Ohibò, qui ci si domanda: ma perché Carlo Calenda, così bravo a mettere spalle al muro Giuseppe Manca, capo delle risorse umane del Gruppo Stellantis, chiedendogli se sapesse quante auto produce oggi la Maserati (non lo sapeva), poi non è altrettanto incisivo nell’agone politico? Presto detto. Erano Carlo Calenda, Lapo Elkann e Luca Cordero di Montezemolo, l’allegra brigata figa che copriva praticamente tutto il ventaglio della vita Capital chiccosa negli anni del declinare dell’edonismo reaganiano spazzato via definitivamente dalla crisi finanziaria del 2007-2008, anche se la decadenza vera, per il trio, coincide con la scomparsa dei fratelli Gianni (automotive, stile, donne) nel 2003 e Umberto (affaristica e politica) nel 2004. Al trio Carlo Calenda apportava quell’allure intellettuale di sinistra tendenza welfare Fiat, leggasi Cassa Integrazione, per alcuni – che forse ci pigliano – arma di ricatto in mano agli Agnelli nei confronti dello Stato Italiano in quegli anni di look e superficie – descritti una volta per tutti in Come vivere e bene senza i comunisti da Roberto D’Agostino, il migliore libro storico sulla nascita dell’Italia di oggi non ce ne voglia Alessandro Barbero – che andavano dai clarkopodi (come li definì Stefano Benni in “Baol” agli orologi sul polsino), dalle scarpe a pallini – Diego Della Valle era amico della gang, Calenda divenne consigliere di Ntv, il trenino a pallini di Montezemolo e Della Valle – ai weekend fuori porta fuori confini diretti dal viveur Carlo Rossella, trait d’union (e trade union alla rovescia) tra quel mondo e il berlusconismo.
Una vita da ricco, insomma, Carlo Calenda, in cui è ovvio che ne sappia di Maserati ma non dei problemi dell’Italia di oggi – che, certo, nessuno ha in mente di risolvere, ma Calenda non riesce neanche a fare finta e non si sa se sia un pregio o un difetto deprecabile da chi viene dal mondo della recitazione. Calenda è insomma figlio di Capital, la rivista dello yuppismo letta avidamente da Ezio Greggio e dalla strepitosa comitiva vanziniana che li perculava alla grande in quei cinepanettoni che sono il vero neorealismo italiano, e sulla copertina della quale appariva Athina Cenci in Yuppies 2. Siamo all’incontro tra il mondo Fiat e il mondo Mediaset, lì dove c’è la schiuma, lì sorge Carlo Calenda, come la Venere del Botticelli che esce dal conchiglione di una discoteca tipo Gilda o Jackie O’ dove il berlusconismo incontrava il socialismo ed era tutto un fiorire di starlette che volevano fare il cinema impegnato, che erano di sinistra ma ballavano con Gianni De Michelis e che comunque il vero stile di sinistra ce l’aveva l’Avvocato e infatti Eugenio Scalfari si vestiva praticamente come lui e la puzza al naso di Repubblica viene proprio da quella lotta lì, tra i Caracciolo-Agnelli e i Berlusconi, ma d’altronde Repubblica è ancora tendenza Exor. Non deve stupire se Carlo Calenda abbia provato a fidanzarsi con Matteo Renzi, che è un po’ il suo omologo quanto a punti di riferimento fighetti. Il sodalizio non poteva durare perché, in qualche modo, Calenda è il modello (almeno secondo il modello) e Renzi è il provinciale che al modello si ispira. Storicamente, bisogna dire, ha ragione Calenda, anche se i toscani, si sa, si sentono loro il centro del mondo. Comunque: è ovvio che Calenda se parla di Maserati fa un figurone mentre in politica, per adesso, sopravvive così così. Ma tranquilli, si farà il grande centro e si siglerà la pace nella faida Agnelli-Berlusconi-Sinistra di intelletto e di potere. Con buona pace della Meloni.