trovava prigioniero, in condizioni precarie, nella colonia penale di massima sicurezza IK-3 “Lupo polare” nella località estrema di Charp; e fu poi sempre lei, Tonja, a voler per prima indagare sulla sua misteriosa morte, così come a voler testimoniare in rete la vicinanza dei molti cittadini moscoviti, recatisi a centinaia al funerale di Navalny e al cimitero nei giorni successivi, in massicce file con l’unica intenzione di porgergli omaggio e un ultimo affettuoso saluto.
Anche il 17 marzo, come ogni giorno, Antonina Favorskaya si era recata al cimitero dove riposa Navalny, con lo scopo di scattare alcune fotografie e condurre indagini da riportare nelle sue ricerche. Nel pomeriggio però, mentre si trovava in un bar con alcune amiche e colleghe, fra cui la giornalista Anastasija Musatova, è stata fermata dalle forze dell’ordine, che, dopo averla interrogata in modo aggressivo, averle strappato il telefono dalle mani, intimidendola per star “conducendo attività giornalistica illecita”, l’hanno infine accusata – senza una reale motivazione, anche da quanto indicano gli altri testimoni presenti – di opporre resistenza e soprattutto di portare avanti un’“attività estremista”, per via delle sue iniziative legate al Fondo Anticorruzione (FBK Fond Borby S Korrupciey) - un fondo creato nel 2011 proprio da Alexei Navalny e definito poi come “organizzazione estremista” nel 2021 - per cui è stata sottoposta a 10 giorni di arresto.
Dopo il primo arresto, le autorità russe hanno inoltre voluto perquisire la casa della donna, così come la casa dei suoi genitori, allo scopo di trovare prove della sua presunta e illecita “attività estremista”. Diversi amici e giornalisti sono andati nel frattempo a trovarla, presso il centro di detenzione temporanea in cui è stata rinchiusa, ma anche loro sono stati interrogati ed è stato anche impedito loro di riprendere o registrare qualsiasi conversazione o testimonianza audio o video sulle sue condizioni.
Il caso Antonina Favorskaya, non è però, purtroppo, un caso isolato, ma anzi, si aggiunge a decine di altre vicende simili, di intimidazioni, repressioni e arresti verso giornalisti, reporter, ma anche semplici cittadini russi, che negli ultimi due anni hanno cercato di smontare parte della propaganda putiniana sulla guerra in corso in Ucraina, oppure semplicemente vicini alle idee di Navalny.
Non si sa, purtroppo, cosa accadrà davvero ad Antonina Favorskaya; se verrà rilasciata o condannata a una pena più severa, come la collega Marina Ovskyannikova - condannata a 8 anni e mezzo per aver “diffuso informazioni false sulla guerra”, dopo che aveva interrotto la diretta di un tg russo con un cartello che recitava “No alla guerra!” Nel 2022 – o se verrà risparmiata, ma i suoi colleghi e i suoi cari, temono per il suo destino, dato che potrebbe rischiare fino a 6 anni di carcere. Tuttavia, lei, in uno dei suoi ultimi messaggi, riportato anche dalla Novaya Gazeta ha detto: “Chiedo a tutti coloro che sono venuti in tribunale: qualunque cosa accada dopo, qualunque cosa venga dopo, non abbiate paura per me, non ho paura di nulla e, come Alexei, ho deciso di non aver paura di nulla”.