Questo fine settimana le terrificanti immagini di quanto accaduto al centro commerciale Crocus City Hall di Mosca lo scorso venerdì 22 marzo hanno fatto il giro del mondo. A distanza di quasi nove anni da quel tragico 13 novembre 2015, in cui al concerto al teatro Bataclan 130 persone persero la vita per mano dell’Isis, ci eravamo forse illusi di aver accantonato e messo da parte per sempre lo spettro del terrorismo islamico dall’Europa, ma oggi emerge che forse, ci eravamo ingenuamente illusi e sbagliati. È vero, la Russia di oggi e la glaciale Mosca, sono ormai a un abisso di distanza dal mondo occidentale, per cui viene persino difficile considerarli ancora Europa, ma l’orrore delle immagini del Crocus ha sbattuto a tutti noi in faccia una grande verità: la Russia, per quanto distante, inaccessibile e invalicabile, non è più così sicura come si pensava. Chi si nasconde davvero dietro a tutto ciò? Le notizie si susseguono da due giorni a cascata, con aggiornamenti costanti, a ogni minuto e ogni ora, e se colpisce sempre più il gran numero di vittime – ormai oltre 150, fra cui alcuni anche alcuni bambini – oltre alla rivendicazione ufficiale dell’Isis e l’arresto, confermato dalla stessa Fsb (Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa) e da Putin, di 11 presunti attentatori coinvolti, si stanno facendo largo sempre più strane e singolari ipotesi alternative, accuse e pericolose dietrologie. Se i media del governo russo, come Tass, Sputnik e RIA Novosti hanno annunciato l’arresto dei possibili colpevoli - e sono anche circolati gli abominevoli video della mutilazione di uno dei coinvolti, a cui è stato tagliato l’orecchio - per il Cremlino la pista Isis Khorasan sembra comunque ricondurre a Kiev e la narrazione, sempre più allarmante, diventa diametralmente opposta tanto a quella occidentale, quanto a quella degli altri media russi, quelli indipendenti e “antiputiniani”, che portano invece una versione più cauta, dal celebre periodico della Novaya Gazeta, del Premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov e dove a suo tempo lavorava anche Anna Politkovskaya, agli altri quotidiani online come Meduza, che ha sede a Riga, MediaZona legato al collettivo PussyRiot e molte altre voci alternative attive soprattutto su Telegram, come Astra, realtà indipendente nata dopo lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022.
Se nel suo discorso di sabato 23 marzo Vladimir Putin ha ripetuto le parole dell’Fsb, ovvero che sono stati arrestati 11 sospettati, fra organizzatori ed esecutori materiali dell’attentato, che secondo le loro indagini stavano tentando una fuga in Ucraina dove “avevano una finestra e una via di fuga”, a preoccupare ancora di più sono in realtà i commenti dei vari opinionisti e politici russi, fra cui per esempio Maria Zacharova, portavoce del ministro degli Esteri russo, che ha dichiarato: “La questione principale è che le autorità americane non devono dimenticare come le loro fonti informative e politiche hanno collegato i terroristi che hanno commesso la sparatoria al Crocus City Hall con l'Isis, un'organizzazione terroristica vietata. Ora sappiamo in quale paese questi mostri feroci intendevano nascondersi dalla persecuzione: l’Ucraina. Lo stesso paese che, con l’aiuto dei regimi liberali occidentali, negli ultimi dieci anni si è trasformato in un centro del terrorismo in Europa, superando persino il Kosovo nella sua frenesia estremista”.
