Pavel Durov accusa i francesi di averlo “arrestato e incriminato per la pubblicazione di contenuti illegali” sulla sua applicazione di messaggistica, e lo fa proprio da Telegram, rilasciando un lungo messaggio dove si definisce “sorpreso” di esser ritenuto responsabile di “contenuti illeciti condivisi da terzi” e di non aver riscosso il favore come contropartita per aver aiutato al tempo i servizi francesi a “combattere la minaccia del terrorismo”, eliminando “milioni di post e canali dannosi ogni giorno”. I crimini attributi a Telegram e al suo fondatore dalle autorità francesi, probabilmente coadiuvate dall’intelligence di Parigi, includono la “diffusione di materiale offlimits, frode e spaccio di droga”. Un’accusa, la prima, molto grave negli Emirati Arabi Uniti, dove Durov ha ottenuto la cittadinanza e da dove, secondo il cyber-esperto Alex Orlowski (che abbiamo intervistato qui), poteva essere estradato in Russia in caso di una mancata collaborazione con gli alti papaveri che siedono alla Lubjanka - il palazzo più alto di Mosca per detto dei servizi segreti che lo occupano, poiché “da lì si vede direttamente la Siberia”.
Secondo Durov: "Nessun innovatore creerà mai nuovi strumenti se sa di poter essere ritenuto personalmente responsabile per un potenziale abuso di tali strumenti”. L’abuso della piattaforma dove i criminali si sentono “protetti” dal sistema di crittografia non è una sua responsabilità diretta. Semmai un problema indiretto che Durov deve risolvere influendo dal mondo reale con regole cibernetiche. “Mi sono prefissato l'obiettivo personale di garantire che miglioriamo significativamente le cose in questo senso", ha affermato il fondatore di Telegram. Ma non appena lasciato l’etere per tornare nella dimensione fatta di leggi, confini, interessi e governi, si sono materializzate di nuovo indagini, pressioni e rischi. Telegram è stato messo sotto inchiesta anche in Corea del Sud, dove la polizia nazionale di Seul indaga sulla diffusione di contenuti sensibili deepfake generati con l’IA. Durov si è detto pronto a “lasciare la Francia” che ha fissato una cauzione di 5milioni di euro in cambio di quello che potrebbe essere stato un’ulteriore manifestazione di “disinteresse” nello spostare la base operativa di Telegram a due passi dall’Eliseo e lasciare sul tavolo le chiavi di crittografia che tutti vorrebbero ottenere. “Se un Paese non è soddisfatto di un servizio Internet, la prassi consolidata è quella di avviare un'azione legale contro il servizio stesso. Utilizzare leggi dell'era pre-smartphone per accusare un amministratore delegato di crimini commessi da terzi sulla piattaforma che gestisce è un approccio sbagliato” ha constatato Durov. Che come ricordano dalle pagine de La Stampa è cresciuto a Torino in una “famiglia intellettuale ben inserita nel mondo ufficiale della cultura dei tempi della fine dell’Unione sovietica”.
Questa volontà di abbandonare la Francia ha risollevato la questione delle “chiavi crittografiche di Telegram” che secondo molti sarebbero alla base dell’intrigo internazionale. Anche se gli esperti ribadiscono che la questione è più complicata di come si immagina, e non si tratta di ricevere semplicemente una chiave che apre un cassetto. Durov è considerato “elusivo” riguardo ai suoi rapporti più stretti con Cremlino, ma integerrimo per quanto riguarda la consegna delle chiavi di crittografia: “Quando la Russia ci ha chiesto di consegnarle per consentire la sorveglianza, abbiamo rifiutato e Telegram è stato bandito in Russia”. Lo stesso valse per l’Iran, dove Telegram è stato bandito a causa di un rifiuto riguardante la censura di canali riconducibili a manifestanti invisi alle autoritarismo di Teheran. Se da una parte qualcuno sta già tessendo la trama di un’intesa ritrovata con il Cremlino, dall’altra viene fatto presente che Durov, non si è mai allontanato veramente dalla cittadella del potere di Mosca. Mentendo riguardo i suoi soggiorni in Russia. Il CEO di Telegram si sarebbe recato nella Federazione Russa ben 50 volte dal 2015 al 2021. Dietro questi viaggi “segreti” si celerebbe la fine della messa al bando di Telegram, in Russia e dei nuovi finanziamenti all’insaputa di quelli che il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov chiama i “laudatori” occidentali. Attualmente la Russia si è detta “pronta a fornire assistenza al fondatore di Telegram Pavel Durov, un cittadino russo russo che possiede anche un passaporto francese, ma la situazione intorno a lui difficilmente porterà i due Paesi al dialogo”. Questo secondo quando affermato dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Dal suo delicato limbo Pavel Durov comunque continua a ribadire che “Gestire una piattaforma di comunicazioni globali è un delicato equilibrio tra privacy e sicurezza”. “Telegram non è perfetta” ma non è neppure un "paradiso anarchico” come molti vorrebbero lasciarci credere.