Come scriveva il grande politologo e sociologo francese Raymond Aron (1905-1983), la diplomazia e la guerra sono storicamente inseparabili, perché gli uomini di Stato hanno sempre considerato la guerra come risorsa estrema della diplomazia. Con la crisi della pax americana e il congelamento dei rapporti diplomartici tra l’Occidente e Russia, i Paesi dell’Unione europea stanno prendendo in seria considerazione l’ipotesi di un conflitto diretto con Mosca. Un netto “salto di qualità” del conflitto che tragicamente rischia di andare ben oltre la guerra per procura in Ucraina. Lo dimostrano le recenti dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron, che in un’intervista su France 2 TF1, non ha escluso l’ipotesi di inviare truppe francesi in Ucraina. Motivo? Macron ha affermato che ''abbiamo messo troppi limiti al nostro vocabolario'', ma ''abbiamo un obiettivo: la Russia non può e non deve vincere’'. E ancora: “Tutte le opzioni sono possibili. Per avere la pace in Ucraina non possiamo essere deboli”, ha affermato, aggiungendo: “Se la Russia vince questa guerra, la credibilità dell’Europa sarà ridotta a zero”. E anche se i colleghi europei - a cominciare da Giorgia Meloni - si sono affrettati a smentire l’ipotesi evocata da Macron, nel Vecchio Continente il clima rimane pesante, con la tragica convinzione che la guerra con la Russia, anche se nessuno sembra volerla, sia a questo punto inevitabile. Proprio perché la diplomazia evocata anche da Papa Francesco è stata archiviata e messa in un cassonetto.
Un vertice di guerra
Le nubi su un possibile scontro diretto con Mosca aleggiano sul Consiglio europeo in corso a Bruxelles, trasformatosi in un vero e proprio vertice di guerra. L'Ue intende infatti proseguire con il sostegno politico e militare verso Kiev, tenendo conto che sinora è stato garantita un'assistenza pari a oltre 138 miliardi di euro. Ma per la prima volta si ammette nero su bianco che siamo in guerra con Mosca: a differenza del passato, la dichiarazione formale di guerra consegnata all’ambasciatore del Paese “nemico” non serve più. Come riporta il corrispondente di Repubblica, Claudio Tito, nella bozza di documento con cui si dovrebbe chiudere il vertice, è stato inserito un piano d’emergenza. Nel testo si cita la necessità “imperativa” di mettere a punto un piano per una “preparazione militare-civile rafforzata nonché coordinata” e di una “gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce”. Nessun equivoco: il piano d’emergenza è stato infatti inserito nel sezione “militare” della bozza in discussione oggi a Bruxelles. Due giorni fa, Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha espresso in un comunicato il medesimo concetto: ”Se vogliamo la pace dobbiamo prepararci alla guerra”. Secondo l’ex premier belga, giunto a fine mandato, a due anni dall’inizio della guerra, “è ormai chiaro che la Russia non si fermerà in Ucraina, così come dieci anni fa non si fermò in Crimea”. Secondo Michel, Mosca continua le “sue tattiche destabilizzanti – in Moldova, Georgia, nel Caucaso meridionale, nei Balcani occidentali e anche più lontano nel continente africano. La Russia - afferma - rappresenta una seria minaccia militare per il nostro continente europeo e per la sicurezza globale. Se non diamo la giusta risposta all’Ue e non diamo all’Ucraina il sostegno sufficiente per fermare la Russia, i prossimi saremo noi. Dobbiamo quindi essere pronti a difenderci e passare a una modalità di economia di guerra”.
Le divisioni e l’incognita Trump-Orban
Oggi i leader dei 27 Paesi dell’Unione europea discuteranno del possibile utilizzo dei cosiddetti Eurobond per finanziare le capacità dell’Ue nell’ambito della Difesa. La proposta - caldeggiata, tra gli altri, dal presidente francese Macron - suscita però perplessità e divisioni, a cominciare dai cosiddetti “cinque frugali” – Austria, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia – che in passato si sono fermamente opposti all’emissione del debito pubblico dell’Ue. Un diplomatico di alto livello di un paese del nord dell’Ue, parlando a condizione di anonimato con Euronews, ha affermato che diversi Paesi sono riluttanti a prendere in considerazione i bond, sostenendo altresì un approccio basato sul mercato e maggiori investimenti privati. Ci sono poi altre incognite pesantissime sulla volontà dei Paesi dell’Unione europea di rafforzarsi e diventare così una vera potenza geopolitica in grado di competere in un sistema internazionale che sta abbandonando l’egemonia americana e l’ordine liberale internazionale post-Guerra Fredda verso un futuro dominato da un conflittuale “multipolarismo” nel quale potenze come Russia e Cina sfidano la leadership degli Stati Uniti (e dell’Occidente). Le leadership di molti Paesi chiave dell’Ue, in vista anche delle elezioni europee di giugno che eleggeranno i 720 eurodeputati che comporranno il prossimo Parlamento europeo, sono in grande crisi. A cominciare dal Cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ieri ha voluto ribadire il fermo sostegno i Berlino all'Ucraina, anche se i membri della sua coalizione “semaforo” (a picco nei sondaggi) continuano a litigare sulla politica estera e sull’ipotesi di inviare missili Taurus (A lunga gittata) richiesti proprio da Kiev. Da una parte c’è infatti l’approccio più prudente del Cancelliere, che si scontra con le invettive belliciste del partito dei Verdi. Interrogativi sulle reali capacità dell’Ue di fare sintesi sono rappresentate anche dalla Presidenza di turno del Consiglio Ue che da luglio spetta proprio all’Ungheria di Viktor Orban, che ha palesato a più riprese la sua riluttanza a sostenere una politica più aggressiva nei confronti di Mosca e dalle elezioni presidenziali americane, che potrebbero rappresentare un punto di svolta cruciale nel sostegno occidentale a Kiev nel caso di una probabile elezione del candidato repubblicano Donald Trump. Quest’ultimo, infatti, ha un pessimo rapporto con Volodymyr Zelensky, che ha definito il “più grande piazzista della storia” in un recente comizio, mentre alla Camera Usa i deputati repubblicani a lui fedeli bloccano i 65 miliardi di dollari che l’amministrazione Biden ha stanziato per Kiev. Ed è proprio la prospettiva di un secondo mandato di Trump, e di una futura crisi dei rapporti transatlantici, nonché di un’America che si concentrerà maggiormente sulla sfida con la Cina e sui suoi problemi interni, che ha portato Macron a sfoderare le sua retorica retorica bellicosa e rimarcare così la leadership politico-militare della Francia, unica potenza nucleare d’Europa. E ambiziosa regina dell’Europa di domani.