Sono già passati quattro giorni dall’attentato terroristico dello scorso venerdì 22 marzo a Mosca, ma, se ancora non è ben chiaro cosa sia successo esattamente, la notizia, o meglio, l’immagine del giorno è una: quella dei presunti terroristi e la sua spettacolarizzazione sui media. Arrestati quasi immediatamente dalla polizia russa, sono stati brutalmente picchiati, torturati, a uno di loro è stato tagliato un orecchio - e in un macabro e disgustoso video che gira da giorni sul web, si vede come dopo l’amputazione viene anche forzato a mangiarlo – sono stati colpiti da elettroshock alle parti intime, seviziati durante gli interrogatori a porte chiuse e fotografati col volto tumefatto. Tutto questo fa certamente orrore, ed è vergognoso, ma nessuno, forse nemmeno fra i maggiori giornalisti e analisti della stampa italiana, si rende conto di una cosa: la divulgazione di quegli orridi filmati, lo sbattere in prima pagina le immagini di quei volti tumefatti è una forma esposizione e di propaganda, così come lo è la scelta di presentare, volutamente, queste immagini all’opinione pubblica da parte del Cremlino, in primis. Il fatto però, è che oltre all’elevato numero di vittime dell'attentato – si parla di oltre 150 – di quella sera al Crocus City Hall, non ci sono ancora vere certezze su quello che è realmente accaduto e soprattutto, su cosa e chi ci sia dietro, oltre all’Isis-K, e la presunta “pista ucraina” denunciata da Mosca. Come ha detto anche Fiorenza Sarzanini domenica scorsa a Che Tempo Che Fa: “Non sappiamo tutto di questo attentato, perché comunque ci sono delle cose che sono strane, come per esempio il fatto che questi attentatori raccontino di essere stati pagati 5000 euro, e in genere non è così”, e in effetti, quando mai prima d’ora, si è sentito di fanatici dell’Isis che agiscono come mercenari pagati?
Oggi la stampa, tutta la stampa, sceglie di affrontare il tema e parlare dei terroristi, e soprattutto, delle violenze fatte ai terroristi, perché, pur nell’incertezza si cavalca l’onda di questa orribile notizia. Il fatto è che così, si cade in un sciocco tranello: quello di fare lo stesso gioco di Putin, ovvero, di perpetrare la propaganda della sua propaganda, in cui improvvisamente, diventa cruciale per noi provare empatia per dei presunti terroristi e assassini, proprio per dimostrarci "diversi". Putin certo non è nuovo alla propaganda, anzi, ne fa uso da sempre. Ne ha fatto uso nella costruzione del suo personaggio, nella sua politica, nel rivolgersi al suo popolo e soprattutto nei suoi discorsi, dove mantiene sempre un certo tono, pacato e misurato, e dove esordisce sempre con una frase cordiale “Cari amici”. Per quanto sia un leader autoritario che molti rispettano e soprattutto, che tutti temono (anche che altrettanti sono anche quelli che lo disprezzano) è uno che quando deve apparire, prende tempo, probabilmente riflette sulle sue azioni e valuta come agire. È un calcolatore in questo, e dunque non improvvisa mai. Del resto, conviene ricordarsi che è anche un ex agente del Kgb, che da giovane faceva la spia in Germania, a Dresda, e dunque non solo è bravo a parlare, ma aspetta il momento giusto per farlo, perché è un furbo osservatore. Ne è una dimostrazione il fatto che non ha mai nominato il nome di Alexei Navalny per settimane dopo la sua morte, ma ha aspettato il “momento giusto”: durante il suo grande trionfo alle elezioni presidenziali dello scorso 17 marzo, dove, fra voti farlocchi, ma anche veri sostenitori, ha dimostrato la sua “potenza”, come a dire che nessuno può metterlo in discussione.