Abbiamo provato anche a fare un esperimento piuttosto singolare, cercando di seguire meticolosamente la cronaca di Mosca da “dentro”, pur restandone ovviamente fuori, in Italia, già che i mezzi informatici lo permettono, e abbiamo visionato per qualche ora alcuni telegiornali e talk show russi, i famosi “programmi di regime” che si dice siano cruciali per condizionare l’opinione pubblica e la popolazione russa più anziana, fra il Pervij Canal (‘canale uno’, la televisione di Stato) o il canale Russia 1. Nel servizio di un reportage sul posto, dove vengono mostrate le macerie del Crocus e i segni del massiccio incendio, si cerca di definire un mandante. Alcune personalità di spicco della scena politica russa ospiti di un talk show commentano: “I nostri servizi segreti troveranno la verità, dobbiamo pensare alla vittoria della Russia” afferma, fra gli altri, il celebre filosofo Aleksandr Dugin, definito come l’ideologo del Cremlino e in passato molto vicino ad ambienti della destra italiana; “È evidente che l’Ucraina ha aperto un nuovo fronte, un fronte del terrore interno alla Russia, hanno capito che non possono vincere e allora ci attaccano. Lo scopo dell’Occidente e dell’Ucraina è la distruzione della Russia, come dice il nostro Presidente ‘dobbiamo vincere’, solo così sarà finita col terrorismo...” commenta poi, molto più netto e inquietante Leonid Reshetkinov, ex agente sovietico del Kgb, 007 nei Balcani e direttore del Russian Institute for Strategic Studies. La narrazione appare sempre più assurda, confermando i timori che tutto ciò sia ormai occasione per un nuovo e massiccio scontro, non solo in Ucraina, dove la guerra continua senza sosta, ma anche con gli Stati Uniti, su cui il Cremlino accende dubbi proprio sull’avvertimento lanciato l’8 marzo. Il ritratto di quel mondo, pur visto da lontano, è surreale: fra gli aggiornamenti costanti sul numero delle vittime, colpiscono poi alcuni servizi dei telegiornali: Serbia: come stanno le vittime di uranio impoverito della Nato, 25 anni dopo la guerra? titola un servizio, Come stanno a Kabul? Sentono la mancanza degli americani? un altro, Chi e perché vuole sabotare Trump? un terzo, fino all’ultimo commento “Quando c’è stato l’11 settembre, Putin telefonò a Bush e ora? Joe Biden non ha detto niente. La Cnn e gli altri media inglesi per tante ore non hanno detto niente su Mosca, così come i baltici, che hanno mostrato il loro vero malvagio volto…”. Il focus di tutte le notizie è uno: una narrazione in chiave antioccidentale, antiamericana e un’intenzione a fomentare per trovare dei colpevoli da poter presentare all’opinione pubblica. La pista ucraina viene ripetuta, in modo ossessivo e quasi non si menziona l’Isis. "L'isis non agisce in questo modo, la pista Isis è poco credibile" si dice nel talk show.
Cosa dicono allora gli altri, i media russi indipendenti, fra cui quelli menzionati prima? Come per la guerra in Ucraina, per le elezioni presidenziali russe, anche in questo caso c’è una voce diversa, se non proprio diametralmente opposta, visto il lutto per le numerose vittime condiviso da tutti, ma comunque si va in tutt’altra direzione. I toni sono molto più pacati, o, alternativamente, accusatori verso il Cremlino: “Quello che dicono le fonti russe è propaganda di regime. L’intelligence americana voleva aiutare la Russia” dice un giornalista proprio della Novaya Gazeta in un video e aggiunge “I nostri dittatori cercano di distogliere l’attenzione, sono impegnati a combattere contro la Nato e l’Occidente ma sono colpevoli: non hanno ascoltato l’avvertimento e pensano solo alla loro ‘guerra Santa’ contro l’Occidente, per cui hanno colpe e responsabilità…”. I commenti di molti russi continuano sui social, dubitando della versione proposta dai media del Cremlino e la narrazione comune è in realtà focalizzata su un punto: le testimonianze dei sopravvissuti e i racconti sugli ultimi istanti, il drammatico conteggio delle vittime e la costante paura per la sicurezza. Alla luce di questi fatti, delle ricostruzioni così diverse dei media russi, così come dei nostri, ove le reazioni di vicinanza e solidarietà della comunità internazionale, non si sono in realtà fatte attendere - per fortuna - quello che seguirà è comunque incerto e angosciante. Nessuno si sarebbe mai immaginato di rivedere lo spettro dell’Isis di nuovo in Europa – per quanto Mosca sia ormai così "lontana" dall’Europa – e dopo il 22 marzo 2024 sicuramente la Russia che ne seguirà, sarà diversa: ancora più rigida e chiusa in sé stessa e ancora più distante dal mondo occidentale, visto come vero e proprio nemico. Su questo sfondo, la speranza di una svolta positiva sul fronte ucraino scompare completamente dall’orizzonte e i rapporti internazionali si fanno più che mai tesi. L’augurio, però, nonostante tutto, resta uno: che questa tensione non sia solo l’inizio di un pericoloso allargamento dal sanguinoso conflitto già in atto.
“How can I save my little boy from Oppenheimer's deadly toy? / There is no monopoly on common sense / On either side of the political fence / We share the same biology, regardless of ideology / Believe me when I say to you / I hope the Russians love their children too” (dal brano Russians, Sting, 1985)