Anche per l’attentato a Mosca di venerdì scorso ha aspettato. Ha preso tempo per capire cosa stava succedendo (o forse per darci questa idea?) e ha atteso 20 ore prima di fare il suo primo discorso pubblico sabato. Un discorso in cui, in realtà, non ha rivelato niente di nuovo, dato che ha ripetuto le parole dell’Fsb, ovvero che sono stati arrestati 11 terroristi (oggi saliti a 14) “in fuga verso l’Ucraina”. In quell’occasione si è però concentrato su un punto, che è proprio quello cruciale in cui emerge il suo modus operandi: ha ripetuto che chi è colpevole di colpire la nazione e il popolo russo, verrà severamente punito. Forse un’ovvietà, ma è da notare che in quel punto, solo in quel punto in tutto il discorso, ha mostrato un tono più duro, di rabbia e risentimento; ma per il resto del discorso, è apparso come una strana figura paterna che si rivolge alla nazione – in questo si comporta sempre più come Stalin – che vuole rincuorare il suo popolo ferito, proprio come cercava di fare Stalin coi suoi annunci in radio, durante la Seconda guerra mondiale.
Ora l’Fsb, i vertici del Cremlino, gli organi di sicurezza interna e la Russia intera son stati colpiti da dentro, nel profondo, perché si sono dimostrati deboli e inefficaci. Nel è venuta fuori un’immagine diversa della Russia, che nonostante la sua chiusura, non è più così sicura come si pensava e, proprio per questo motivo entra in gioco, di nuovo, la propaganda a ristabilire l’ordine. Le agenzie di stampa russe stanno sbattendo in faccia all’opinione pubblica e al mondo intero i volti tumefatti dei terroristi, picchiati, seviziati e amputati, e vedendoli, anche le nostre agenzie di stampa, seguendo a ruota quelle russe, li sbattono dappertutto, per cui molta gente ne prova pietà e si dispiace, si indigna e prova persino empatia. Ma se quella usata dalla Russia di Putin è una forma di propaganda, per dare in pasto al popolo dei volti sui cui scatenare l’ira per il dolore delle vittime, perché oggi tutto il mondo occidentale prova pietà? Ovviamente, la tortura non è mai giustificata ed è abominevole, ma chi oggi prova pietà, forse non fa i conti con il fatto che si parla di terroristi? E soprattutto, se tutta questa vicenda fosse accaduta altrove, in un Paese occidentale, siamo davvero certi che l’atteggiamento sarebbe stato tanto diverso? Solo in Italia nei decenni, ci sono stati tantissimi casi di maltrattamenti, violenze, botte e sevizie in carcere, anche nei confronti di detenuti non ancora giudicati colpevoli; e allargando il campo, lo stesso accade non solo nelle carceri italiane, ma in quelle ungheresi - con il caso di Ilaria Salis - in quelle romene - con Filippo Mosca - in quelle americane e inglesi - basti pensare a Julian Assange e la sua estradizione e, tornando invece in Italia, forse ci si è dimenticati poi di un altro caso di cronaca di qualche anno fa, in particolare del 2016, quando il killer Anis Amri, dopo aver commesso un attentato terroristico a Berlino, fuggì proprio in Italia e venne freddato sul posto dalla polizia di Sesto San Giovanni, quindi proprio qui, da noi (e non in Russia). Ma se quella di Putin è senz’altro una forma di propaganda, visto che vuole mostrare la rabbia e i denti al suo popolo, scatenandosi sugli arrestati come fossero “vittime sacrificali”, conviene ricordare anche che quegli assassini, vittime non lo sono. E se anche fanno orrore e ribrezzo le immagini di quelle violenze – che sono ingiustificabili, se ci si vuole definire persone del mondo civilizzato – bisognerebbe razionalmente ammettere che lo stesso potrebbe accadere se l’evento accadesse da noi, in Italia o in altro Paese occidentale, magari per esempio gli Usa dove è tristemente nota la violenza delle forze dell’ordine verso gli stranieri o i cittadini di colore (già che anche in questo caso, in Russia, si parla di cittadini stranieri, dato che i presunti attentatori sono tagichi) e non pensare che solo i russi sono dei mostri per come trattano i loro detenuti, già che tutti abbiamo visto com'è stata trattata Ilaria Salis in Ungheria, come viene ancora trattato Julian Assange nel Regno Unito e come venne ridotto e ucciso Stefano Cucchi da noi, in Italia. Se non si realizza questo, si scende, anche noi, in una bassa propaganda sulla propaganda della propaganda e ci si riduce a fare lo stesso gioco: quello di Putin.